28/03/2024, 10.44
ISRAELE - PALESTINA
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Gaza, mons. Nahra: far tacere le armi per sanare (anche) le divisioni in Israele

di Dario Salvi

Il conflitto con Hamas e la questione degli ostaggi è uno dei “temi sensibili”, ma non l'unico. Da Gerusalemme - all'indomani della lettera di papa Francesco ai cristiani della Terra Santa - il vicario patriarcale per Israele ricorda le tensioni intorno al servizio militare per gli ultra-ortodossi, la violenza nella società araba, il crescente antisemitismo all’estero. Anche l’isolamento politico aggiunge “sofferenza su sofferenza”. "Come cristiani evitiamo di farci trascinare nei discorsi d'odio".

Gerusalemme (AsiaNews) - Una “soluzione” al conflitto israelo-palestinese, che la Chiesa invoca “da anni e ben prima” dello scoppio dell’ultima e sanguinosa guerra a Gaza, perché entrambe le parti possano “vivere degnamente” sapendo che “non è possibile continuare così”. È quanto auspica mons. Rafic Nahra, vescovo ausiliare di Gerusalemme e dal 2021 vicario patriarcale per Israele, secondo cui non è ipotizzabile prolungare ulteriormente una situazione in cui “i palestinesi non hanno alcuna autonomia, si sentono chiusi in prigione e vedono la dignità negata”. “Servono accordi di natura politica - spiega al telefono ad AsiaNews - che risultano oggi difficili da trovare” in un quadro di conflitto. “Tuttavia - prosegue - ebrei e musulmani, palestinesi e israeliani devono raggiungere una soluzione che permetta loro di restare gli uni accanto agli altri, in sicurezza, ed è necessario sanare al contempo le divisioni e le tensioni interne alla stessa società israeliana”. 

Israele e le sue componenti, spiega il presule, vivono una fase “molto complessa” caratterizzata da “interessi contraddittori”. Vivendo all’interno dei confini del Paese, prosegue, “si avverte questa grande tensione” che si riflette anche nello scontro quotidiano “fra quelli che invocano la guerra fino alla fine, alla vittoria su Hamas” e altri che “invece guardano alla vita dei figli, degli ostaggi e delle loro famiglie". Quanti ritengono che “la priorità” sia la liberazione dei civili (e non) da mesi nelle mani del movimento che controlla la Striscia, prima ancora del successo sul piano militare e tutto questo “crea una divisione molto forte”.

Fra tensioni e divisioni i cattolici, come ha sottolineato ieri papa Francesco nella lettera per la Pasqua alla comunità di Terra Santa, sono fonte di esempio perché sanno “sperare contro ogni speranza”. Ringraziandoli per la testimonianza di fede e carità, il pontefice rinnova il suo “affetto di padre” a quanti “stanno patendo più dolorosamente il dramma assurdo della guerra”. A partire dai bambini cui viene “negato” il futuro e a quanti sono “nel pianto e nel dolore” fino a sperimentare in prima persona sentimenti di “angoscia e smarrimento”. Ripensando al pellegrinaggio compiuto nel 2014 e riprendendo le parole di san Paolo VI, primo papa pellegrino a Gerusalemme, egli ricorda come “lo stato di tensione” in Medio oriente sia un “grave e costante pericolo” non solo per quei popoli, ma per il mondo intero. Tuttavia, la capacità dei cristiani “di rialzarsi” è più forte della “inutile follia della guerra”, perché essi sono “semi di bene in una terra lacerata da conflitti”. 

Le parole del pontefice riflettono il dramma di due popoli, quello israeliano e palestinese, che pagano ogni giorno un tributo enorme di sangue. “Dall’inizio della guerra [risposta all’attacco terrorista di Hamas del 7 ottobre scorso] la situazione nel Paese è molto difficile. Io risiedo abitualmente nel nord, a Nazareth - afferma mons. Nahra - dove la vita sembra continuare, ma tutto è diventato molto più caro, il quadro economico è sempre più difficile e la gente lo avverte in maniera forte”. Il conflitto “influenza anche i rapporti fra le comunità di arabi e israeliani, ebrei e musulmani, gli stessi cristiani. Vi è poi il dramma specifico di Gaza e quello delle famiglie degli ostaggi, che è causa di sofferenza e diffidenza fra comunità, tutti aspetti collegati fra loro”. Infine la preoccupazione per quanti sono esposti al fronte nord, alla frontiera col Libano, dove “decine di migliaia di persone hanno lasciato le loro case perché non si sentono protette, e non vogliono tornare. Una violenza continua, un problema gravissimo e non si sa come fronteggiarlo”.

Il presule sottolinea le “divisioni” nella società israeliana sulle quali si innesta il conflitto, finendo per “esasperare le frammentazioni” e creando una “situazione molto difficile”, anche perché vi è “in gioco la vita di molte persone”. Quello degli ostaggi è un “tema sensibile, ma non l’unico: vi è tensione - prosegue - sul servizio militare fra ultra-ortodossi e società civile” perché per molti “non è normale che una parte del Paese [gli haredi]” non debba rispondere alla chiamata nell’esercito. E ancora, il tema “della violenza nella società araba o il caro-vita che colpisce sempre più famiglie”. A livello internazionale vi è “un aumento dell’antisemitismo quale conseguenza della guerra”, unito a un “senso di isolamento che è anche politico” che “aggiunge sofferenza su sofferenza” e “nel lungo termine non condurrà alla pace”.

Infine, la questione delle violenze “contro i cristiani” per mano dell’ala radicale ed estremista ebraica, di cui solo di recente il governo aveva iniziato ad occuparsi ma che il conflitto a Gaza ha finito per oscurare. “Anche i cristiani - avverte - condividono le sofferenze di tutti e come Chiesa non intendiamo assumere una posizione politica, ma solo invitare a un cessate il fuoco per ricostruire quanto è stato distrutto e risolvere il problema degli ostaggi”. “Dobbiamo evitare - conclude il vescovo - di farci trascinare da questi discorsi di odio e cercare di favorire una vita in comune, in uno spirito di rispetto reciproco che porta a non ridurre gli altri a ideologia. E ai cristiani in Occidente dico di pregare per noi, di restarci vicino e di non farci trascinare dalla paura”.

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