22/05/2025, 08.34
UZBEKISTAN
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L'oltraggio alla memoria della strage di Andižan

di Vladimir Rozanskij

Mirziyoyev vuol far costruire un grande centro commerciale sul luogo dove nel 2005 centinaia di dimostranti che avevano occupato un carcere di massima sicurezza in protesta contro un'ondata di arresti furono uccisi dall'intervento dell'esercito.Le autorità hanno ripetuto per anni che i dimostranti vennero sterminati "dai terroristi islamici".

Tashkent (AsiaNews) - Ha creato un grande scandalo in Uzbekistan la decisione del presidente Šavkat Mirziyoyev di far costruire un grande centro commerciale, con un parco per divertimenti, sul luogo della “tragedia di Andižan”, vicino a una prigione di massima sicurezza dove vent’anni fa fu versato il sangue dei dimostranti, che avevano occupato il luogo di detenzione. La scelta è stata giustificata dalla necessità di costruire anche un cavalcavia nella zona, che modificherà la struttura della piazza della memoria e degli edifici connessi, e il presidente ha aggiunto che “un carcere così lugubre, costruito cent’anni fa, non è adatto al centro di una città moderna”.

Vent’anni fa, il 13 maggio 2005, nell’antica città uzbeka di Andižan, nella pianura vicino a Fergana dove scorreva la “Via della Seta”, avvennero scontri realmente drammatici, con manifestazioni di protesta per l’arresto e il giudizio in tribunale di alcuni uomini d’affari del luogo, terminate con la polizia che sparava addosso ai dimostranti davanti alle mura della prigione dove erano detenuti gli accusati, che la folla riteneva innocenti. I testimoni di quegli eventi si sono dispersi per tutto il mondo, e l’apertura di un mall nella zona è ritenuto dagli attivisti per i diritti umani come un vero oltraggio alla memoria.

I 23 imprenditori di Andižan erano stati arrestati a giugno del 2004, con l’accusa di legami con il movimento religioso Akramija guidato da uno di loro, il businessman Akram Juldašev, che era rinchiuso in cella fin dal 1999 con una condanna per “estremismo”. Secondo notizie non ufficiali, Juldašev è poi morto in prigione nel 2011 per tubercolosi, come si è saputo soltanto nel 2016. In realtà molti dubitavano dell’esistenza stessa dell’organizzazione, e tutta la vicenda era considerata una lotta interna al mondo degli affari della regione, visto che dopo l’arresto di Juldašev le sue aziende erano finite in mano al nuovo governatore di Andižan.

Quando iniziarono le udienze del tribunale, a febbraio 2005, si radunarono in piazza i sostenitori degli imprenditori accusati, all’inizio un centinaio e poi qualche migliaio, con azioni pacifiche di protesta, ma nella notte del 13 maggio tutto prese una piega drammatica, con 35 uomini armati, poi definiti “estremisti islamici”, arrivati dal Kirghizistan per attaccare i poliziotti, prendendo loro le armi e dirigendosi verso la prigione al centro della città, da cui liberarono circa duemila carcerati, compresi gli imprenditori sotto accusa. Si diressero quindi verso il luogo dove erano radunati i dimostranti, per poi occupare l’amministrazione comunale di Andižan pretendendo l’arrivo dell’allora presidente Islam Karimov. Arrivarono invece dei mezzi corazzati, che aprirono il fuoco sulla folla radunata, spargendo sangue su tutte le strade del centro città.

Secondo i dati ufficiali, ad Andižan morirono quel giorno 187 persone, ma secondo i calcoli dei testimoni furono certamente diverse migliaia. Secondo quanto pubblicato dai giornalisti in varie inchieste, nel quartiere Bogišamol nella periferia della città c’è un cimitero dove in ogni tomba furono sepolte quattro persone alla volta, e alcuni videro nell’obitorio i corpi allineati, con il numero attaccato al piede, superando di molto le mille persone. I testimoni oculari di quelle vicende furono a loro volta ricercati e perseguitati, e molti di loro sono fuggiti all’estero.

Le autorità hanno ripetuto per anni che i dimostranti vennero sterminati dai terroristi islamici, e non dalle forze dell’ordine. Solo dopo la morte di Karimov, a febbraio del 2020, la vice-procuratrice Svetlana Artikova ammise per la prima volta che furono i soldati inviati dal presidente ad aprire il fuoco contro la folla. La decisione di Mirziyoyev mira oggi a far dimenticare quelle tristi vicende, esaltando il “nuovo Uzbekistan democratico”, ma gli attivisti definiscono questa politica come “un assoluto cinismo” che cerca soltanto di imporre una visione propagandistica del Paese. Trasferire le prigioni dal centro delle città alle periferie, affermano alcuni, è normale in tutti i Paesi civili, ma “senza cancellare la memoria delle vittime”.

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