10/05/2023, 09.00
ISRAELE-RUSSIA-UCRAINA
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Nel 2022 in 75mila in Israele con la 'legge del ritorno' dall'area ex sovietica

di Vladimir Rozanskij

Boom di immigrati di matrice ebraica da Ucraina, Russia e Bielorussa come conseguenza della guerra. Adottate dal governo israeliano procedure per rendere più rapide le procedure. Ma ultra-ortodossi e sionisti religiosi ora premono per una stretta per chiudere le porte a chi non professa davvero l'ebraismo.

Mosca (AsiaNews) - Secondo i dati ufficiali del governo, il “rimpatrio” in Israele di persone di radice ebraica da Russia, Ucraina e Bielorussia è arrivato nel 2022 a circa 75 mila persone, con numeri che variano a seconda delle agenzie che si occupano della questione. Questo è stato possibile grazie al programma di “rimpatrio d’emergenza”, introdotto subito dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, che ha semplificato le procedure della “legge sul ritorno” permettendo di arrivare nel Paese con ingressi turistici, senza l’abituale richiesta ufficiale dei consolati del luogo di partenza.

In questo modo è stato possibile ottenere la cittadinanza israeliana nel giro di tre giorni, ma l’enorme flusso di arrivi ha comunque rallentato le pratiche, e già dall’autunno l’attesa del passaporto richiedeva diverse settimane. Dal 15 aprile di quest’anno il programma è stato chiuso ai cittadini provenienti da Russia e Bielorussia, ma continua ad essere attivo per gli ucraini; i russi e bielorussi giunti prima di quella data devono riuscire a ottenere i documenti entro il 15 giugno. Gli altri dovranno seguire il normale iter, risalente ancora al 1950.

La legge sul rimpatrio era stata integrata nel 1970, con liste di categorie di stranieri aventi il diritto di essere accolti in Israele per i loro legami con la diaspora ebraica nel mondo, a cui si attribuisce il “rimpatrio”, e non la semplice naturalizzazione di un immigrato straniero. I rimpatriati non sono tenuti a vivere alcuni anni nel Paese come gli altri immigrati, ma possono andare dove vogliono, una volta ottenuto il passaporto. Negli anni Settanta questo aveva permesso un grande esodo di persone più o meno attribuibili alla diaspora ebraica dall’Unione Sovietica, anche perché l’ateismo non era un’obiezione al rimpatrio, a differenza dell’assunzione di una diversa religione, soprattutto cristianesimo e islam.

L’assistenza anche economica per il rimpatrio nei Paesi ex-sovietici è tradizionalmente affidata all’“Agenzia ebraica per Israele”, altrimenti nota come Sokhnut. Nel 2022 il ministero russo della giustizia aveva chiesto la chiusura della Sokhnut in Russia, sottoposta a forti pressioni e continue verifiche, e il lavoro è stato trasferito ad un’altra agenzia, la Marom, molto legata alla Sokhnut. In alternativa vi era appunto il viaggio turistico da trasformare in rimpatrio, considerando che russi e bielorussi godono del diritto di rimanere in Israele per tre mesi senza alcun visto, per poi presentare richiesta da risolvere entro sei mesi.

Questi cambi di procedure nell’anno della guerra si sono intrecciati anche con i cambiamenti legati alle elezioni anticipate in Israele, che hanno riportato Beniamin Netanyahu alla guida del Paese, in una coalizione con gli ultra-ortodossi e i sionisti religiosi, che hanno ottenuto più voti di tutte le consultazioni precedenti. Questo ha influito anche sulla questione del rimpatrio, dove i gruppi più radicali lamentano che le aperture “hanno portato a un diluvio di goyim [infedeli] in Israele”, come ha detto uno dei loro leader, Avi Maoz, capo del partito Noam.

Gli ebrei ortodossi chiedono che la cittadinanza venga rilasciata soltanto ai discendenti di madre ebrea, che professano apertamente la religione giudaica. A questo si aggiunge il “divieto ai nipoti”, evitando discendenze miste e non strettamente ebraiche. Da qui il divieto a russi e bielorussi, mantenendo la finestra per gli ucraini, in questo modo accordandosi con le posizioni occidentali riguardo alla guerra, su cui pure in Israele sussistono varie ambiguità.

Un punto di particolare discussione è ciò che in ebraico/russo viene chiamata la Darkonnaja Alija, il “rimpatrio per il passaporto”, quando il ricevente usa il documento solo per andare altrove, soprattutto in Europa, dove con questo si può girare senza alcun visto. Questa pratica non è affatto gradita dai cittadini residenti in Israele, visto che queste persone godono anche dei soldi pubblici offerti dalla “Cassa del rimpatriato”, che dovrebbero aiutare ad adattarsi alla vita nel Paese, dove in realtà non intendono rimanere. L’ondata di rimpatrio causata dalla guerra ucraina non sembra portare alcun vantaggio a Israele, ed è destinata a chiudersi entro quest’anno.

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