22/12/2014, 00.00
MONGOLIA - COREA
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Primo diacono mongolo: "Da noi i cattolici sono pochi, ma l'amore di Dio rende possibile tutto"

di Pietro Kim Jaedok
Giuseppe Enkh-Baatar è stato ordinato diacono a Daejeon, in Corea del Sud, lo scorso 10 dicembre. In un'intervista ad AsiaNews racconta le sfide della sua futura vita sacerdotale nel Paese con la Chiesa più giovane del mondo, la difficoltà di annunciare il Vangelo fra capitalismo selvaggio e animismo e i tanti problemi che lo aspettano. Senza mai perdere la speranza: "Vorrei essere un sacerdote che vive una vita centrata su Gesù Cristo. Così potrò portare avanti la mia missione".

Daejeon (AsiaNews) - "Vorrei divenire un sacerdote che ha in Gesù Cristo il suo centro permanente. In questo modo potrò vivere secondo il Vangelo e annunciare il messaggio di Dio al mio Paese, la Mongolia, dove fra capitalismo selvaggio e tradizioni animiste è molto difficile essere cristiani. Ma non perdiamo mai la speranza: l'amore del Signore rende possibile ogni cosa". Lo dice ad AsiaNews Giuseppe Enkh-Baatar, il primo diacono mongolo, ordinato lo scorso 10 dicembre a Daejeon (Corea del Sud) dal vescovo locale mons. Lazzaro You Heung-sik e dal Prefetto apostolico di Ulaan Baatar, mons. Padilla.

La storia di Giuseppe è semplice. In un Paese ex comunista, e oggi a stragrande maggioranza buddista o animista, i cristiani sono pochissimi. I cattolici poi sono un gruppo sparuto, che conta quasi 2mila anime, all'interno di una Chiesa istituita in maniera ufficiale 22 anni fa: "Sono nato il 24 giugno del 1987, in una famiglia non cristiana. Quando avevo sette anni, ho conosciuto la Chiesa cattolica grazie a mia sorella, che mi ha introdotto alla fede. Sono stato battezzato nel 1999".

"Quando ho finito la scuola superiore - continua - volevo entrare in seminario per diventare un sacerdote. Ma i miei amici e il mio vescovo mi hanno consigliato prima di fare l'università. Finiti gli studi sono andato in Corea del Sud per studiare e poi diventare prete. Nel 2009 sono entrato nel seminario San Giuseppe di Daejeon, e ora sono un diacono. Fra un anno, dopo l'ordinazione sacerdotale, tornerò nel mio Paese".

L'ordinazione diaconale e il percorso verso il sacerdozio "mi danno una grande gioia. Sento su di me la grazia di Dio, ma anche la responsabilità di essere un testimone della Chiesa e del messaggio cattolico in un Paese che non lo è. Cerco di essere un buon esempio, con le mie parole e le mie azioni, affinché gli altri possono sentire e riconoscere il Cristo nella mia figura e nella mia vita. Durante la mia preparazione, prima dell'ordinazione, ho ricordato che il diacono ha il dovere del servizio per Dio e per la Chiesa. Ed ecco, adesso voglio servire con tutta la mia anima e con tutta la mia forza la Chiesa e Dio".

Giuseppe ha un solo desiderio: "Vorrei diventare un prete che non perde mai di vista il proprio centro, ovvero Gesù Cristo. Avrei potuto dire un prete 'come Cristo', un prete 'buon pastore' oppure un prete 'che dà la sua vita per gli altri e per Dio'. Ma la verità è che io voglio divenire un sacerdote che non perde mai Gesù, che ricorda e porta al primo posto la sua relazione con il Cristo, che da Lui prende gioia e significato per la sua vita".

La strada davanti a Giuseppe non è facile: "La Chiesa della Mongolia è nata da 22 anni, e ci sono tante cose da fare per la comunità cattolica. Dal mio punto di vista, le priorità pastorali sono la crescita delle vocazioni religiose; la traduzione della Bibbia in mongolo, dato che ora usiamo quella dei protestanti; l'aspetto missionario; e infine la vita dei nostri laici, che dopo il battesimo a volte perdiamo per strada".

Chiaramente "serviranno anche una teologia e una liturgia più vicine alla sensibilità della Mongolia, ma sono tante cose difficili. Tante sfide, che dobbiamo affrontare con calma e decisione. Anche perché fino al 1970 il mio era un Paese comunista, mentre negli anni Novanta è arrivato un capitalismo particolare, che ha creato un grande squilibrio fra ricchi e poveri. Dobbiamo fare i giusti passi anche per affermare la Chiesa come interlocutore per il governo e per la popolazione".  "In questa situazione - sottolinea - noi cristiani siamo pochi. Ma possiamo mostrare la gioia che nasce da Cristo e la verità della Chiesa attraverso la nostra vita, con le nostre parole e con le nostre azioni. Il resto verrà".

Infine, il nuovo diacono lancia un appello: "Vi prego, pregate per la Chiesa della Mongolia che è la più giovane al mondo. È difficile annunciare il Vangelo nel mio paese, e ancora più difficile è vivere secondo il Vangelo. Però non ho dubbi che, se amiamo gli altri come ci ha insegnato la parola di Gesù, allora tutto si compirà secondo la volontà di Dio. Io credo al potere dell'amore di Dio. Siamo pochi, ma se amiamo i nostri vicini possiamo portare avanti una grande missione. Grazie!"

 

 

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