Jubilee Report: ecco il piano (commissionato da papa Francesco) per il debito dei Paesi poveri
Pubblicato il rapporto realizzato su mandato di Bergoglio da un gruppo di economisti guidato dal Premio Nobel Joseph Stiglitz. Un documento di 28 pagine che chiede non solo una nuova iniziativa globale per aiutare i Paesi poveri più indebitati, ma indica anche le regole per una finanza internazionale più giusta, che non continui a ricreare ciclicamente il problema attraverso meccanismi iniqui.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Se ne sta parlando purtroppo pochissimo in questo anno giubilare giunto ormai a metà del suo cammino, ma uno dei grandi temi che papa Francesco aveva indicato nella bolla di indizione Spe non confundit era la questione del debito dei Paesi poveri, che come abbiamo avuto già modo di spiegare è tornata a farsi drammatica in molte aree del mondo. Lo aveva fatto non solo esortando i Paesi ad economia più avanzata a compiere nello spirito del Giubileo gesti significativi di solidarietà nei confronti dei loro creditori che non sono in grado di ripagarli. Bergoglio aveva chiesto molto di più: voleva che l’Anno Santo diventasse l’occasione per immaginare una “nuova architettura finanziaria”, capace di correggere un sistema malato in base al quale oggi - come mostrato ampiamente dai dati dell’Unctad – a pagare il prezzo delle crisi internazionali sono soprattutto i Paesi poveri.
Come tutti sappiamo papa Francesco è morto il 21 aprile scorso. Ma su questa tema ci ha lasciato un’importante eredità che è stata presentata ufficialmente oggi in Vaticano. Nel corso di una giornata di studi promossa dalla Pontificia Accademia per le Scienze Sociali è stato infatti presentato il Jubilee Report, uno studio elaborato da un gruppo di economisti di fama mondiale che negli ultimi mesi ha elaborato una serie di proposte per affrontare questo problema. A guidarlo è stato il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, della Columbia University, che ha portato avanti il progetto insieme alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Il risultato sono 28 pagine fitte di indicazioni, pubblicate oggi, che contengono non solo analisi e principi, ma anche suggerimenti tecnici molto concreti su come riformare il sistema malato dei prestiti internazionali che ha portato l’indebitamento globale alla cifra record di 97mila miliardi di dollari, con 3,3 miliardi di persone che nel mondo oggi vivono in Paesi costretti a spendere più in interessi sul debito che in sanità ed istruzione.
Il Jubilee Report è chiarissimo nel mostrare che dietro il problema del debito ci sono molti responsabili. Da una parte “i governi debitori che hanno contratto prestiti eccessivi, spesso a tassi troppo elevati e con scadenze troppo brevi” guardando solo al breve termine; dall’altra “i creditori che sapevano di concedere prestiti a condizioni che implicavano un rischio significativo di insolvenza, ma che ora, quando i rischi si sono concretizzati, sono riluttanti a fornire il sollievo necessario per ripristinare la sostenibilità del debito. E poi le istituzioni finanziarie internazionali “le cui politiche di prestito favoriscono questi comportamenti da entrambe le parti”. Per questo il rapporto sostiene la necessità di una HIPC 2, una nuova iniziativa straordinaria della comunità internazionale per le Highly Indebted Poor Countries, analoga a quella iniziata nel 1996 che ebbe il suo momento culminante in occasione del Giubileo del 2000, quando Giovanni Paolo II aveva lanciato un simile appello.
Ma condonare il debito di chi oggi non può ripagarlo - sostiene il Jubilee Report - è solo il primo passo. Perché per evitare di ritrovarsi periodicamente in questa situazione ci sono dei meccanismi dell’economia distorta di oggi che vanno cambiati. Perché oggi – spiega il rapporto – abbiamo costruito un sistema finanziario dove i rischi ricadono più sui Paesi poveri che su quelli ricchi. “Si sarebbe potuto pensare che i Paesi ricchi, essendo in una posizione migliore per assorbire il rischio, lo avrebbero tenuto lontano dai Paesi in via di sviluppo, fungendo da ammortizzatore. Questo è ciò che avrebbero previsto le teorie economiche standard dei mercati efficienti. Ma è avvenuto il contrario”. Nei periodi di congiuntura favorevole a livello globale, i capitali affluiscono nei Paesi in via di sviluppo; quando sopraggiungono turbolenze, rifuggono verso le economie avanzate percepite come più sicure. “La mobilità del capitale funge da stabilizzatore per il Nord del mondo e da fattore di destabilizzazione per gran parte del Sud del mondo e dei Paesi in via di sviluppo”.
La sfida vera, dunque, è correggere questa stortura. Un’impresa possibile a patto di accettare - come diceva appunto papa Francesco – che “siamo tutti sulla stessa barca”. Proprio da qui nascono tutta una serie di principi, regole e nuove istituzioni che il Jubilee Report suggerisce. Una tra tutte: oggi non esiste un meccanismo internazionale per la soluzione delle crisi del debito sovrano di un Paese. “La riforma più importante – si legge nel documento - sarebbe la creazione di un tribunale fallimentare internazionale, simile ai tribunali fallimentari presenti nella maggior parte dei Paesi, per giudicare in modo equo ed efficiente la risoluzione del debito”. Ma sulla stessa linea si suggerisce anche la riforma delle agenzie di rating, che oggi sono enti privati che hanno un ruolo preponderante nel definire l’affidabilità di un Paese e dunque i suoi tassi di interesse e che invece potrebbero essere obbligate a rapportarsi con un’agenzia di rating globale pubblica che operi con criteri trasparenti.
Più in generale - secondo il Jubilee Report - dovrebbero essere fatti sempre valere due criteri: mai permettere che un Paese già in crisi per il suo debito sia costretto a continuare a pagare a un creditore più soldi in interessi pregressi rispetto a quelli che riceve; nelle misure per uscire dalla crisi dare priorità a tutto ciò che crea crescita economica e sviluppo rispetto a misure di austerità fini a se stesse.
“Continuare a pagare debiti insostenibili può sembrare un modo per evitare conflitti nel breve termine – scrivono ancora gli autori- ma in realtà è la peggiore delle soluzioni possibili. Perpetua la stagnazione, erode la fiducia dei cittadini e distrugge la speranza che la risoluzione del debito dovrebbe contribuire a ristabilire. Si tratta semplicemente di rimandare il problema: ritardare il default porta a crisi economiche e sociali più profonde, con effetti ancora più negativi sui Paesi colpiti”. Soprattutto la mancanza di un consenso globale non può essere un alibi per l’immobilismo. “È urgente che coloro che condividono questo spirito si uniscano, che formino una coalizione di volenterosi per lavorare ad alleviare lo stress che molti Paesi in via di sviluppo devono affrontare. Possono fornire fondi, partecipare a ristrutturazioni significative del debito, modificare le leggi, influenzare le istituzioni multilaterali affinché cambino le politiche, formare istituzioni plurilaterali. C'è molto da fare - concludono - e, a volte, una coalizione più piccola di soggetti con una missione condivisa può fare anche più di un gruppo universale con Paesi potenti che sono riluttanti ad intraprendere la giusta azione collettiva globale. Anche nell'attuale clima cupo, c'è motivo di sperare”.
01/04/2020 12:03
04/07/2022 12:00