17/10/2022, 12.11
CINA
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Ha fatto peggio dei suoi predecessori, ma Xi Jinping otterrà il terzo mandato

di Emanuele Scimia

Il leader cinese ha aperto ieri il 20° Congresso del Partito comunista cinese. Rallentamento crescita economica, debito in crescita, disoccupazione giovanile e calo demografico: Xi offre molti slogan e poche ricette. La carta del nazionalismo (e Taiwan) per trovare un nuovo collante tra regime e società cinese.

Roma (AsiaNews) – Xi Jinping si avvia a ottenere un terzo, storico mandato al potere. Si eleverà rispetto ai suoi più recenti predecessori, anche se Hu Jintao e Jiang Zemin hanno fatto meglio di lui, almeno dal punto di vista economico, che è quello che interessa ai cinesi per accettare la leadership incontrastata del Partito comunista (Pcc).

Il rapporto sul suo secondo quinquennio alla guida del Partito (e dello Stato), con cui ieri ha aperto il 20° Congresso del Pcc, ha offerto molti slogan e poche ricette per i problemi che il Paese si trova ad affrontare. La riunione, che si chiuderà tra il 22 e il 23 ottobre, disegnerà una nuova geografia del potere in Cina, con Xi sempre al timone.

Il presidente cinese, e segretario generale del Partito, immagina per i prossimi cinque anni un’economia nazionale che offra opportunità e garantisca una equa distribuzione della ricchezza. I dati del Pil di quest’anno saranno però poco entusiasmanti per il leader supremo e per la popolazione. La draconiana politica di azzeramento del Covid-19, insieme al giro di vite contro le grandi compagnie hi-tech e la crisi immobiliare non permetteranno il raggiungimento dell’obiettivo annuale di crescita economica del 5,5% (probabile un rallentamento intorno al 3%).

Se come enfatizzato in questi giorni, nei 10 anni di leadership di Xi la Cina ha raddoppiato la propria economia, nel decennio di Jiang Zemin (1993-2002) è più che triplicata, mentre durante il doppio mandato di Hu Jintao (2003-2012) è cresciuta di quasi sei volte. Come Xi, entrambi i leader hanno avuto a che fare con gravi crisi economiche: Jiang la crisi finanziaria in Asia del 1997-1998; Hu la crisi dei mutui Usa del 2007-2008.

Poi ci sono i debiti accumulati nell’era Xi, soprattutto dalle amministrazioni provinciali. Secondo calcoli della Reuters, nei primi otto mesi del 2022 le 31 province del Paese hanno registrato un deficit complessivo di 6.740 miliardi di yuan (960 miliardi di euro).

L’azzeramento della povertà assoluta vantato da Xi nel 2021, a 100 anni dalla fondazione del Pcc, era uno dei suoi obiettivi primari. Uno studio del South China Morning Post rivela però che lo scorso anno il 13% della popolazione cinese si trovava ancora in stato di bisogno.

Vi sono poi dubbi sulla veridicità delle statistiche ufficiali. Osservatori fanno notare che spesso i dirigenti locali falsificano i dati, facendo passare familiari e amici come poveri così che possano ottenere sussidi statali. Il premier Li Keqiang ha spesso accusato i leader provinciali di presentare un quadro irreale della situazione.

Xi parla con insistenza di “rinnovamento” nazionale, ma la disoccupazione giovanile viaggia in modo stabile sul 20%: un problema non solo per i tanti giovani laureati in cerca di lavoro, ma per chi dovrà andare in pensione nei prossimi anni.

Il mix tra frenata dell’economia e calo demografico obbliga Xi a trovare un nuovo collante tra Partito e società cinese. La carta nazionalista, con l’impresa della riconquista di Taiwan, potrebbe offrirgli una opportunità. Rimane però un rischio, un terreno “inesplorato” per un regime che per decenni ha fatto affidamento sul volano economico per assicurarsi stabilità interna. Senza contare che il disordine geopolitico nato dall’invasione russa dell’Ucraina potrebbe presentare al “nuovo Mao Zedong” una sfida di non poco conto ai confini settentrionali: una Russia nel caos e a rischio disgregazione.

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