22/01/2024, 12.14
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La morte di Qi Zhiyong, testimone di Tiananmen con il suo corpo

Mutilato a causa delle raffiche dell'Esercito popolare di liberazione, per 35 anni ha continuato a esibire le sue ferite per raccontare i fatti del 4 giugno 1989 che Pechino ha fatto di tutto per cancellare dalla memoria. Ex dipendente di un'azienda pubblica, disilluso dal Partito "che mi ha sparato alle gambe", aveva incontrato la fede cristiana sostegno nelle sue battaglie.

Pechino (AsiaNews) – Si è spento nei giorni scorsi per malattia in un ospedale di Pechino Qi Zhiyong, un uomo rimasto mutilato per le ferite subite il 4 giugno 1989 nella repressione di piazza Tiananmen che – nonostante le ripetute intimidazioni ricevute dalle autorità comuniste – non aveva mai smesso di raccontare il perché delle ferite che portava sul suo corpo.

Nato a Pechino, aveva 33 anni e lavorara per un’impresa statale di costruzioni Qi Zhiyong quando nel 1989 aveva deciso di unirsi agli studenti che manifestavano nella grande piazza centrale della capitale. Ed era l’ì anche quando scattò la durissima repressione il 4 giugno. “Ho visto persone investite – raccontava – il sangue schizzava ovunque. I carri armati continuavano a muoversi, come se le persone non ci fossero”. Colpito nella fuga lui stesso dalle raffiche dell’Esercito popolare di liberazione finì in ospedale con ferite a entrambe le gambe e una dovette essere amputata nella parte superiore. Durante una trasfusione per quell’intervento contrasse anche l’epatite C. E proprio un tumore al fegato diagnosticato nel 2017 lo ha portato alla morte, anche se la famiglia non ha voluto rivelare la data e l’ospedale in cui è avvenuto il decesso per paura di ritorsioni.

Con coraggio, infatti, Qi Zhiyong durante tutti questi anni ha sempre utilizzato la sua menomazione per rompere il silenzio imposto da Pechino sui fatti del 4 giugno 1989.  Qi raccontava che dopo l'amputazione della gamba, indossava spesso dei pantaloncini per mostrare le cicatrici e raccontare la sua storia a chiunque glielo chiedesse. Diceva che la sua azienda statale, che lo aveva licenziato a causa dell'infortunio, gli aveva offerto 100mila yuan (27mila dollari nel 1989) in cambio del silenzio su come aveva perso la gamba. Una proposta che aveva rifiutato. “Racconterò questa storia per il resto della mia vita - diceva -, perché non è solo la mia storia. Se avessi accettato quell'offerta sarei impazzito: ho una responsabilità nei confronti di questa nazione”. Per questo suo comportamento non aveva ricevuto alcun aiuto dalle associazioni “ufficiali” per la tutela dei disabili. Ma lui aveva continuato per la sua strada, impegnandosi anche a raccogliere i nomi di altre persone che erano diventate disabili a causa degli “incidenti del 4 giugno”. Per questo - nonostante la sua condizione - aveva subito anche misure restrittive da parte delle autorità di Pechino.

Nel suo impegno per la memoria dei fatti di piazza Tiananmen, Qi Zhiyong era sostenuto anche dalla sua fede cristiana, che aveva abbracciato negli anni successivi alla tragedia del 1989. “Ero stato educato a credere nel nostro governo - aveva raccontato in un’intervista - ma il governo mi ha sparato alle gambe. Molte persone hanno perso fiducia nell'educazione, nella politica e nell'ideologia del Partito comunista. Così ci siamo precipitati in chiesa”. Nel 2017 raccontava di pregare per Liu Xiaobo - l’intellettuale cinese incarcerato premio Nobel per la pace e promotore del movimento Charta08 per i diritti umani in Cina che sarebbe morto in quello stesso anno. “Prego per lui ogni giorno nel nome del Signore Gesù”, scrisse in un messaggio.

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