26/03/2024, 13.02
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Parroco di Gaza: a Pasqua ‘tregua e aiuti’ per una popolazione ‘abbandonata’

di Dario Salvi

Per p. Romanelli “qualcosa si muove” nel pantano della diplomazia internazionale, ma serve una tregua “effettiva” e un “aiuto umanitario”. Il voto ieri all’Onu un passo positivo, ma va accompagnato dall’ingresso di cibo e medicine e dal blocco dell’invasione a sud della Striscia. Misto di “gioia e amarezza” per le celebrazioni della Settimana Santa. 

Milano (AsiaNews) - “Qualcosa si muove” nel pantano della diplomazia internazionale, in cui finora hanno prevalso i proclami di guerra e il frastuono delle armi, col carico drammatico di morte e distruzione. Tuttavia, la speranza è che questa tregua possa “diventare effettiva” e includere “un vero aiuto umanitario a tutta la popolazione, soprattutto a quella nel nord che è la più abbandonata”. Il parroco della Sacra Famiglia a Gaza p. Gabriel Romanelli, sempre bloccato a Gerusalemme (prima ancora a Betlemme) e impossibilitato a tornare nella Striscia dall’inizio del conflitto per la chiusura delle frontiere imposta da Israele, guarda con cauta speranza al voto di ieri all’Onu. Un primo passo per cercare di arginare l’escalation di conflitto frutto dell’attacco terrorista di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele, cui lo Stato ebraico ha risposto lanciando una devastante campagna militare col suo carico di morte e distruzione.

“Ormai anche i superlativi - spiega ad AsiaNews il sacerdote argentino del Verbo Incarnato - non bastano più per descrivere la drammaticità della situazione, la portata dei morti che continua a salire, il numero dei feriti che cresce come pure quanti muoiono di fame, soprattutto i bambini. E i malati che finiscono per soccombere per mancanza di cure, non solo gli oltre 70mila feriti della guerra, ma anche quanti soffrono di patologie ordinarie e trattabili con i farmaci, come il diabete”. Ecco perché, avverte, la decisione di ieri “è positiva” ma ad essa vanno accompagnati altri due “passi fondamentali: permettere l’ingresso di aiuti umanitari sotto forma di cibo e farmaci al nord e, al contempo, fermare l’invasione del sud. Anche perché entrambi aiuterebbero nelle trattative per la liberazione” di quanti restano ancora oggi, israeliani e stranieri, nelle mani di Hamas. 

Voto Onu e tregua

Ieri il Consiglio di sicurezza Onu (con l’astensione Usa) ha adottato una risoluzione finalizzata all’immediato cessate il fuoco a Gaza “per la durata del Ramadan”, il mese sacro di digiuno e preghiera islamico, che si conclude la notte fra il 9 e il 10 aprile con l’Eid al-Fitr. L’obiettivo resta la tregua “duratura e sostenibile” nel lungo periodo, unita al ritorno in libertà “immediato e senza condizioni” degli ostaggi e maggiore accesso agli aiuti umanitari per i civili. Una decisione attesa da tempo da gruppi attivisti e organizzazioni internazionali, che denunciano una situazione drammatica nella Striscia dove fame e carestia, oltre alla mancanza di cure mediche, colpiscono una parte sempre maggiore della popolazione. 

In risposta, proprio in queste ore il governo israeliano e il premier Benjamin Netanyahu - mai così distante dall’alleato statunitense - hanno deciso di ritirare la delegazione alle trattative in corso a Doha sul conflitto a Gaza e lo scambio di prigionieri con Hamas. A dare l’annuncio è stata la radio pubblica israeliana, secondo cui la decisione è legata al voto di ieri al Palazzo di Vetro e alla posizione definita di “intransigenza” del gruppo estremista che controlla la Striscia: i vertici del movimento hanno infatti informato i mediatori di Qatar ed Egitto circa l’intenzione di rimanere fermi sulle richieste originarie, a partire dal ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia, il ritorno degli sfollati e la liberazione dei detenuti. Intanto proseguono i raid aerei e le operazioni militari sul terreno a dispetto della risoluzione Onu, con attacchi nei pressi di Rafah nell’estremo sud della Striscia dove sono ammassati circa 1,5 milioni di profughi palestinesi. “Non bisogna arrendersi, ma continuare a lavorare col coraggio della pace” sottolinea p. Romanelli, cercando di mettere “un freno alle violenze, alle armi: bisogna arrivare a una soluzione, anche se non sarà perfetta. Il cessate il fuoco - prosegue - rappresenta il primo passo, ma perché sia vero devono tacere le armi. Tutta la popolazione della Terra Santa sta soffrendo, ma gli abitanti di Gaza subiscono la parte peggiore”. 

Pasqua negata

In queste ore dalla Terra Santa era filtrata anche la notizia del divieto di ingresso per migliaia di cristiani dalla Cisgiordania a Gerusalemme, per partecipare alle funzioni in programma per la Settimana Santa a partire dalla messa della domenica delle Palme celebrata il 24 marzo. Da giorni i soldati dell’esercito e le forze di sicurezza israeliane pattugliano le vie e presidiano i checkpoint che circondano la città santa, congelando l’accesso alla festa più importante del calendario liturgico. Un colpo ulteriore alla sopravvivenza di una comunità già segnata dall’assenza di pellegrini, che oltre a rafforzare il clima di isolamento mette anche in ginocchio l’economia: decine di migliaia di famiglie cristiane palestinesi, infatti, vivono dei proventi legati al turismo religioso e da mesi non beneficiano di introiti. Solo un piccolo gruppo di cristiani dall’estero è arrivato nel fine settimana a Gerusalemme per vivere la Settimana Santa, a partire dalla tradizionale messa della domenica delle Palme presieduta dal patriarca latino di Gerusalemme, il card. Pierbattista Pizzaballa.

“Le celebrazioni di questi giorni - racconta p. Romanelli - racchiudono un misto di amarezza e di gioia. La ricorrenza delle Palme in Medio oriente è molto partecipata, soprattutto dai bambini che la considerano come la loro festa in ambito cristiano, ma i riti sono stati ridotti all’essenziale, alla parte liturgica, come del resto fanno i musulmani con il Ramadan”. Le persone, siano essi cristiani o musulmani, non vogliono trascurare “la parte religiosa, la fede è una componente essenziale per il mediorientale e questo vale a maggior ragione nella Settimana Santa. Da ieri si tengono le lamentazioni di Geremia, la liturgia delle Tenebre, vi è la messa e poi i vespri, ma di fondo permane un clima di profonda tristezza perché non si vede un traguardo, non si scorge la fine. In passato era diverso, si riusciva a capire quanto potesse durare un conflitto anche se di diverse settimane, mentre stavolta nessuno intravede una fine”. 

Sulla mancata partecipazione dei cristiani della Cisgiordania, una ragione potrebbe essere legata alla concessione “estremamente tardiva” e “per una sola giornata” dei permessi da parte delle autorità israeliane, che non ha reso possibile gli spostamenti a Gerusalemme. Rivolgendosi ai cristiani della Striscia, la maggior parte dei quali profughi all’interno della parrocchia della Sacra Famiglia, p. Romanelli invita a “tenere duro, come hanno sempre fatto, in mezzo alle prove perché non siete soli”. Del resto il mediorientale, cristiano e musulmano, è persona “di fede e devozione, soprattutto nei momenti di prova. A livello di vita, sul piano esistenziale - prosegue - l’ambiente della Terra Santa è divenuto ostile per tutti. Questo conflitto sta cambiando tanto della realtà locale, anche a livello materiale laddove molti hanno perso il lavoro, anche e soprattutto fra quanti vivevano grazia al turismo religioso e ai pellegrinaggi. Vi sono poi i permessi di lavoro cancellati, le restrizioni agli spostamenti, i blocchi che finiscono per colpire le persone comuni” nella dimensione quotidiana nella Striscia, e oltre. 

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