I raid Usa sugli Houthi e la strage ‘dimenticata’ dei migranti nello Yemen
Almeno 68 le vittime, provenienti dall’Africa, nel raid aereo statunitense che il 27 aprile ha colpito un centro di detenzione. Da metà marzo i caccia americani - col sostegno di Londra - hanno preso di mira almeno mille obiettivi. Gruppi attivisti riferiscono di almeno 400 civili uccisi. Papa Francesco fra le poche voci a denunciare il dramma della migrazione nella regione.
Sana’a (AsiaNews) - L’attacco aereo statunitense dei giorni scorsi che ha causato una strage di migranti provenienti dall’Africa e rinchiusi nel centro di detenzione a Saada, solleva il velo sulle “guerra nascosta” che l’Occidente sta combattendo in Yemen contro i ribelli filo-iraniani Houthi. Uno scontro sanguinoso che si consuma nel silenzio dei media e della comunità internazionale, causa di vittime innocenti non solo fra popolazione civile ma anche fra quanti - spesso dall’Africa o da alcune nazioni dell’Asia - si avventurano nello Yemen per raggiungere nazioni terze del Golfo. Da gennaio 2024 Washington e Londra hanno moltiplicato i raid centrando decine di obiettivi - non solo militari - a Sana’a, Saada, Hodeida e altri governatorati. Secondo gruppi pro diritti umanitari e movimenti attivisti, almeno 400 civili sono stati uccisi e oltre mille feriti in queste operazioni, molte delle quali in strutture non militari e aree critiche.
Inoltre, quella dei migranti in Yemen è una “tragedia nella tragedia” di una nazione martoriata da un decennale conflitto, estrema povertà e relegata ai margini o dimenticata. Se qualche voce si alza quando si verificano affondamenti o tragedie nel Mediterraneo, per questo angolo di mondo le morti di quanti fuggono, rifugiati o migranti economici, sono spesso ignorate o circoscritte a stringati articoli di cronaca. Nemmeno la comunità internazionale sembra interessarsene tanto che, in questi anni, una delle poche voci che si è elevata a ricordare il dramma dello Yemen è stato proprio quella di papa Francesco. Il quale, forse, avrebbe lanciato anche oggi un appello al termine dell’udienza del mercoledì per denunciare questa ennesima strage degli ultimi.
Nelle ore immediatamente successive all’ultimo attacco, un organo di informazione vicino ai ribelli Houthi ha riferito che i raid aerei avrebbero colpito un centro di detenzione per migranti irregolari, uccidendone almeno 68. Una comunicazione rilanciata da un portavoce Onu il quale ha sottolineato che, al termine di indagini preliminari e informazioni sul campo, ad essere stati uccisi sono migranti e non combattenti del movimento filo-iraniano che controlla parte del Paese. Gli Stati Uniti non hanno voluto confermare né smentire questa versione, aggiungendo che sono allo studio alcuni rapporti e testimonianze in base ai quali vi sarebbero “vittime civili”.
Secondo una nota ufficiale del Pentagono diffusa ieri, gli Usa affermano di aver colpito oltre mille obiettivi dall’inizio dell’ultima campagna militare a metà marzo contro gli Houthi, in risposta ai lanci di missili verso Israele e agli assalti alle imbarcazioni nel mar Rosso. Una intensa rete di attacchi alla quale ha partecipato anche la Gran Bretagna come spiega il ministero della Difesa di Londra secondo cui la scorsa notte la Royal Air Force ha centrato e distrutto diversi edifici 25 km a sud di Sana’a usati per costruire droni. Nel mirino le operazioni di guerriglia degli Houthi dei mesi scorsi che hanno interrotto - o quantomeno ostacolato fortemente - il traffico marittimo attraverso il Canale di Suez, rotta vitale attraverso cui viaggia circa il 12% del commercio globale. I ribelli dicono di voler colpire le imbarcazioni in solidarietà coi palestinesi a Gaza, dove le forze israeliane hanno lanciato una guerra devastante in risposta all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023.
A dispetto degli annunci e degli opposti interessi, resta sul campo la strage di migranti come successo nei giorni scorsi quando, secondo funzionari locali, le vittime erano disarmate e non hanno avuto alcun preavviso prima che il missile colpisse. “Si trattava di una struttura che ospitava persone vulnerabili, non combattenti” afferma Yasser Al Jaberi, giornalista yemenita di base a Sanaa. Egli parla di “crimine brutale e l’assenza di responsabilità non fa che aggravare il dolore. Queste persone non hanno avuto scampo, né protezione: solo silenzio e fuoco”. “Oggi, i sentimenti del popolo yemenita - prosegue Al Jaberi - sono praticamente morti; la maggior parte sta vivendo una morte lenta, per fame o sotto i bombardamenti aerei”. “Le condizioni sono estremamente disastrose e questi attacchi - conclude - provocano solo profondo risentimento e dolore tra la gente” mentre gli aiuti internazionali stanno scomparendo.
Tra il sogno di una vita migliore e la dura realtà della guerra, nei giorni scorsi decine di migranti africani sono stati uccisi in quello che viene definito un “massacro insensato” ad opera degli Stati Uniti e degli alleati occidentali. La loro morte riporta al centro dell’attenzione il loro viaggio, non privo di pericoli, dal Corno d’Africa fino allo Yemen, con la speranza - spesso vana - di raggiungere il Golfo. Il centro di detenzione, colpito nella tarda serata del 27 aprile scorso, ospitava circa 115 migranti africani, principalmente etiopi, che cercavano un passaggio verso l’Arabia Saudita per avere migliori opportunità di vita e di lavoro. Filmati trasmessi dal canale satellitare al-Masirah vicino agli Houthi hanno mostrato corpi sparsi tra le macerie, sopravvissuti con ferite visibili e detriti bruciati che disseminavano il sito.
I migranti hanno sofferto a lungo nel corso della guerra civile dello Yemen, spesso intrappolati tra le fazioni in lotta e le forze combattenti e il loro viaggio è caratterizzato da estrema violenza, incertezza e pericoli. “I migranti rischiano di annegare durante la traversata del Mar Rosso o del Golfo di Aden” afferma Bram Frouws, direttore del Mixed Migration Centre (Mmc). “Una volta arrivati in Yemen, devono affrontare - prosegue - lo sfruttamento del lavoro, la tratta, il rapimento a scopo di riscatto, la violenza sessuale e la tortura per mano dei trafficanti e dei gruppi armati. Molte donne sono scomparse al loro arrivo”. Negli ultimi anni, le organizzazioni per i diritti umani, tra cui Human Rights Watch e Mmc, hanno documentato anche centinaia di migranti etiopi uccisi dalle guardie di frontiera saudite lungo il confine tra Saudi e Yemen. ”Coloro che riescono a raggiungere l’Arabia Saudita - conclude - spesso devono affrontare ulteriori difficoltà, tra cui il furto del salario, il lavoro forzato, gli abusi, la violenza sessuale e persino la morte”.