Gaza, Baskin: 'Con la guerra di Netanyahu ad Hamas nessun ostaggio vivo a casa’
Ad AsiaNews l’attivista attacca il premier che “vuole continuare la guerra” per “sopravvivere a livello politico”. Scelte favorite dalla “frammentazione” dell’opposizione e dalla “stanchezza e disperazione” della società civile. Morti nella Striscia per i raid israeliani. Solo “l’imprevedibile” Trump può spingere all’accordo ma “guarda agli Houthi in Yemen”. Lettera aperta di 55 ong contro la legge che ne blocca le attività.
Milano - (AsiaNews) - “Netanyahu vuole continuare la guerra, solo per poter sopravvivere a livello politico: è tutta qui la questione”. È quanto sottolinea ad AsiaNews Gershon Baskin, attivista politico israeliano fra i massimi esperti del conflitto, commentando gli ultimi sviluppi del conflitto a Gaza, dove si aspetta l’offensiva dell’esercito israeliano approvata dal governo del premier Benjamin Netanyahu nei giorni scorsi. Di contro è sempre più forte il senso di “stanchezza e disperazione” della società israeliana, che “non si rende davvero conto di quanto sta avvenendo” nella Striscia. “Semplicemente non lo sa - aggiunge - ma chiede solo, e disperatamente, che gli ostaggi vengano riportati a casa”.
Una richiesta, prosegue il fondatore di Ipcri (Israel Palestine Creative Regional Initiative) e già editorialista del Jerusalem Post, che si scontra con le decisioni del premier e dell’esecutivo guidato da radicali religiosi ed estrema destra “che non ha alcuna intenzione di fare un accordo con Hamas per riportare a casa i prigionieri”. Le persone, spiega, “si sentono frustrate e non sanno cosa fare”. A livello politico e istituzionale “manca poi una opposizione forte, perché il campo al suo interno è frammentato e incapace di restare unito, oltre a non avere un vero leader. Si tratta di una minoranza alla Knesset che si scontra con una maggioranza salda e che vuol restare al potere”. “Ecco perché - avverte - la stessa società israeliana è impotente, è spezzata, è stanca, è disperata”.
Intanto non si fermano gli attacchi israeliani nella Striscia: oggi una serie di raid aerei hanno colpito una scuola a nord di Gaza che ospitava sfollati, uccidendo almeno 13 palestinesi, mentre le forze di sicurezza sul terreno proseguono nella demolizione di case ed edifici a Rafah, a sud. Fonti mediche riferiscono che è stata presa di mira la scuola Karama a Tuffah, un sobborgo di Gaza City. Tra le vittime vi sarebbe anche un giornalista locale.
Il 5 maggio scorso il gabinetto di sicurezza del premier Benjamin Netanyahu ha approvato una “espansione” dell’offensiva contro Hamas nella Striscia, emanando decine di migliaia di chiamate ai riservisti per le operazioni sul terreno. Israele ha rilanciato l’opzione militare a marzo, dopo il crollo del fragile cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti e durato due mesi.
Commentando l’operazione il ministro israeliano delle Finanze Bezalel Smotrich ha detto che il territorio della Striscia verrà “interamente distrutto” e i suoi abitanti “concentrati” a sud, per poi essere trasferiti “in gran numero verso Paesi terzi”. L’offensiva dovrebbe concretizzarsi dopo il viaggio in Medio oriente del presidente Usa Donald Trump, atteso la prossima settimana in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar. A fronte dell’escalation Hamas conferma che “non è più interessata a ulteriori colloqui su un nuovo cessate il fuoco e all’accordo di rilascio degli ostaggi”.
“Gli ostaggi sono destinati con tutta probabilità a morire” afferma deciso Baskin, che nel 2011 ha mediato con Hamas l’accordo per la liberazione del soldato Gilad Shalit, catturato nel 2006 e trattenuto per alcuni anni nella Striscia di Gaza. “Non vi è la possibilità - prosegue - che un solo ostaggio ancora in vita possa ritornare a casa alla fine di questa guerra. La sola via è quella di un accordo con Hamas e perché vi possa essere un accordo il solo modo è quello di mettere fine alla guerra a Gaza. Non ci sono altri accordi possibili”. E se Netanyahu è “un bugiardo” e “mente quando dice che vuole riportare a casa gli ostaggi” il presidente Usa Trump “è la sola persona che può mettere fine alla guerra e far siglare un accordo, ma è imprevedibile. Ora la sua attenzione - conclude l’attivista israeliano - è rivolta all’Ucraina, all’Arabia Saudita, non è più concentrato su Israele e Palestina. Vuole un accordo con gli Houthi in Yemen”.
Timori e preoccupazioni per il futuro stesso del Paese emergono anche nella lettera appello sottoscritta in questi giorni da 55 organizzazioni non governative operative in Israele, Cisgiordania e Gaza contro una legge governativa definita un “attacco mortale” alla società stessa. La legge al vaglio della Knesset, che impone nuove regole sulla registrazione, mira a imporre una tassazione “mostruosa” per le donazioni di governi stranieri, finendo di fatto per bloccarne l’attività oltre a erodere il diritto di intentare cause nei tribunali dello Stato ebraico. In risposta le Ong firmatarie invocano una “azione urgente” della comunità internazionale per bloccare la legge: le nuove regole, infatti, si basano su “criteri vaghi, ampi, politicizzati” con il solo obiettivo di “affermare il controllo sulle operazioni indipendenti umanitarie, di sviluppo e di costruzione della pace”.
“Queste nuove regole - sottolineano le ong - fanno parte di una repressione più ampia e a lungo termine dello spazio umanitario e civico, caratterizzata da una sorveglianza e attacchi intensificati”. A questo si aggiungono “una serie di azioni che limitano l’accesso umanitario, compromettono la sicurezza del personale e minano i principi fondamentali dell'azione umanitaria”. Tuttavia non si tratta di “azioni isolate” ma sono parte “di un modello più ampio” che “include: il blocco o il ritardo degli aiuti”, la negazione di “rifornimenti essenziali salvavita ai palestinesi”, l’uccisione di operatori umanitari a Gaza, gli attacchi a strutture e le limitazioni alle “operazione dell’Unrwa”, l’Agenzia Onu per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi in Medio oriente.
Fra le 55 ong firmatarie dell’appello vi sono ActionAid, Cesvi, Christian Aid, Humanity First UK, Islamic Relief Worldwide, Japan International Volunteer Center (Jvc), Medici Senza Frontiere (Msf), Oxfam, Pax Christi International e Terre des Hommes (Tdh) Italia. In conclusione, esse chiedono di “utilizzare tutti i mezzi possibili per proteggere le operazioni umanitarie […], adottare misure politiche e diplomatiche concrete […] e sostenere le ong internazionali e le organizzazioni della società civile palestinese e israeliana”. “Queste misure non solo compromettono l’assistenza nel Territorio Palestinese Occupato, ma creano anche un pericoloso precedente - avvertono -per le operazioni umanitarie a livello globale”.