23/07/2005, 00.00
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L'Iraq che rinasce e il monito a Londra

di Bernardo Cervellera

Intervista a mons. Rabban al Qas, vescovo caldeo di Amadiyah e Arbil. Il futuro del Paese è laico, non fondamentalista. A Londra: "Occorre distinguere fra la libertà di espressione, il rispetto dei diritti umani e l'ospitalità data a criminali".

Komane (AsiaNews) - Per i  media occidentali l'Iraq è un paese distrutto; per mons. Rabban al Qas, vescovo di Amadiyah e di Arbil, il paese sta rinascendo: "Certo vi sono gli attentati -  ha detto in un'intervista ad AsiaNews - ma la vita quotidiana continua. Il popolo irakeno continua a vivere, non ha paura". Il vescovo afferma che in Iraq è migliorato "l'ordine, la disciplina, i trasporti, gli spostamenti, il lavoro, c'è un cambiamento positivo rispetto a uno o due anni fa". A conferma di questo egli racconta fra l'altro delle celebrazioni che avvengono in Iraq in occasione delle prime comunioni dei bambini.

Mons. Rabban sminuisce i timori di una possibile svolta islamista della costituzione ("fra gli sciiti, i cristiani, e gli stessi sunniti vi sono personalità laiche che spingono in senso contrario") e rimane fermo nell'accusa che il fondamentalisti responsabili degli attacchi vengono dall'estero: "Alcuni giorni fa  - egli dice - alla frontiera siriana sono stati arrestati 1300 terroristi. Custodire le frontiere deve diventare una decisione per tutti i paesi confinanti con l'Iraq".

Per la Gran Bretagna, segnata dal terrorismo, il vescovo ha molta compassione. Nello stesso tempo, mons. Rabban sottolinea: "[I britannici] hanno dato troppa ospitalità ai fondamentalisti e adesso ne hanno molti, che mangiano, bevono, fanno pubblicità alle loro guerre e violenze… Occorre distinguere fra la libertà di espressione, il rispetto dei diritti umani e l'ospitalità data a criminali".

 

L'intervista, rilasciata per telefono, comincia con il lungo elenco di appuntamenti del vescovo, per celebrare le prime comunioni. "Ieri – dice il vescovo ad AsiaNews – nella chiesa di san Giorgio ad Arbil vi erano 75 bambini che hanno fatto la prima comunione. Due giorni fa nella chiesa di san Pietro e Paolo ve ne erano 150. La prossima settimana a Chaklawa ce ne saranno 35; il 31 luglio ad Harmata ve ne saranno 30. E poi ancora decine e decine nei villaggi di Haragane e di Harnache. Sono tutti bambini e bambine fra gli 8-10 anni o fra gli 11-12 anni. La cerimonia comincia con una lunga processione a piedi e in macchina con migliaia di persone. Quest'anno ho parlato dell'Anno dell'Eucaristia, spingendo i miei fedeli a riscoprire lo spirito della messa. La gente rischia di dare troppa importanza alle cose materiali. Mesi prima prepariamo genitori e bambini alla comunione con una serie di conferenze invitando a parlare laici, sacerdoti, religiosi. Vengono persone da Mosul, da Baghdad, e tutta la comunità cristiana, giovani e adulti, viene animata"

Per noi l'Iraq è un paese della desolazione e del terrore, pieno di sofferenza. Che significa celebrare la comunione in un momento così?

Per noi la comunione è un pilastro della fede ed è l'unione della nostra vita con la vita di Gesù.

Noi la celebriamo anche in questo tempo difficile perché è una sfida: malgrado tutto ciò che succede, noi vogliamo vivere. Autobombe, uccisioni… Ma la vita continua nelle cerimonie di comunione, nei matrimoni, nelle feste. Certo vi sono gli attentati, ma la vita quotidiana continua. Il popolo irakeno continua a vivere, non ha paura. Anzi, si cerca di celebrare ancora più di prima, con molta più coscienza!

Lei parla perché si trova nel Kurdistan, abbastanza tranquillo; ma in altre parti del paese?

Lo fanno lo stesso, a Mosul o a Baghdad. Solo che cercano di celebrare al mattino presto, non tardi nel pomeriggio.

Prendete delle misure di sicurezza?

Non nel Kurdistan. Vi è una guarda all'entrata del cortile della chiesa, ma non voglio guardie davanti alla chiesa e davanti all'episcopio. Tutte le mie porte sono aperte. Questo anche se ad Arbil vi sono stati attentati il 2 febbraio 2004 e anche lo scorso giugno. Ogni giorno la televisione qui mostra le violenza, ma lo stesso presidente spiega che il problema dell'Iraq non è causata da divisioni religiose, ma da persone legate al potere passato o di nuovi integristi venuti dall'estero.

Ogni giorno in Iraq muoiono 23 irakeni. A quasi 2 anni dalla caduta di Saddam Hussein non c'è ancora sicurezza. C'è ancora speranza in Iraq?

Quello che i media presentano è vero: esplosioni, uccisioni, attentati. Ma se vedete quanto è stato migliorato l'ordine, la disciplina, i trasporti, gli spostamenti, il lavoro, c'è un cambiamento positivo rispetto a uno o due anni fa. Adesso la gente capisce che c'è un governo, la struttura di un nuovo stato. Migliaia e migliaia di soldati alleati, irakeni presenti. C'è una costituzione che si prepara, leggi che vengono varate. Sui percepisce la presenza dell'autorità. Prima non c'era questo. E gli integristi di Al Qaida o i terroristi venuti dall'estero cercano di penetrare in Iraq proprio per distruggere questo inizio di organizzazione sociale. Alcuni giorni fa alla frontiera siriana sono stati arrestati 1300 terroristi. Custodire le frontiere deve diventare una decisione per tutti i paesi confinanti con l'Iraq.

Giorni fa il premier Al Jafaari si è recato in Iran. L'incontro fra Iraq e Iran è un fatto positivo? L'Iran non è divenuto più integrista con il nuovo governo?

Sì, l'Iran è diventato più chiuso. Ma non si può dimenticare che molti membri del governo iracheno attuale, e lo stesso Al Jafaari, hanno legami di parentela religiosa e storica con gli sciiti. L'Iran resta un partner per l'Iraq, ma non c'è timore che il conservatorismo dell'Iran possa influenzare il nostro paese. In Iraq, la presenza dei curdi e quella dei sunniti saranno un freno a qualunque repubblica islamica.

Anche per la nuova costituzione, alcuni temono che si scivoli verso la sharia. Ma per ora quel che è certo è solo che la sharia sarà "una delle fonti" della costituzione. Ma vi saranno altre fonti. Alcune frange integraliste sciite vogliono spingere per una maggiore islamizzazione. Ma fra gli sciiti, i cristiani, e gli stessi sunniti vi sono personalità laiche che spingono in senso contrario. Al massimo, se ci saranno dei musulmani che vogliono essere guidati dalla sharia, sarà permesso loro di farlo. Ma vi è ancora dibattito e la nuova costituzione deve ancora essere votata.

E le truppe straniere sono ancora utili o controproducenti?

Le truppe straniere sono ancora necessarie per garantire la sicurezza, l'ordine e la pace. Le truppe locali sono ancora troppo poco esperte. Non dimentichiamo che i nemici di questo governo – gli ex baathisti e i fondamentalisti stranieri – vogliono proprio cancellare ogni pace per l'Iraq.  Venite in Iraq e vedrete voi stessi ogni giorno gli arresti di questi fondamentalisti stranieri.

Che cosa pensano gli irakeni di Saddam Hussein, ora che si appressa il processo per lui?

La gente vede Saddam Hussein alla televisione e hanno l'impressione che sia un film del passato. Saddam è ormai lontano e non ritornerà più.

Voi irakeni vivete ogni giorno con il terrorismo. Gli attentati di Londra cosa provocano in voi?

Anzitutto molta compassione e dolore. Ma mi preme dare un avvertimento: i britannici raccolgono i frutti degli alberi che hanno piantato nel loro paese. Hanno dato troppa ospitalità ai fondamentalisti e adesso ne hanno molti, che mangiano, bevono, fanno pubblicità alla loro guerra e le violenze.

Non sono stati capaci di prevedere il pericolo. In nome dei diritti dell'uomo hanno ospitato degli assassini. Una persona che è rifiutata dal proprio paese perché ha ucciso, perché accoglierla a Londra? Occorre distinguere fra il rispetto dei diritti umani e l'ospitalità data a criminali.

Non possono dare ospitalità alle persone che predicano la guerra, criticano l'Iraq, applaudono a decapitazioni, seminano l'odio…e con tutto ciò li si lascia parlare alla televisione e sui giornali.

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