03/07/2025, 11.41
MALAYSIA
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Guerre commerciali: Kuala Lumpur non importerà più rifiuti Usa

di Lisa Bongiovanni

Scattato il 1 luglio il blocco per i Paesi che non aderiscono alla Convenzione di Basilea, il trattato internazionale contro il trasporto di rifiuti pericolosi, plastica compresa. Nel 2024 erano arrivate in Malaysia dagli Usa 35mila tonnellate di spazzatura, ora in cerca di una nuova destinazione. Già la Cina nel 2018 aveva chiuso i suoi porti, spostando questo commercio redditizio ma pericoloso verso il Sud-est asiatico. Vietnam, Laos e Cambogia hanno tuttora regolamentazioni meno ferree.

Milano (AsiaNews/Agenzie) - La Malaysia non vuole più essere il “bidone della spazzatura mondiale”. E vuole giocarsi anche questa carta nella grande partita sui dazi aperta da Donald Trump. Dal primo luglio, infatti, Kuala Lumpur non accetta più i rifiuti di plastica provenienti dagli Stati Uniti; 35mila tonnellate (cioè 35 milioni di kg) di rifiuti statunitensi inviati in Malaysia lo scorso anno dovranno dunque trovare una nuova destinazione.

Stati Uniti, Unione Europea, Giappone e in generale la maggior parte delle economie avanzate, inviano all’estero una buona parte dei loro rifiuti: si stima che l’esportazione globale si sia attestata intorno ai 4 milioni di tonnellate nel 2023. Di questi, una buona parte, più di 400mila tonnellate, è finita in Malaysia. La nuova legge, entrata in vigore il primo luglio, ora vieta l’importazione di spazzatura proveniente da Paesi che non hanno ratificato la Convenzione di Basilea, il trattato internazionale volto a ridurre il trasporto internazionale di rifiuti pericolosi, compresa la plastica. Gli Stati Uniti sono uno dei pochi Paesi (con Fiji e Haiti) a non aver firmato il patto; ma anche i Paesi firmatari non sono del tutto esclusi da queste restrizioni. La legge malese prevede infatti che vengano ammessi solo rifiuti effettivamente riciclabili, cioè contenenti solo un tipo di plastica con un massimo del 2% di contaminazione. Questo esclude di fatto la maggior parte dei rifiuti, provenienti anche da Paesi che fanno parte della convenzione. La decisione di Kuala Lumpur è arrivata in seguito al sequestro di centinaia di container spediti da Los Angeles: avrebbero dovuto contenere materie prime, invece erano pieni di rifiuti pericolosi sia elettronici che plastici.

Il “commercio dei rifiuti” è nato intorno agli anni ’60 quando, in seguito alle proteste dei movimenti ambientalisti, Stati Uniti ed Europa hanno deciso di alzare i costi di smaltimento di alcune sostanze, tra cui l’amianto, sperando di ridurre la produzione di rifiuti. Per risparmiare, però, le aziende hanno cercato metodi alternativi, iniziando a spedire i rifiuti all’estero. Le politiche sul riciclo hanno poi scaricato parte della responsabilità sui consumatori: anche molti rifiuti plastici riuscivano ad aggirare la Convenzione di Basilea, perché classificati come materiale riciclabile”, e venivano accettati da Paesi spesso inconsapevoli dei rischi.
Per ventanni, metà della plastica gettata nei cassonetti per la raccolta differenziata in ogni parte del mondo è finita in Cina. Nel 2018, però, Pechino - comprendendo i rischi a cui stava andando incontro - si è ritirata dal commercio di rifiuti. Da allora, diversi Paesi nel Sud-est asiatico hanno registrato un drastico aumento nelle importazioni di rifiuti: in Thailandia hanno raggiunto un picco di 300mila tonnellate, mentre in Malaysia si è passati da 200mila a 800mila tonnellate, per poi scendere intorno ai 400mila in seguito a una prima stretta governativa. Come in ogni forma di commercio c’è un vantaggio da entrambe le parti: il Paese esportatore si libera del problema dello smaltimento, mentre quello importatore spera di riciclare e rivendere il materiale a multinazionali o di sfruttarlo in altro modo. In Indonesia, ad esempio, la plastica contaminata viene utilizzata come combustibile alternativo nelle fabbriche di tofu. Quello della plastica, in effetti, è un settore redditizio: nel 2019 si stima abbia generato quasi 33 miliardi di euro di introiti; ma i danni, ambientali e sanitari, sembrano comunque superare i benefici.

La Malaysia non è il primo Paese a decidere di tirarsi fuori da questo business. Sempre quest’anno, sia Thailandia che Indonesia hanno adottato misure simili. Il problema, come si è già potuto osservare nel 2018, è capire dove finiranno questi rifiuti. Si teme che vengano semplicemente dirottati verso altri Paesi del mondo, tra cui la Turchia e alcune zone dell’Africa. Una parte importante di questi rifiuti, continuerà comunque ad arrivare in Asia, in particolari in Paesi dove la regolamentazione è meno ferrea, come Vietnam, Laos o Cambogia. Per ridurre produzione, consumo e inquinamento da plastica, servirebbe unazione coordinata a livello internazionale. Ma una soluzione del genere sembra ancora lontana come ha dimostrato il fallimento dei negoziati Onu di Busan di fine dicembre, che miravano a finalizzare un trattato globale legalmente vincolante per la gestione del problema.

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