27/02/2023, 10.51
TURCHIA - SIRIA
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Mons. Bizzeti: Antiochia è una città post-atomica. Sisma e migranti, risposte comuni

di Dario Salvi

Il vicario d’Anatolia ha visitato quello che può essere considerato il centro più colpito dal sisma del 6 febbraio. Iniziano a emergere i primi casi di colera ed è forte il rischio di “infezioni sanitarie”. Le persone fuggono, mentre cala l’attenzione dell’opinione pubblica. Sisma e morte in mare dei migranti, come avvenuto ieri in Italia, problemi legati fra loro: serve “visione di insieme”. 

Milano (AsiaNews) - Ad Antiochia “ho visto uno scenario da guerra post-atomica: una città di fantasmi, spettrale, dove per chilometri non si vede nemmeno un’abitazione che possa essere riparata” e gran parte della città è “soffocata da milioni di tonnellate di macerie”. È una testimonianza drammatica quella affidata ad AsiaNews da mons. Paolo Bizzeti, vicario d’Anatolia, che nei giorni scorsi ha visitato “il centro più colpito” dal devastante terremoto in Turchia e Siria del 6 febbraio. Antakya, una metropoli un tempo attiva e brulicante di persone e commerci oggi “è una città di spettri, presidiata dai militari, in cui cominciano ad emergere i primi casi di colera” e si fa sempre più reale il pericolo di “infezioni sanitarie”. 

Nel fine settimana la terra è tornata a tremare con forte intensità: secondo il Centro sismologico euro-mediterraneo il sisma si è verificato a 10 km di profondità nella zona di Obruk Bor, a Nigde, nel settore centro-meridionale del Paese. Dal 6 febbraio si sono avvertite almeno 9mila scosse di assestamento, alcune delle quali di enorme portata che hanno causato ulteriori vittime. Il bilancio complessivo è di oltre 50mila morti, di cui 44.218 in Turchia e quasi 6mila in Siria, dove la conta è ancora più incerta perché alcune aree sono controllate dal governo e altre nelle mani di gruppi ribelli e jihadisti. Fino a 530mila gli sfollati, di cui 10mila in Siria mentre Ankara ha arrestato 184 persone accusate di negligenza nella costruzione di edifici crollati. 

Fare un bilancio plausibile delle vittime è “difficile, quasi impossibile da sapere” osserva il vicario d’Anatolia, anche perché solo i rifugiati siriani erano oltre i 150mila nell’area e nessuno “ne denuncia la scomparsa”. “Le proporzioni della tragedia - continua - sono ancora oggi tutte da scrivere” anche se l’interesse dei media internazionali e dell’opinione pubblica sta già cominciando ad affievolirsi. Al contrario, avverte, “bisogna mantenere alta l’attenzione” e “continuare a testimoniare con racconti, foto e filmati la situazione ad Antiochia, mostrarne il dramma. La gente scappa, cerca in tutti i modi di andare via - aggiunge - migliaia di persone, che di fatto la renderanno una città spettrale”. 

Per rendere l’idea della devastazione, mons. Bizzeti racconta di aver percorso una via della parte antica in cui “per sei chilometri non è rimasta in piedi nemmeno una casa”. “Una apocalisse di tali dimensioni - aggiunge - mi ha fatto gelare il sangue. A Iskenderun avevo colto la situazione, la vista della città non mi ha sorpreso mentre ad Antiochia è almeno 10 volte peggio, difficile da capire e da raccontare, se non si vede con i propri occhi” e “chi ha potuto, se n’è andato”.

In questo quadro di emergenza, la Chiesa locale e la Caritas, d’intesa con le autorità locali, continuano nell’opera di aiuto distribuendo fino a 1.000 pasti al giorno. Il centro di raccolta e smistamento è a Iskenderun, che seppur colpita non presenta un quadro apocalittico come Antakya. “Stiamo lavorando molto bene - osserva il vicario d’Anatolia - e abbiamo già iniziato a studiare i primi progetti di ricostruzione. Diversamente, ad Antakya tutto è crollato [si sono salvate solo la grotta di san Pietro e il museo fra gli edifici religiosi e culturali, ndr] e chi non è rimasto sotto le macere è andato via”. In una prospettiva di ricostruzione, è in programma a marzo a Bruxelles una importante conferenza di Paesi donatori che vogliono aiutare la Turchia: “In quest’ottica - sottolinea - è fondamentale che vi siano accordi precisi e chiari, perché l’aiuto ai terremotati non si trasformi in un semplice mandare dei soldi, come è stato nel caso dei rifugiati” di cui ieri, sulle coste italiane, si è consumata l’ennesima tragedia.

Una nave salpata proprio dalla Turchia e che è naufragata al largo della Calabria, nel sud, causando la morte di almeno 59 persone, fra i quali nove bambini e cinque bambine. “Le cause della fuga possono essere diverse: il terremoto, la guerra, la povertà, l’impossibilità di un futuro - conclude mons. Bizzeti, che da anni segue in prima persona dalla Turchia la questione migrazione - ma il risultato è sempre lo stesso. Le persone fuggono da luoghi in cui la vita è impossibile. Dall’altra parte, non si può essere generosi e solidali nel momento della tragedia e non affrontare poi le conseguenze della tragedia stessa. A livello internazionale non si può isolare un problema da un altro, serve una visione di insieme per affrontare tutte le questioni aperte, altrimenti diventa un modo di pensare, e di agire, schizofrenico”. 

(Foto di Amici del Medio oriente Onlus)

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