22/06/2020, 15.27
INDIA
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Il coronavirus creerà nuova povertà in India

di Frederick D’Souza

Circa 25 milioni di lavoratori migranti abbandonano la città e tornano nei propri villaggi, ma il lavoro nelle campagne non può assorbirli tutti. Per la pandemia, ci potrebbero essere 354 milioni di nuovi poveri nel Paese. La Chiesa dovrebbe organizzare le persone in modo che possano partecipare ai processi decisionali.

New Delhi (AsiaNews) – Per padre Frederick D’Souza, economista ed ex direttore di Caritas India, il settore agricolo non potrà assorbire i milioni di lavoratori migranti che per il Covid-19 hanno lasciato le aree urbane per le campagne da dove provengono. Oltre al problema economico, la pandemia porterà a una crescita delle discriminazioni sociali. In questo senso, la crisi è un’opportunità sotto mentite spoglie per creare una società egualitaria in India. Di seguito l’analisi di p. D’Souza.

In tutti questi anni, noi abitanti delle città abbiamo potuto godere di strade, cavalcavia, stadi e metropolitane, oltre a molte altre cose. Ci svegliamo, ogni mattina, per vedere qualcuno che ci porta latte, giornali, verdura e altro sull’uscio di casa. I “costruttori di città”, coloro che hanno realizzato i nostri appartamenti di lusso, le scuole per i nostri figli e gli ospedali per le nostre cure, sono i lavoratori migranti. Negli ultimi giorni vediamo le immagini di migliaia di questi individui che tornano a casa con i loro pochi averi e i propri figli; a volte si tratta di anziani e malati. Alcuni non ce l’hanno fatta, perché sono stati uccisi dai veicoli in corsa o dai treni; altri sono morti per il caldo e lo sfinimento.

Si stima che 25 milioni di lavoratori migranti, provenienti per lo più da 64 distretti nell’Uttar Pradesh, Bihar, Madhya Pradesh, Bengala occidentale, Chhattisgarh, Jharkhand e Orissa, stanno tornando nelle aree rurali. Forti “fattori di spinta” come la disoccupazione e la sottoccupazione, che hanno contribuito alla loro migrazione nelle città, sono dimenticati. Mentre sono rinnegati dalla stessa città che hanno costruito, ora essi sono presi da un senso di insicurezza.

In città i migranti erano senza dubbio in grado di guadagnare abbastanza per la propria sussistenza, per sostenere l’educazione dei propri figli, per curare e aiutare i genitori anziani, oltre che per le riparazioni della propria abitazione e il matrimonio delle loro figlie. Nelle aree rurali, un lavoratore guadagna di base 41mila rupie (481 euro) all’anno; in città  98mila (1.150 euro). Ovviamente, prima della pandemia, anche i “fattori di attrazione” erano altrettanto forti, poiché la maggior parte degli investimenti e la creazione di infrastrutture erano concentrati nelle aree urbane, che così potevano offrire migliori opportunità di lavoro.

Il 70% della popolazione indiana vive nei villaggi. L’enorme afflusso di persone che ritornano nelle aree rurali grava in modo ulteriore sull’economia, che era già sotto stress a causa della sottoccupazione e della disoccupazione. Nel corso degli anni si è registrato un calo degli investimenti nel settore agricolo. Inoltre, politiche come la demonetizzazione e il passaggio graduale dall’agricoltura alla produzione manifatturiera (la “transizione”) avevano bisogno di tempo per assestarsi.

In questo scenario, sarà molto difficile assorbire i migranti di ritorno nell’economia agricola, con il rischio che si crei una nuova situazione di povertà. Si calcola che il 71% della forza lavoro totale in India sia impiegata nelle zone rurali: è facile immaginare quale problema possa nascere dall’aggiunta di milioni di disoccupati dalle città . Essendo l’economia nelle aree extraurbane prevalentemente agricola, e per sua natura poco diversificata, essa non è in grado di assorbire il nuovo afflusso di lavoratori. Sebbene vi siano attività manifatturiere e di costruzione nelle regioni rurali, esse sono troppo piccole per assimilare i migranti.

Mentre siamo tutti d'accordo sul fatto che ci sarà una nuova povertà nel Paese, il dibattito è quanti saranno i nuovi poveri e come calcolarli. Ad aprile, l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha affermato che circa 400 milioni di lavoratori indiani rischiano la povertà a causa del Covid-19. Sono i salariati che vivono in città, nelle aree urbane e in quelle semi-urbane, e che lavorano per lo più su base giornaliera. Per alcuni di loro, la perdita di lavoro potrebbe essere definitiva, perché le attività in cui erano impiegati non saranno riavviate.

In un’economia dipendente dalla liquidità come quella nelle aree urbane, è molto importante avere denaro in mano per sopravvivere. Ma la povertà sarà visibile nelle aree cittadine come in quelle rurali. Attingendo a  uno studio della National Sample Survey Organization (NSSO), e ai dati della Commissione di pianificazione, Financial Express stima che a causa del coronavirus ci saranno 354 milioni di nuovi poveri in India, con la disuguaglianza data in crescita.

Le conseguenze di questa nuova povertà saranno molteplici. Ci saranno serie implicazioni sull'istruzione e sulla salute dei nuovi poveri. I bambini che studiano nelle aree urbane sono stati riportati nei villaggi, e i loro genitori cercheranno di iscriverli nelle scuole delle periferie rurali. I migranti che vivevano in città, a cui si erano abituati, soprattutto per l’accesso a strutture mediche “relativamente” migliori, ora troveranno estremamente difficile accedere alle cure nelle zone rurali.

L'aumento della disoccupazione significa che sempre più persone nelle campagne chiederanno aiuto a finanziatori privati per soddisfare le proprie necessità sociali ed economiche. Si può prevedere l’ascesa della violenza e di piccoli crimini. Possiamo aspettarci molte controversie e reati legati alla terra, questioni legate alla famiglia come la violenza domestica, la violenza contro donne e bambini e la tratta di esseri umani potrebbero aumentare.

Almeno nelle fasi iniziali, ci sarà la paura che i migranti siano portatori del virus. Tale “marchio” sociale si aggiungerà ad altre discriminazioni già esistenti, come il sistema delle caste. Vi sono notizie di persone che vengono guardate con sospetto e a cui viene negato l'accesso a villaggi, oltre che a opportunità di lavoro.

Il governo indiano ha annunciato numerosi programmi di contrasto alla povertà. Esso spenderà 35 miliardi di rupie (411 milioni di euro) per la distribuzione di cibo, una mossa molto gradita. Si prevede di registrare i lavoratori migranti per permettere loro di usufruire di vari regimi e di un salario minimo. Sono stati effettuati i bonifici bancari diretti agli agricoltori. Sebbene tutte queste azioni siano di per sé ottime, dobbiamo vedere quali effetti concreti avranno per i destinatari.

La Chiesa è sempre consapevole della sua “diakonia”, la sua chiamata a servire. Durante la pandemia e il lockdown, la comunità cattolica in India ha aiutato milioni di persone in uno sforzo senza precedenti. Dall’apertura degli ospedali per il trattamento della malattia e la quarantena, alla distribuzione di viveri e kit di sopravvivenza ai migranti e alle famiglie bisognose, la Chiesa ha fatto la sua parte. Dal livello parrocchiale a quello nazionale, tutti i cattolici sono pronti ad aiutare. Ma il peggio deve ancora venire. Ci troviamo di fronte a due problemi: superare la pandemia il prima possibile e lavorare alla ripresa economica. La Chiesa dovrebbe svolgere un ruolo in entrambi gli aspetti.

Mentre scrivo, ho avuto notizia che migliaia di lavoratori migranti stanno arrivando in Punjab. Insieme all’Haryana, lo Stato del nord-ovest è il granaio di India e il principale produttore nazionale di riso. I migranti sono la spina dorsale della produzione alimentare in questi due Stati. La buona notizia è che questa volta i lavoratori troveranno condizioni di lavoro molto migliori. Sono trasportati in autobus dal Bihar, e impiegati per quasi il doppio dei salari: 4.000-4.200 rupie (47-49 euro) per ettaro seminato.

In altre parole, i lavoratori migranti alla fine andranno alla ricerca di questi posti di lavoro in quanto vi sarà un eccesso di manodopera nei villaggi. Sia la “spinta” che i “fattori di attrazione” funzioneranno in un modo diverso, ma ci saranno. Quindi, la Chiesa può svolgere un ruolo organizzando le persone, rendendole consapevoli, creando occasioni per salari migliori e più giusti. La ricerca di lavoro nel Paese ha bisogno di essere regolamentata. Promuovere responsabilità a diversi livelli e favorire l’accesso a risorse e diritti dovrebbe essere il ruolo distintivo della Chiesa.

La creazione di mezzi di sussistenza, sia nelle aree rurali sia in quelle urbane, è di fondamentale importanza. Si tratti di lavoro autonomo o di guadagno giornaliero in nero, è necessario che i poveri ottengano un impiego. Sono i soldi che alla fine danno loro il potere d'acquisto. In altre parole, bisogna dare spazio allo sviluppo delle competenze, organizzare corsi di formazione e garantire linee di credito per creare alternative. Queste dovrebbero essere rigenerate secondo nuovi termini e condizioni basati sul principio di equità e corretta ridistribuzione delle risorse. Ciò che stava accadendo prima del Covid-19 era tutt’altro che normale: ingiustizia e oppressione erano considerate la normalità o piuttosto fatte sentire come fossero tali. La pandemia è un’opportunità sotto mentite spoglie per creare una società egualitaria. La Chiesa dovrebbe prendere sul serio gli insegnamenti sociali e lavorare sulla scorta di essi.

Il settore agricolo svolge un ruolo vitale nell'economia indiana, contribuendo al 17% del Pil nazionale. La Chiesa promuove l'agricoltura sostenibile, che di per sé è una cosa molto buona, ma senza strutture per aiutare i produttori a prendersi cura dei problemi post-produzione, come lo stoccaggio, il controllo dei prezzi e il dialogo con i consumatori, i risultati ottenuti sono modesti.

L’istituzione e il controllo della catena di approvvigionamento e dei prezzi da parte dei poveri è un bisogno urgente. Queste misure favoriranno l’assorbimento di più lavoro nelle aree rurali e minimizzeranno i “fattori di spinta” nei villaggi. I migranti che sono appena tornati o che stanno tornando a casa, hanno acquisito notevoli capacità, che dovranno essere mantenute nel tempo.

La Chiesa si deve adoperare per organizzare le persone a vari livelli in modo che possano partecipare efficacemente ai processi decisionali che influenzano la loro vita.

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