02/09/2022, 10.16
LIBANO
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Mons. Spiteri: l’apertura è nel Dna dei libanesi, continuare nel dialogo

di Fady Noun

Il nunzio apostolico, fresco di nomina in Messico, saluta il Paese dei cedri dove è arrivato nel 2018. Per il diplomatico il vivere in comune è la base della grandezza, l’ostinata perseveranza nell’errore il limite maggiore. La perdita di fiducia della comunità internazionale. Il nodo della neutralità e i partiti sovranisti.

Beirut (AsiaNews) - Il vivere in comune, che è da sempre l’elemento alla base della grandezza del Libano e dei suoi cittadini. E l’ostinata perseveranza nell‘errore, che rappresenta forse il loro limite maggiore. Fra queste due constatazioni di fondo, si dipana l’intervista concessa ad AsiaNews dal nunzio apostolico in Libano mons. Jospeh Spiteri, alla vigilia della partenza per il Messico, la sua nuova destinazione dopo la nomina di papa Francesco il 7 luglio. 

“Sfortunatamente, nell’accordo di Taëf del 1989, che ha messo fine alla guerra civile, ciascuna fazione - spiega il prelato di origini maltesi, nel Paese dei cedri dal 2018 - si è mossa perseguendo il proprio tornaconto personale. E ancora oggi non sono riusciti a capire che in 30 anni hanno distrutto il Paese e che continuano a farlo”. Il nunzio apostolico parla con pacifica lucidità: deplora in particolare il fatto che, a causa della diffusa corruzione e del malgoverno, che hanno causato una delle più gravi crisi economiche del nostro tempo in Libano, lo Stato libanese "abbia perso la fiducia della comunità internazionale”. 

Quest’ultima, osserva il diplomatico, “ora ha la tendenza a volerlo evitare e concedere direttamente gli aiuti alle istituzioni indebolite dall’inflazione”. Così è avvenuto con il Qatar, che ha stanziato un fondo direttamente all’esercito libanese. E la stessa cosa ha fatto la Santa Sede, le cui agenzie caritative assistono direttamente la rete delle scuole cattoliche, che garantisce l’istruzione a circa il 25% della popolazione scolastica libanese.

Mons. Spiteri, molti pensano che il papa abbia rinviato la visita perché non sosterrebbe la campagna sulla neutralità internazionale del Libano e per le critiche a un clero maronita che vivrebbe nel lusso, a differenza dei fedeli che versano in condizioni di disagio. Che ne pensa?
Certo, papa Francesco non risparmia le critiche al clero. L’ha rifatto di recente, rivolgendosi ai cardinali appena creati, ai quali chiede di non non farsi invischiare nel giochetto dei titoli e delle onorificenze quando vengono chiamati ‘eminenza’, ma di rimanere accanto ai piccoli. Il pontefice denuncia anche con regolarità il clericalismo e la mondanità. Ma le critiche del papa sono generali. E ciascuno è chiamato a fare il proprio esame di coscienza. 
In secondo luogo, per quanto concerne la neutralità, va osservato che questo termine non compare in nessun documento proveniente dalla Santa Sede. Perché nel contesto in cui viene utilizzato, questo termine è percepito come diretto contro Hezbollah. Tuttavia Hezbollah, come tutti i partiti libanesi, si definisce “sovranista“ e la sua opinione non può essere affatto esclusa dal dialogo interno. D’altra parte sappiamo anche che la neutralità è una delle fondamenta del patto nazionale alla base del Libano, che non è “né Oriente né Occidente”. In un certo senso, il Paese è Oriente e Occidente al tempo stesso. L’apertura è insita nel Dna del Libano. Dobbiamo continuare secondo questa logica, pur dovendola al contempo ridefinire su nuove basi. Ma attenzione: “L’avvenire sarà pacifico solo se sarà comune” ha ricordato il papa durante la giornata di preghiera per il Libano tenutasi in Vaticano, il primo luglio 2021, alla presenza dei patriarchi orientali.

Durante la giornata, il papa ha detto anche che "il Libano, con la sua esperienza unica di pacifica convivenza, non può essere lasciato in balia della sorte". Voi la vedete applicata nella pratica, oggi, questa “coesistenza pacifica”?
Papa Giovanni Paolo II ha affermato che il vivere insieme in Libano è “un messaggio, un modello di libertà e tolleranza”. Di libertà, e questo tendiamo a dimenticarlo. Questa è l’esperienza del Libano, prima ancora del Grande Libano. In Libano si respira la libertà. Il Monte Libano è sempre stato un rifugio per le minoranze perseguitate. Rimane la fratellanza. Senza la fratellanza, la libertà e l’uguaglianza perdono di valore. 
Ciononostante, sento che la Chiesa non ha fatto abbastanza per sensibilizzare i giovani su questa eredità storica, per prepararla a farsi coinvolgere nella politica che Paolo VI considerava “il più nobile degli impegni”. Sfortunatamente, lo spazio è occupato da decenni dalle stesse persone. E non si intravede all’orizzonte la prospettiva di un ricambio.

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