09/07/2021, 11.28
FILIPPINE
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Manila, il cappellano del porto racconta l'odissea dei marittimi (VIDEO)

di Alessandra De Poli

L'arrivo del Covid-19 ha rallentato i commerci via mare e a soffrirne sono stati anche migliaia di filippini, che rappresentato il 27% dei marittimi di tutto il mondo. Alla vigilia della Giornata dell'apostolato del mare p. Paulo Prigol spiega come siano riusciti a superare tutte le avversità di questo periodo.

Manila (AsiaNews) - Tra le categorie di lavoratori più colpite dal Covid-19 c'è quella dei marittimi, per mesi bloccati a bordo delle loro navi durante la quarantena che ha fermato il commercio. Ed è a loro che la Chiesa cattolica in tutto il mondo guarderà in modo particolare domenica 11 luglio, celebrando come ogni anno la domenica dell'Apostolato del mare. Un appuntamento molto sentito nelle Filippine, il Paese dal quale provengono il 27% del personale marittimo di tutto il mondo. Al loro servizio nel porto di Manila vive il suo ministero da 11 anni p. Paulo Prigol, missionario scalabriniano originario del Brasile. Nei tre centri Stella Maris di Manila gestiti dal sacerdote viene dato sostegno ai naviganti e alle loro famiglie: pasti, alloggio, servizi religiosi e supporto paralegale. Fino a qualche anno fa i missionari facevano anche le visite sulle navi e alle scuole marittime.

La situazione pre-Covid è ancora lontana. “Prima della pandemia nei nostri centri passavano 300 persone al giorno, adesso sono un centinaio. Nell’ultimo anno solo 2 o 3 persone al giorno partono sulle navi. Questo ci dice cosa succede in giro per il mondo. Non si effettuano più i cambi di equipaggio. E se prima i contratti prevedevano che si potesse stare per mare per un massimo di 9 mesi o qualcosa di più, ora le assunzioni prevedono che si debba stare a bordo anche fino a 18-20 mesi”. 

Nelle Filippine si registrano tra i 5 e i 6mila nuovi casi di Covid-19 al giorno. Così per continuare a lavorare bisogna sottostare a lunghe quarantene o essere vaccinati: però i vaccini non sono ancora disponibili per tutti. A tutto ciò si aggiunge la pressione da parte delle famiglie, che fanno affidamento sullo stipendio dei marittimi, e lo stigma sociale, che piano piano grazie al lavoro dei missionari sta cambiando, racconta p. Prigol. “Anche i marittimi dovrebbero essere visti come degli eroi. Il 90% dei beni mondiali viene trasportato per mare. Sono circa 50mila le navi in tutto il mondo che non si possono mai fermare. Però con il Covid la gente ha cominciato a vederli come portatori del virus”. Per la domenica del mare, i missionari hanno realizzato un video per ringraziare i marittimi e i pescatori per il loro lavoro: "Senza di loro non avremmo gli oggetti che ci servono nella vita di tutti i giorni".

Nonostante tutte le difficoltà i naviganti filippini con cui ha avuto a che fare p. Prigol non si sono persi d’animo. Nelle Filippine si parla di spirito bayanihan, una parola che in tagalog indica il senso di comunità, l’aiutarsi a vicenda, il condividere. “Dal 13 marzo 2020 i centri sono rimasti chiusi per 90 giorni per limitare i contagi. Abbiamo accolto circa metà delle persone che vengono ospitate di solito e nessuno è entrato o uscito. Io mangio sempre pane e caffè, ma i ragazzi qui preferiscono il riso. Fino ad oggi non sono mai dovuto andare a comprare un singolo sacco di riso, perché tutti qui condividono quello che hanno. Questo è lo spirito bayanihan, e la resilienza dei filippini è incredibile”. 

Però la pressione psicologica continua a montare e ora è la preoccupazione principale dei missionari. Una volta a settimana i religiosi tengono un incontro di condivisione, ma a volte non basta. “Un ragazzo dopo 12 giorni di quarantena in una stanza di 12 metri quadri mi ha chiesto ‘Padre, la prego, mi dia solo una stanza grande dove posso respirare’. Un altro ci ha contattati tramite Facebook mentre era bloccato su una nave. Ha cominciato a sentire una pressione psicologica troppo forte, non sapeva come gestirla. Io ho fatto molta attività di consulenza online. Per lui il problema più grande era affrontare le insistenze da parte della famiglia, che gli chiedeva di estendere il contratto per mandare i soldi a casa. Ma lui soffriva nella stanza piccolissima sulla nave. Dopo diversi mesi è rientrato nelle Filippine e l’ho messo in contatto con una psicologa professionista. Questa storia è finita bene, ma anche se non abbiamo dati, il tasso di suicidi nelle Filippine è in aumento”. Ma p. Prigol dice di avere fiducia: un po’ come il mare, i filippini sono un mistero che riesce sempre a sorprenderti.

 

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