Rajasthan: Conferenza episcopale ricorre alla Corte suprema contro legge anti-conversione
La CBCI ha presentato un ricorso in cui sottolinea che la normativa concede poteri arbitrari alle autorità, definisce in modo vago le modalità di conversione illecita e obbliga i cittadini a rivelare allo Stato scelte di fede personali. La Corte Suprema ha chiesto al governo del Rajasthan di presentare la risposta. Il caso potrebbe avere conseguenze anche a livello nazionale.
New Delhi (AsiaNews) - La Corte Suprema dell’India ha chiesto ieri al governo del Rajasthan di presentare una risposta formale al ricorso depositato dalla Conferenza episcopale cattolica indiana (CBCI), che contesta la costituzionalità del Rajasthan Prohibition of Unlawful Religious Conversion Act, 2025. La decisione della Corte segna un nuovo capitolo nel dibattito nazionale sulle leggi anti-conversione, sempre più diffuse negli Stati indiani governati dal Bharatiya Janata Party (BJP), il partito ultranazionalista indù da cui proviene il primo ministro Narendra Modi.
Nel suo ricorso, la CBCI sostiene che la legge del Rajasthan viola diversi passaggi costituzionali e attribuisce alle autorità amministrative un potere “eccessivo e arbitrario”, consentendo sequestri di proprietà o persino demolizioni di strutture appartenenti a individui o istituzioni sospettate di promuovere conversioni religiose, senza una previa determinazione giudiziale della colpa, in cui invece un giudice è chiamato a valutare il grado di responsabilità del reato. Si tratta di un meccanismo che, secondo i vescovi, viola il principio del giusto processo e apre la strada ad abusi basati su semplici sospetti.
La Conferenza episcopale contesta anche la formulazione della legge, che vieta le conversioni ottenute tramite “adescamento”, “informazioni ingannevoli” o “qualsiasi altro mezzo fraudolento”. Per i ricorrenti, si tratta di espressioni troppo vaghe, che rischiano di colpire scelte religiose genuine o normali attività pastorali. “Atti ordinari di fede, carità o missione - si legge nel ricorso - potrebbero essere interpretati come coercizione”.
Un altro elemento problematico è la procedura prevista per chi desidera cambiare religione. La legge impone che la persona che vuole convertirsi e il ministro religioso presentino con largo anticipo dichiarazioni obbligatorie alle autorità distrettuali, altrimenti potrebbero incorrere in pesanti sanzioni pecuniarie o persino nella detenzione. Per i vescovi equivale a una pratica che costringe i cittadini a rivelare allo Stato decisioni intime e strettamente personali, violando il diritto alla privacy e all’autonomia individuale.
Il ricorso denuncia ancora una volta anche l’inversione dell’onere della prova: chi è accusato di aver partecipato a una conversione ritenuta “forzata” deve dimostrare la propria innocenza, in contrasto con i principi fondamentali del diritto penale. Per la CBCI, questo meccanismo espone individui e comunità religiose al rischio di persecuzioni arbitrarie.
La Conferenza episcopale dell’India si è unita ad altri gruppi religiosi e della società civile che negli ultimi anni hanno portato davanti ai tribunali indiani casi riguardanti le leggi anti-conversione, strumentalizzate per intimidire le minoranze cristiane e musulmane e scoraggiare qualsiasi attività pastorale o sociale che possa essere interpretata (o più spesso manipolata) come proselitismo.
La Corte Suprema ha definito il caso “di grande rilevanza costituzionale” e ha chiesto allo Stato del Rajasthan di giustificare le proprie scelte legislative. E il verdetto finale potrebbe diventare un precedente anche a livello nazionale. La decisione delle Corte potrebbe avere conseguenze importanti anche per le altre leggi anti-conversione già in vigore in Stati come l’Uttar Pradesh, il Madhya Pradesh, l’Uttarakhand, il Karnataka e il Gujarat.
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