14/12/2022, 12.58
INDIA
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Rapporto: p. Stan incarcerato e ucciso con documenti falsi sul suo computer

di Nirmala Carvalho

L’Arsenal Consulting ha rintracciato 44 documenti inseriti da un malware e utilizzati dall’agenzia investigativa indiana come prova di “terrorismo” contro il gesuita morto a 84 anni nel luglio 2021 dopo una lunga carcerazione. Il confratello p. Mascarenhas ad AsiaNews: “L’hacker operava sul suo computer dal 2014, proprio l’anno in cui Modi ha vinto per la prima volta le elezioni”. 

Mumbai (AsiaNews) - Erano documenti falsi inseriti sul suo computer da un malware la corrispondenza con i guerriglieri maoisti in forza della quale il gesuita indiano p. Stan Swamy era stato tenuto per quasi 9 mesi in carcere, prima di morire a 84 anni in un ospedale di Mumbai il 5 luglio 2021 a causa del Covid contratto durante la detenzione. L’autorevole conferma di quanto p. Stan aveva sempre dichiarato negli interrogatori, è giunta ieri da un rapporto presentato dall’Arsenal Consulting, uno studio forense con sede a Boston specializzato nei crimini informatici. A ingaggiarlo era stata la difesa degli imputati del caso Bhima Koregaon che insieme al gesuita - noto per il suo lungo impegno in favore della difesa dei diritti delle popolazioni tribali dello Stato del Jharkhand - vede coinvolti altri 15 attivisti sociali indiani tuttora in carcere perché accusati di aver istigato le violenze in una manifestazione dei dalit avvenuta il 1 gennaio 2018 in un villaggio del Maharashtra. Gli imputati sostengono che - al contrario - siano stati i nazionalisti indù a provocare gli scontri.

Secondo l’Arsenal Consulting 44 documenti tra cui le cosiddette lettere maoiste - su cui si fondavano le accuse della National Investigation Agency (NIA) contro p. Swamy - sono state inserite da un hacker ignoto che avrebbe avuto accesso al suo computer a partire dal 2014 e fino al momento del sequestro del dispositivo, avvenuto nel corso di una persecuzione nella casa del gesuita nel 2019. E proprio a partire dall’esame del materiale presente su quel computer sarebbe poi scattato nell’ottobre 2020 l’arresto con la lunga detenzione nel carcere di Taloja a Mumbai. Seguita da diversi rifiuti di istanze di scarcerazione fino alla tardiva autorizzazione a un trasferimento in un ospedale di Mumbai, quando le condizioni di salute del gesuita - già malato di Parkinson al momento dell’arresto - erano ormai definitivamente compromesse.

Arsenal Consulting riferisce che l’hacker avrebbe utilizzato WinSCP - uno strumento gratuito di trasferimento di file per il sistema operativo di Windows - per copiare sul proprio server oltre 24.000 file e cartelle dal computer di p. Swamy. E pur non potendo risalire all’identità dell’hacker lo studio forense di Boston conclude che si tratta della stessa mano che ha preso di mira anche i computer di Wilson e Gandling, altri due arrestati nel caso del Bhima Koregaon. I server di comando e controllo e le configurazioni NetWire risultano infatti le stesse per tutte e tre le operazioni di hackeraggio.

Le conclusioni dell’Arsenal Consulting - che suonano come delle gravi accuse nei confronti della National Investigation Agency - stanno riaprendo in India il dibattito sulla vicenda. Il confratello p. Frazer Mascarenhas, amico di p. Swamy e dopo la sua morte nominato dal tribunale come custode nella causa con cui i gesuiti chiedono che anche dopo la morte sia dichiarato il proscioglimento dalle accuse, commenta ad AsiaNews: “Non siamo sorpresi dalle notizie sulla compromissione del computer di p. Stan sul fatto che vi siano stati inseriti dei file. P. Stan non aveva nulla a che fare con quella corrispondenza. Ciò che invece sorprende sono le date indicate dal rapporto: l’hacker avrebbe cominciato ad agire nel 2014, pochi mesi dopo il cambio di governo a New Delhi (con il primo successo dell’attuale premier Narendra Modi nelle elezioni ndr) e nel Maharashtra. Questo indica una deliberata pianificazione a lungo termine”.

“Il rapporto dell’Arsenal Consulting - aggiunge p. Mascarenhas - ci aiuta anche a capire perché gli imputati per il caso Bhima Koregaon, e in particolare l'ottantatreenne p. Stan, siano stati trattati in modo così disumano in carcere. Senza possibilità di condanna, dal momento che le prove erano tutte inventate, dovevano essere trattati così per dissuadere altri attivisti della società civile dal continuare a difendere gli impotenti. E questa è la ragione per cui continueremo a batterci in tribunale non solo per scagionare il buon nome di p. Stan da questa accusa, ma anche per far mettere sotto inchiesta le dure condizioni di detenzione che hanno portato al deterioramento della sua salute e alla sua morte”.

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