13/11/2023, 10.36
LIBANO - GAZA
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La guerra fra Israele e Hamas un ‘pantano’ in cui affonda l'intero Medio oriente

di Fady Noun

Nei circoli libanesi si afferma l’opinione che Netanyahu abbia fissato obiettivi troppo elevati, rischiando di restare invischiato nel conflitto di Gaza. Senza un cessate il fuoco nella Striscia i civili continuano a morire. Per Hezbollah questa è la “guerra di Hamas”, ma resta aperto lo scontro “sottile” con l’esercito israeliano fiocando con le “regole di ingaggio” in vigore nel sud del Libano. Restano le forti divisioni nel mondo arabo e islamico. 

Beirut (AsiaNews) - “Se Israele non vince, perde. Se Hamas non perde, vince”. Secondo il generale in pensione Elias Hanna, intervenuto su un canale televisivo libanese, è questa l’equazione che regola il conflitto tra Hamas e Israele, entrato nel secondo mese. Ed è anche, ovviamente, la questione cruciale del cessate il fuoco nella Striscia, che Israele continua a rifiutare. Tuttavia a Beirut l’impressione è che Israele cominci a rimanere invischiata nel pantano di Gaza, sapendo che, secondo il diplomatico americano Amos Hochstein in visita in Libano, gli Stati Uniti “non hanno dato a Israele una scadenza indefinita” per la sua operazione militare.

Dichiarando di voler “distruggere Hamas”, Benjamin Netanyahu ha posto l’asticella degli obiettivi sin troppo in alto, secondo l’opinione comune che circola negli ambienti della capitale libanese. Il premier israeliano sta cercando una vittoria clamorosa per lavare via l’affronto del 7 ottobre e i suoi stessi errori, ma questo sembra un target difficile da raggiungere. Ad oggi, l’esercito israeliano non ha segnato alcun punto decisivo contro Hamas, non avendo catturato nemmeno un prigioniero tra le fila delle brigate di al-Qassam o della Jihad islamica, né individuato l’esatta posizione all’interno della rete di tunnel dove sarebbero custoditi i circa 200 ostaggi nelle mani del gruppo estremista.

Intanto, secondo gli esperti sul fronte nord di Israele è in corso un conflitto “sottile”. In un nuovo discorso pronunciato l’11 novembre scorso in occasione della “Giornata del martire”, il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah ha ribadito che il versante libanese-israeliano è “un fronte di sostegno” e non può sostituire il conflitto in corso a Gaza. “Questa è la guerra di Hamas, non di Hezbollah. Hamas si è assunto l’onere dell’iniziativa nell’offensiva del 7 ottobre senza avvisarci” è l’opinione comune nelle alte sfere del movimento sciita filo-iraniano, come sottolinea la giornalista ed esperta Scarlett Haddad.

Queste tacite rassicurazioni hanno calmato le preoccupazioni dei libanesi. Ma la minaccia di un allargamento del conflitto non è stata completamente esclusa e resta concreta. Infatti "per Hezbollah, come per Teheran, vi sono ancora delle linee rosse che non si possono superare: la distruzione di Hamas o un’operazione su larga scala in Libano”, aggiunge Scarlett Haddad. Nel frattempo, il partito sciita sta giocando abilmente, anche se con un costo umano esorbitante, con le “regole di ingaggio” in vigore nel sud del Libano. Lungi dall’essere una finzione o poco più di una semplice scaramuccia, il conflitto al confine settentrionale di Israele è già costato a Hezbollah 68 combattenti, la metà di quelli persi nella guerra del 2006.

Nel fine settimana Hassan Nasrallah ha annunciato “un rafforzamento dell’azione della resistenza sul fronte libanese, in termini di numero di operazioni, numero di obiettivi e anche di armi utilizzate”. Hezbollah ha usato razzi Katyusha per bombardare le caserme di Dovev e Safad e Kiryat Shmona, ferendo 15 persone, in risposta alla morte di civili - una donna e le sue tre nipoti - in un attacco di droni. 

Divergenze nel mondo arabo

Fino a quando continuerà il gioco al massacro a Gaza? La risposta non è certo nelle mani del mondo arabo-islamico, che pure ha fatto segnare il primo incontro ufficiale fra il presidente iraniano Ebrahim Raisi e il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman. Guardando alla “realpolitik”, i risultati del vertice congiunto della Lega Araba e dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (Oic), tenutosi a Riyadh l’11 novembre, hanno evidenziato le forti divisioni regionali su come rispondere al conflitto. Pur condannando le azioni “barbare” delle forze israeliane a Gaza, il vertice non ha stabilito sanzioni economiche e politiche realmente dissuasive contro Israele e i suoi alleati, come la rottura dei legami economici e diplomatici o il taglio delle forniture di petrolio.

Il comunicato finale del vertice ha respinto le argomentazioni di Israele secondo cui starebbe agendo per “autodifesa” e ha chiesto che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotti una risoluzione “vincolante” per porre fine alla “aggressione” a Gaza. La nota ha inoltre respinto qualsiasi futura soluzione politica al conflitto che tenga separata la Striscia dalla Cisgiordania occupata da Israele. Da parte sua, il primo ministro libanese uscente, Nagib Mikati, ha affermato che la scelta del Libano è votata “alla pace”. Tranquillizzato dal misurato impegno militare di Hezbollah contro Israele, il premier ad interim ha persino elogiato il “ruolo nazionale” svolto dal partito, una concessione alla pace civile e a una parvenza di unità interna di fronte al nemico.

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