Papa Leone XIV, la prima omelia: 'In molti luoghi urge la missione'
Il pontefice ha presieduto la Messa Pro Ecclesia con i cardinali elettori. Brevi parole a braccio in inglese ai presenti e poi la lettura del testo in italiano, aprendo il suo cuore missionario. L'invito a una testimonianza gioiosa in una realtà segnata da "ateismo di fatto", con la fede sostituita da "tecnologia, denaro, successo". Citando Sant'Ignazio: "Chi ha autorità nella Chiesa sparisca perché rimanga Cristo" .
Città del Vaticano (AsiaNews) - Ieri, nella Cappella Sistina, lontano dagli occhi del mondo, il card. Robert Francis Prevost veniva eletto papa, con il nome di Leone XIV. Oggi, davanti al giudizio di Michelangelo è tornato per presiedere la sua prima celebrazione, la Messa Pro Ecclesia, con i cardinali elettori. Le orecchie tese ad ascoltare le sue parole nell’omelia - le prime del pontificato dopo quelle lette ieri sera dal balcone di San Pietro.
Papa Prevost ha aperto subito il suo cuore missionario, plasmato da tanti anni di servizio svolto in Perù, nella “amata diocesi di Chiclayo” che ha ricordato ieri in spagnolo dopo essere apparso di fronte agli occhi del mondo. Anche oggi il pensiero è per quei “luoghi in cui urge la missione”. Dove, per “mancanza di fede”, dilaga “la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia”. Ricordando la frequente sollecitudine di papa Francesco alla letizia, ha affermato: “Questo è il mondo che ci è affidato, nel quale […] siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Gesù Salvatore”.
Papa Leone XIV ha fatto il suo ingresso in Sistina con i paramenti bianchi papali, reggendo il pastorale dorato. Percorrendo la navata centrale ha salutato i cardinali, impartendo benedizioni con la mano destra, a mezz’aria. La prima lettura (Ap 21, 9b-14) è stata letta in inglese, mentre la seconda in spagnolo (1 Pt 2, 4-9). Sono le lingue favorite dal nuovo pontefice. Il Vangelo in italiano: è il celebre brano di Matteo, nel quale Gesù affida a Pietro “le chiavi del regno dei cieli”, consegnandogli il mandato di “edificare” la Chiesa, che il pontefice ha auspicato che sia "faro che illumina le notti del mondo". Da questo testo il successore primo degli apostoli, 267esimo papa, ha tratto la riflessione che ha letto durante l’omelia, dopo essersi rivolto brevemente in inglese ai cardinali.
In particolare, si è focalizzato sulla domanda che Gesù rivolge ai suoi: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” (Mt 16,13). Essa riguarda “un aspetto importante del nostro ministero: la realtà in cui viviamo, con i suoi limiti e le sue potenzialità, le sue domande e le sue convinzioni”. Papa Prevost ha sottolineato “due possibili risposte” al quesito. La prima è quella che proviene dal “mondo”. Lo scambio tra Gesù e i discepoli avviene infatti a Cesarea di Filippo, “sede di circoli di potere crudeli e teatro di tradimenti e di infedeltà”, ha sottolineato. Questa suggestione parla di “un mondo che considera Gesù una persona totalmente priva d’importanza” e che quindi non esita “a respingerlo e a eliminarlo”.
La seconda risposta proviene invece dalla “gente comune”. “Per loro il Nazareno non è un ‘ciarlatano’: è un uomo retto, uno che ha coraggio”, ha affermato Leone XIV. Ma, nonostante le persone lo seguano, in realtà lo “considerano lo solo un uomo, e perciò, nel momento del pericolo, durante la Passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno, delusi”. Da questi due atteggiamenti per papa Prevost emerge l’attualità. Con idee anche diverse ma “identiche nella sostanza” che caratterizzano il tempo storico corrente, con i suoi specifici contesti umani. “Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti”, ha affermato.
In questi si prediligono infatti “altre sicurezze”: “la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere”. E proprio in essi è faticoso annunciare il Vangelo, soprattutto quando chi crede “è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito”. Qui più che altrove è urgente la “missione”, ha detto Prevost, nato a Chicago, nell’America del nord, ma missionario nel Sud del continente da cui proveniva il predecessore. In altri contesti, poi, si vive anche un “ateismo di fatto”, dove Gesù è considersto “leader carismatico” o “superuomo”.
Parlando quindi delle parole che Pietro rivolge a Gesù - “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16) - ha sottolineato che in esse vi è “in sintesi il patrimonio che da duemila anni la Chiesa, attraverso la successione apostolica, custodisce, approfondisce e trasmette”. Essa è contenuta in due aspetti: “Il dono di Dio e il cammino da percorrere per lasciarsene trasformare”. Parlando del suo magistero ieri incominciato papa Leone XIV ha detto: “[Dio] Questo tesoro lo affida a me perché, col suo aiuto, ne sia fedele amministratore”. E infine, citando Sant’Ignazio di Antiochia, ha sottolineato “l’impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità”. Ovvero “sparire perché rimanga Cristo”. E quindi “spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo”. L’uscita dalla Sistina del nuovo pontefice è stata accompagnata dall’applauso dei cardinali elettori e dei presenti.
13/01/2019 10:59