19/03/2023, 11.51
ECCLESIA IN ASIA
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Il cristianesimo e le donne nella Cina di Matteo Ricci

Su "La Civiltà Cattolica" p. Federico Lombardi ripercorre un aspetto poco noto della missione dei primi gesuiti in Cina: i battesimi e l’apostolato nascosto delle donne in una società dove il controllo sociale su di loro era strettissimo. E di una di loro - Candida, nipote di Xu Guangqi - racconta l'apostolato e la fama di santità.

Roma (AsiaNews) – La riscoperta dello stile missionario di Matteo Ricci e degli altri gesuiti europei alla corte dei Ming, tra il XVI e il XVII secolo, è un tema da tempo tornato in primo piano nella riflessione sul cristianesimo in Cina. Anche papa Francesco l’ha indicato spesso come un modello di incontro tra dialogo ed evangelizzazione. C’è un aspetto, però, che resta poco noto in questa pagina di storia della Chiesa in Asia: il modo in cui - all’ombra dei letterati, in una società in cui generalmente godevano di pochissimi spazi - anche alcune donne cinesi poterono ricevere il battesimo e divenire esse stesse missionarie grazie alla loro testimonianza. Le loro storie sono al centro di un articolo del gesuita p. Federico Lombardi, già direttore della Sala stampa vaticana, pubblicato sul nuovo numero della rivista “La Civiltà Cattolica” e redatto sulla base degli scritti che i missionari gesuiti in Cina hanno lasciato sulla loro opera.

Non era affatto scontato che il cristianesimo sarebbe arrivato anche alle donne. Come ricorda, infatti, p. Lombardi “nella società cinese le donne dovevano condurre una vita estremamente ritirata e sotto controllo strettissimo dei genitori, dei mariti e familiari. Perciò il rapporto diretto dei missionari con loro era praticamente impossibile, anzi da evitare, per non suscitare rifiuti e sospetti. Tanto più che i gesuiti abbandonarono presto gli abiti e lo stile di vita dei bonzi per assumere quello dei letterati e, mentre le donne del popolo frequentavano i bonzi, il controllo sociale sulle donne nelle classi colte era rigidissimo”.

Già nel 1589, quando nella loro prima residenza in Cina a Zhaoqing p. Ruggieri e p. Ricci non avevano compiuto più di 70-80 battesimi, si parla della presenza in quella piccolissima comunità di “alcune matrone onorate, che danno grande credito e sostentano la cristianità nelle case”. Ma fu probabilmente intorno al 1601 - annota p. Lombardi - che avvenne una vera e propria svolta, accogliendo il desiderio dei neofiti che anche le loro mogli fossero battezzate. Fu in particolare p. Nicolò Longobardo, attivo a Shaozhou, a perorare la causa ottenendo l’assenso di Matteo Ricci.

Questo non cancellava le difficoltà pratiche, ma i gesuiti si trovarono a constatare che la grazia operava andando oltre ogni ostacolo. Le fonti dell’epoca narrano quanto avvenne con un mandarino che aveva deciso di essere battezzato: “La madre e la nonna lo superarono, precedendolo nel battesimo, mentre egli allo stesso tempo la faceva da catecumeno e da catechista. Dopo di aver sentito la Dottrina, andava egli a riferire tutto a esse; e così piano piano si catechizzarono molto bene. Furono esse battezzate il giorno di Sant’Anna, alla presenza di due loro figli. Il Padre fece loro l’istruzione e le domande necessarie e le trovò molto ben catechizzate. La madre si chiamò Maria e la nonna Anna”.
P. Lombardi aggiunge che le fonti riferiscono di come queste cristiane battezzate “amavano riunirsi anche con altre donne di condizione sociale inferiore, perfino contadine, divenute anch’esse cristiane, trattandole ‘da sorelle’, e questo era occasione di ‘grande meraviglia’”.  

A un certo punto proprio le donne avrebbero assunto anche un peso importante nella diffusione del cristianesimo alla corte di Pechino: capitò quando durante il regno dell’ultimo imperatore Ming, Chongzhen, il gesuita tedesco Adam Schall von Bell riesce a entrare in relazione con l’eunuco Wang, un uomo di rara saggezza e virtù, che si convertì al cristianesimo e si fece battezzare con il nome di Giuseppe. Attraverso di lui la fede cristiana si diffuse fra le dame di corte, che egli catechizzava e alla fine battezzava, seguendo le istruzioni di p. Schall. Nel 1640 queste dame cristiane di corte erano diventate addirittura 50 e venivano guidate spiritualmente dal gesuita per iscritto proprio attraverso Giuseppe, l’unico che poteva avere contatto con loro. Nel 1644, però, sarebbe giunto l’epilogo della dinastia Ming, sconfitta dai Qing; anche questa comunità, a quel punto, si disperse con il ritorno delle donne alle loro famiglie.

Non fu però solo un contributo nascosto quello delle donne alla diffusione del cristianesimo in Cina. E tra di loro - osserva p. Lombardi - ve ne furono alcune che “grazie a favorevoli condizioni familiari e sociali, diventarono vere colonne di una Chiesa dinamica”. Il nome più noto è quello di Candida, una delle figlie di Giacomo, a sua volta unico figlio di Xu Guangqi, il più noto e autorevole discepolo e amico di p. Matteo Ricci, divenuto cristiano nel 1603. La sua storia fu raccontata in Europa già nel 1688 da p. Philippe Couplet, il suo padre spirituale, in un libro intitolato “Storia di una dama cristiana cinese”. Cresciuta a Sungkiang (Songjang, oggi un distretto della metropoli di Shanghai), Candida fu data in sposa a un personaggio ricco e autorevole, pagano ma rispettoso della sua fede cristiana; rimase però vedova a 30 anni dopo avergli dato 8 figli. Proprio questa condizione - insieme alla scelta di non risposarsi perché “non desiderava essere che di Dio” – le permise nei successivi 40 anni di vivere una vita molto attiva al servizio della comunità cristiana.

Pur senza trascurare gli obblighi della sua famiglia, Candida era maestra nell’eseguire ricami su tessuti di seta, che realizzava con le sorelle, le figlie e le domestiche, e grazie ai quali raccoglieva somme non piccole, che - scriveva p. Couplet - “impiegava segretamente, secondo il consiglio del Vangelo, per aiutare missionari, poveri, costruire chiese e cappelle e tutto il necessario per esercizi di pietà dei nuovi cristiani”. Non attingeva dunque ai beni familiari, che dovevano costituire l’eredità per i figli, ma ai frutti del suo lavoro personale, che si riteneva in coscienza libera e fiera di destinare alla carità.

Tra il 1647 e il 1665 p. Francesco Brancati, gesuita palermitano, grande apostolo della comunità cristiana di Shanghai, costruì ben 90 chiese e 45 oratori. Un’opera cui Candida collabora con offerte, arredi sacri e altre iniziative. Ma il suo apostolato fu davvero a 360 gradi, con un’attenzione particolare alle donne. “Fa capire ai missionari – scrive p. Lombardi - che per convertire le donne, che non possono andare alla chiesa, devono comporre libri di pietà in cinese. Cosa che i gesuiti fanno effettivamente, mentre Candida si dà da fare per distribuirli e donarli a tutte le donne che riesce a raggiungere. Insiste anche che ci sia una chiesa specificamente dedicata alle donne, dove a tempi stabiliti esse possano recarsi insieme per assistere alla celebrazione dell’Eucaristia, senza la presenza di alcun uomo oltre al sacerdote e un chierichetto, e dove il sacerdote possa predicare, anche se rivolto verso l’altare e non verso le fedeli presenti”.

“Se il suo grande nonno, Xu Guangqi, aveva dimostrato nei fatti che la fede cristiana poteva ispirare l’impegno di una vita intera dedicata alla scienza, alla sapienza e al servizio del suo Paese, fino ai gradi più alti di responsabilità - osserva ancora p. Lombardi - la nipote Candida ha dimostrato che la fede cristiana poteva animare l’impegno e la responsabilità di una donna cinese fino a fungere da modello e ispirazione per tutte le sue connazionali”.

Candida morì nel 1680. Secondo l’uso di allora, aveva fatto coniare una croce d’argento con la sua professione di fede: “Credo, spero, amo il Signore del Cielo, un Dio in tre persone, appoggiandomi sui sacri meriti di Gesù. Credo fermamente e spero ardentemente il perdono dei miei peccati, la risurrezione del mio corpo e la vita eterna”. P. Lombardi scrive che p. Couplet, concludendo la biografia di Candida, annotava: “Tutta la gente della città di Sungkiang riteneva questa donna come una santa”. E aggiunge: “Anche noi”.

 

Nell'immagine: Candida così come è ritratta nella biografia a lei deedicata da p. Couplet nel 1688

 

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