Hanoi: più lavoro contrattualizzato, ma tutele lo stesso ridotte
Un rapporto dell'Ilo cita a modello la riduzione di dieci punti percentuali nell'incidenza del lavoro informale in Vietnam. Ma molte realtà denunciano la precarietà e i salari ridotti nelle grandi fabbriche che producono per i mercati globali, dove oggi lavorano 17 milioni di persone. Le luci e le ombre della nuova legge sui sindacati, che entrerà in vigore il 1 luglio 2025.
Milano (AsiaNews) L’Organizzazione internazionale del lavoro - Ilo – ha dedicato uno dei suoi ultimi report al tema del contrasto dell’economia informale nella regione Asia-Pacifico, presentando ed approfondendo alcuni approcci innovativi adottati dai diversi Paesi. Il quadro generale che ne emerge evidenzia alcuni risultati positivi, ma in un processo lento, ancora segnato della pandemia.
Diverso appare invece il caso del Vietnam: nel Paese che proprio in queste sta celebrando i 50 anni della fine della guerra con la sua riunificazione, viene registrato un calo di ben dieci punti percentuali nella quota di lavoro informale negli ultimi dieci anni. Un risultato che in sé dovrebbe rappresentare una vittoria sia per lo Stato che per i cittadini, che dovrebbero ora poter godere di maggiori tutele. Se si va però ad analizzare nel dettaglio il mercato del lavoro locale, emerge un quadro molto più complesso.
Il mondo del lavoro in Vietnam si articola su due settori principali: quello agricolo e quello manifatturiero. Nel secondo si stimano circa 17 milioni di lavoratori secondo il Washington Post. Stando ai dati raccolti da Vietnam Briefing, tra il 2017 e il 2023 l’impiego in questo settore è aumentato dal 18% al 23% del totale dei lavoratori. Al contrario, l’impiego nel settore agricolo è passato dal 40% al 33% nello stesso periodo di tempo.
Incrociando le dichiarazioni del report con questi cambiamenti è ragionevole supporre che il calo dell’occupazione informale sia legato a questo spostamento della manodopera. Il primo, infatti, è tradizionalmente caratterizzato da forme di impiego non regolamentate, mentre il secondo è dominato da grandi imprese straniere, le quali, per poter operare nel Paese, sono tenute a rispettare la normativa sul lavoro, compresa l’assunzione formale dei dipendenti. Ma si può davvero parlare di un miglioramento nella vita lavorativa dei vietnamiti o la presenza di un contratto di lavoro non equivale necessariamente a condizioni più dignitose?
Tantissime sono le denunce di associazioni internazionali che parlano del disagio presente nelle fabbriche manifatturiere del Paese. Un dato di fatto che conferma come per migliorare gli standard lavorativi in Vietnam, come in molti altri Paesi della regione, non basta agire solamente nel contrasto del settore informale, ma occorre intervenire anche nella regolamentazione formale.
È noto che gran parte delle aziende che hanno investito nel Paese sono state attratte dai bassi costi di produzione. La manodopera in Vietnam costa poco perché il salario minimo garantito per legge è al di sotto del minimo necessario. Il Paese viene diviso in regioni e, ad ognuna, corrisponde un salario minimo garantito. La Regione 1 - Hanoi e Ho Chi Minh City - prevede un salario mensile minimo di 4.680.000 VND (circa 202 dollari americani), mentre nella Regione 2 - aree rurali circostanti - si scende a 4.160.000 VND (179 dollari americani). Tuttavia, il costo medio della vita, escluso l’alloggio, è di oltre 11.500.000 VND (475 dollari americani). Questo squilibrio viola la Convenzione n. 131 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), che impone agli Stati di garantire salari sufficienti per un tenore di vita dignitoso.
In parallelo, si registra una diffusa precarietà lavorativa: a causa delle fluttuazioni della domanda, i datori di lavoro assumono meno impiegati, per evitare un eccesso di personale nei periodi di bassa domanda, che comporterebbe un costo maggiore. Quando la domanda è alta, però, questi lavoratori sono costretti a fare straordinari per soddisfarla e, se si rifiutano, perdono il lavoro. Così facendo viene nuovamente violata la Convenzione OIL sull'orario di lavoro (industria) del 1919 (n.1), che stabilisce come norma internazionale un limite massimo di 48 ore settimanali.
Infine, la mancanza di potere contrattuale costituisce l’ennesima violazione dei diritti dei lavoratori. Non vi è infatti una reale rappresentanza sindacale perché i sindacati indipendenti non sono riconosciuti per legge. I sindacati, infatti, sono controllati dal Partito e dipendendo dell’azienda nella quale operano, la stessa che gli garantisce benefit e salario e di conseguenza non hanno incentivi nel tutelare i lavoratori.
Su questo punto, però, qualcosa potrebbe essere destinata a cambiare. Per continuare a commerciare con Stati Uniti e Unione Europea – i suoi principali partner commerciali insieme alla Cina – il Vietnam è oggi costretto ad adeguare parte della sua legislazione interna. In questa direzione va anche la nuova legge sui sindacati, che entrerà in vigore il 1 luglio 2025. La riforma rappresenta un piccolo passo avanti, anche se non affronta i nodi strutturali del sistema sindacale vietnamita: in particolare, non consente ancora la nascita di sindacati realmente indipendenti, condizione essenziale per allinearsi agli standard internazionali sul lavoro. La Confederazione Generale del Lavoro del Vietnam (VGCL) resta infatti sotto il controllo del governo e strettamente legata agli interessi del Partito Comunista, più che a quelli dei lavoratori.
A suscitare ulteriori sospetti sull’effettiva volontà di cambiamento, c’è l’arresto - avvenuto nell’aprile 2024 - di Nguyen Van Binh e Vu Minh Tien. I due erano alti funzionari dell'allora Ministero del Lavoro vietnamita e del VGCL e si erano battuti per riforme del lavoro più significative e per garantire l’indipendenza dei sindacati. Secondo quanto riportato da Human Rights Watch, il governo continua a definire le organizzazioni sindacali indipendenti come “forze ostili” che cercano di opporsi al Partito ostacolando l’ordine sociale.
Va anche aggiunto che il rimescolamento delle carte portato dalla minaccia dei dazi di Trump rischia di provocare cambiamenti nelle strategie commerciali vietnamite. E un eventuale ulteriore spostamento verso la Cina e la maggior parte dei Paesi asiatici non andrebbe certo a favorire l’adesione gli standard internazionali più elevati nei diritti dei lavoratori. Al di là delle statistiche, dunque, resta dunque difficile prevedere realmente le prospettive per il mondo del lavoro in Vietnam in un quadro che è ancora molto in movimento.
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