29/10/2022, 09.08
MONDO RUSSO
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Putin, l’imperatore d’Occidente

di Stefano Caprio

Lo “zar” russo parla di guerra “difensiva” e salvifica per costruire un mondo nuovo guidato dalla Russia. Mosca si considera il “vero Occidente”, quello delle tradizioni. Per sopravvivere, il presidente russo spera in cambiamenti politici favorevoli in Europa e negli Usa.

Milano (AsiaNews) – Non c’era certo bisogno di ascoltare la lunga e rancorosa requisitoria di Vladimir Putin al club Valdaj di Mosca del 27 ottobre, per comprendere che la guerra della Russia non è finalizzata alla riconquista dell’Ucraina, ma alla sconfitta dell’Occidente e del mondo intero. Lo “zar del bunker” ha promesso che si dedicherà a questo scopo per il prossimo decennio, a suo dire “il più pericoloso della storia mondiale”. Forse anche per smentire le continue voci sulla sua prossima dipartita, specchiandosi nel ritorno del suo storico amico Berlusconi, tornato in prima linea nella politica italiana: il brindisi a vodka inviato per il compleanno è un chiaro segnale di augurio a se stesso, per rimanere al potere fino almeno all’età del “ri-neo-senatore”.

Il tema del convegno putiniano non poteva essere più esplicito, parlando del “Mondo dopo l’egemonia: giustizia e sicurezza per tutti”. La guerra “difensiva” e salvifica è finalizzata alla costruzione di un mondo nuovo guidato dalla Russia, di un nuovo Occidente illuminato dall’Oriente. Il rapporto di Putin con gli occidentali è dominato da una vera ossessione, quella appunto del “cosiddetto Occidente del mondo unipolare”, che vuole “cancellare la cultura russa” e anche i suoi successi sportivi. Il portavoce Dmitrij Peskov ha annunciato il discorso del capo come di “un testo epocale, che andrà analizzato per molti giorni”, anche se nulla di quanto proclamato si differenzia dalla martellante retorica quotidiana che si riversa dal 24 febbraio, e in realtà da molto tempo prima. Sono temi che Putin ribadisce almeno dal “discorso di Monaco” di 15 anni fa, e nella sostanza si rifanno al sogno della “Terza Roma” di cinque secoli fa.

Se Mosca è l’unica vera Roma, allora la Russia è il vero Occidente, e lo zar del Cremlino è il suo imperatore, affiancato da un patriarca che vuole in realtà essere il papa. “A nessuno veniva in mente, neanche durante la guerra fredda, di negare la cultura e i successi dei suoi avversari”, ha tuonato Putin, riferendosi più che altro ai rifiuti delle federazioni sportive mondiali alla partecipazione delle squadre e dei campioni russi, ben più simbolici degli stessi Čajkovskij e Dostoevskij, pur citati come esempi della “cancel culture”. È l’eresia degli anglosassoni, che non riconoscono la vera fede e gli autentici valori, imponendo la degradazione sodomita e arrogandosi il diritto di ammettere o escludere chi non si adegua. “Alcune tipografie ucraine si rifiutano di stampare i libri degli autori russi in lingua russa”, ricordando in questo “i roghi dei libri da parte dei nazisti, in quella che pretende di definirsi una società liberale”.

Il “falso liberalismo” è una delle definizioni dell’eresia, non a caso condannata dal patriarca Kirill ancora da prima dell’avvento di Putin al potere, quando da metropolita ha ispirato nel 1997 una nuova legge sulla libertà religiosa che limitava l’attività delle confessioni non ortodosse, e proibiva del tutto quelle delle “sette estremiste”, cioè di tutte le religioni che non potevano dimostrare di essere presenti in Russia da almeno 15 anni (dopo 70 anni di ateismo di Stato). La “difesa delle tradizioni” è l’arma atomico-spirituale della Russia nei confronti del mondo finito nelle mani di Satana, “in cui ogni punto di vista è considerato menzogna e propaganda”, per affermare il dominio del relativismo totale, mentre “i valori tradizionali non si possono imporre, si possono soltanto rispettare”. Esempio supremo di questa degenerazione, secondo Putin, è il movimento MeToo, una “forma contemporanea di ostracismo nei confronti di importanti personaggi pubblici”, inventando contro di loro assurde accuse di violenza e molestie per eliminare chi non fa comodo al potere.

La lista delle eresie occidentali è lunga, e Putin ha iniziato da quella “ecologica”, oggi provvidenzialmente messa in secondo piano per via della guerra mondiale russa: “La riduzione della multiformità della natura è la premessa della riduzione delle diversità nella geopolitica e nella cultura mondiale”, senza peraltro entrare nel dettaglio di alcun problema reale dell’ecologia, dei cambiamenti climatici e della tutela dell’ambiente. Non poteva certo mancare il risentimento per “il crollo dell’Urss che ha distrutto l’equilibrio mondiale delle forze politiche, permettendo agli Stati occidentali di proclamare l’ordine mondiale unipolare”. Per fortuna “tutto questo ormai appartiene al passato, siamo a un crocevia della storia: davanti a noi si apre il decennio più importante e imprevedibile dai tempi della fine della Seconda guerra mondiale”.

Il decennio in realtà si presenta assai più breve, in quanto la Russia vuole continuare a essere “amica dei Paesi occidentali”, che non considera propri nemici. Putin guarda soprattutto al 2024, quando al suo ennesimo rinnovo del mandato (quinto o sesto, calcolando il quadriennio governativo) dovrà corrispondere l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti, che sostituirà l’attuale “servo di Satana” Joe Biden. E la prospettiva del ritorno di Trump, o comunque di un presidente Usa isolazionista, comincia tra pochi giorni nelle elezioni di mid-term al Campidoglio di Washington, da cui i russi sperano di poter far conto su nuove maggioranze, più restie a finanziare la guerra difensiva dell’Ucraina. Gli Usa non sono l’unico Paese con cui si vuole “rinnovare l’amicizia”: potrebbe confermarsi il sovranismo brasiliano di Bolsonaro, e fa comunque piacere al Cremlino la vittoria sovranista in Italia, al di là delle dichiarazioni di sostegno agli ucraini, accompagnate peraltro da non pochi ammiccamenti ai russi.

Putin solletica quella parte dell’opinione pubblica occidentale, e in particolare europea, che trasuda comunque grandi simpatie per la Russia, parlando della “continua crescita della pressione e della creazione di focolai di tensione alle nostre frontiere”, come nella recente notizia dello schieramento di 150 armi nucleari tattiche della Nato nei Paesi di “accerchiamento”. Lo scopo è di “rendere la Russia sempre più vulnerabile, e trasformarla in docile strumento delle proprie ambizioni geopolitiche”. L’Alleanza atlantica è in un certo senso il migliore alleato di Putin: il suo allargamento a Svezia e Finlandia, e l’assistenza all’Ucraina, sono la migliore dimostrazione della “invasione dell’Occidente” che costringe Mosca a mantenere alta la forza difensiva, mobilitando l’intera popolazione e tenendo pronte le sue stesse armi atomiche, “che non abbiamo intenzione di usare”.

La “guerra civile in Ucraina”, come l’ha definita Putin, poiché “russi e ucraini sono un popolo solo”, è anche una guerra europea in senso proprio, al di là delle roboanti definizioni sull’Occidente globale. In essa si ripropongono in dimensioni sempre più intense le crisi europee dell’ultimo decennio e oltre, dove proprio il sistema globalista ha prodotto una serie di contraddizioni, come fa notare a Radio Svoboda il politologo bulgaro Ivan Krastev, presidente del Centro di strategie liberali a Sofia: “La crisi finanziaria del 2009-10, che ha stressato tutto il sistema economico dell’Unione europea, e oggi si rinnova nella questione energetica; la crisi migratoria, che nel 2015 era in parte una conseguenza della guerra in Siria, e ora vede l’esodo degli ucraini in misura più che doppia dei siriani; e la sensazione della fine imminente, diffusa dalla pandemia degli ultimi anni, e oggi rinnovata dalla minaccia nucleare”. Putin sa che gli europei vogliono soltanto uscire dall’incubo, e non si rendono conto di essere pienamente coinvolti nella guerra. Gli sviluppi politici e sociali dei prossimi mesi, se non dei prossimi anni, dovranno condurre a un progressivo distacco dell’Europa dagli Usa e dalla stessa Ucraina, al di là dell’appoggio formale, per ricominciare una vera relazione con la Russia.

Washington guarda alla guerra con visione mondiale, l’Europa guarda a se stessa con terrore, e la Russia sa bene di non avere sbocchi in Asia, dove l’impero è sempre più saldamente nelle mani dell’imperatore di Pechino. Non a caso dopo la conferma al potere, con la liquidazione dei non allineati, Xi Jinping si è preoccupato di tranquillizzare gli Stati Uniti sul comune desiderio di pace universale, pur senza negare il possibile uso della forza per annettere Taiwan. Voci del Cremlino dicono che il leader cinese abbia invece rimandato ulteriori colloqui con Putin, ansioso di avere assicurazioni e protezioni, pur facendo arrivare al ministro degli Esteri Lavrov una carezza sulla “grandezza della Russia” che verrà assicurata dai cinesi.

Tra le due vere superpotenze d’Oriente e d’Occidente, la Russia conta sulle divisioni e le debolezze dell’Europa, il vero territorio politico e geografico di sua pertinenza. Tutta la storia culturale, economica e religiosa della “terza Roma” è legata indissolubilmente con l’Europa, e i tanto declamati “valori tradizionali” non sono certo le cerimonie confuciane o le pratiche ascetiche induiste, pur avendo la Russia assorbito parte delle ispirazioni dell’Asia. La Chiesa ortodossa è una Chiesa europea, legata alle origini apostoliche di Roma e Costantinopoli, e dall’Europa cristiana, laica e multiforme deve venire la risposta che Putin attende, magari con la mano tesa del papa argentino della prima Roma, per salvare gli ucraini dalla tragedia senza umiliare i russi, in una nuova Europa di pace.

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