17/10/2023, 10.12
LIBANO - ISRAELE - PALESTINA
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Beirut sospesa fra il martello israeliano e l’incudine Hezbollah (e Teheran)

di Fady Noun

La Francia mette in guardia il Libano (e il movimento sciita filo-iraniano) su un’avventura bellica che rischia di affossare il Paese. Ma Hezbollah non permetterà una invasione di Gaza da parte israeliana “senza reagire”. Per i libanesi il terrorismo disumano di Hamas si è nutrito della cieca politica della destra israeliana che usa la forza, disprezza la legge e pratica l’apartheid.

Beirut (AsiaNews) - In attesa di una soluzione diplomatica o di una devastante escalation militare, preso fra il martello israeliano e l’incudine di Hezbollah, il Libano sta trattenendo in questi giorni il fiato in attesa del proprio destino. 

L’essenziale per Hezbollah è di “mantenere vaghe le proprie intenzioni” afferma il giornalista ed esperto Qassem Qassir. Tuttavia, il movimento sciita filo-iraniano “non lascerà che Israele invada Gaza senza reagire” aggiunge convinto. E, in tal caso, “prevarrà la dottrina militare - conclude - della unità dei cosiddetti ‘fronti’ anti-israeliani”.

Una dichiarazione in tal senso è giunta ieri sera per bocca del ministro degli Esteri di Teheran Hussein Amir Abdollahian. “La scadenza per una soluzione politica si avvicina - ha sottolineato - e la possibilità di un allargamento della guerra sembra sempre più inevitabile”. 

Escalation o diplomazia che sia, l’obiettivo principale di Hezbollah è innanzitutto quello di fungere da deterrente. In questo senso il gruppo militante si propone di mantenere quasi 300mila elementi dell’esercito israeliano mobilitati sul fronte nord. Tuttavia, con l’invio di due portaerei nel Mediterraneo orientale, gli Stati Uniti stanno anch’essi inviando un segnale, facendo capire di essere presenti pure loro come forza di dissuasione di cui tutti devono tenere conto. Un doppio deterrente che assomiglia molto a una politica sempre più sull’orlo del precipizio.

La tensione è aumentata a tal punto che ieri il Canada ha invitato i suoi cittadini in Libano a “prendere in considerazione l’idea di lasciare il Paese”, almeno fino a quando i voli commerciali resteranno disponibili prima di un blocco dei collegamenti. 

Sul terreno

Dal 7 ottobre, le operazioni militari in Libano si sono limitate a scambi di artiglieria in aree quasi interamente evacuate dalla popolazione civile, che si sono sommate alle incursioni in territorio israeliano da parte di gruppi armati palestinesi appartenenti ad Hamas o Jihad islamica. Nell’arco di una settimana, queste scaramucce hanno provocato una decina di morti da entrambe le parti, fra cui quattro combattenti di Hezbollah, due civili e un fotoreporter libanese, Issam Abdallah, che lavorava per la Reuters.

Dal canto suo, l’esercito libanese sta cercando di mantenere lo status quo. Ad esempio, nei pressi del campo palestinese di Bourj el-Chemali, non lontano da Tiro, i militari hanno disinnescato razzi Katyusha che dovevano essere lanciati contro il territorio israeliano.

La maggior parte delle forze politiche di Beirut, pur sostenendo verbalmente e con manifestazioni la lotta palestinese, nutre delle riserve sul coinvolgimento militare del Libano in una guerra con Israele. Tuttavia, sanno che questa decisione non dipende da loro. Stretti tra il martello israeliano e l’incudine di Hezbollah, sono ben consapevoli che sarà la guida suprema iraniana Ali Khamenei, su consiglio di Hassan Nasrallah, a decidere se il Paese dei cedri sarà ancora una volta distrutto in nome di una causa che va contro i suoi stessi interessi.

Il balletto diplomatico

Sul versante diplomatico, il Libano è al centro della danza incrociata a livello regionale del segretario di Stato americano Antony Blinken e del ministro iraniano degli Esteri Hussein Amir Abdollahian. Arrivata in Libano ieri dopo aver fatto tappa a Tel Aviv e al Cairo, il ministro francese degli Esteri Catherine Colonna ha incontrato il primo ministro Nagib Mikati, il presidente della Camera Nabih Berry e il comandante dell’esercito Joseph Aoun. La titolare della diplomazia di Parigi ha consigliato vivamente ai libanesi di non cedere a un’avventura bellica da cui il Paese dei cedri “non si riprenderà”, insistendo sulla necessità che “nessun gruppo libanese” (il riferimento ovvio e nemmeno troppo implicito è a Hezbollah) approfitti della situazione attuale.  

Tuttavia, le sue parole sono state accolte con scetticismo dai libanesi, indignati anche per la cecità delle potenze occidentali. Ai loro occhi, infatti, non hanno capito che sebbene i massacri perpetrati da Hamas portano l’impronta disumana del terrorismo, il terreno in cui questo estremismo è cresciuto e si è alimentato è riconducibile a una politica estera cieca della destra israeliana. Una politica, concludono, che conosce solo la forza, disprezza i diritti altrui e pratica l’apartheid.

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