30/05/2014, 00.00
VATICANO -TERRA SANTA
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Speranze e scetticismo per l'incontro del papa con Peres e Abbas in Vaticano

di Joshua Lapide
L'incontro di preghiera (e non di mediazione politica) avverrà l'8 giugno. Oltre al papa, saranno presenti un rabbino e un imam. Per i palestinesi, la proposta rimette in luce le esigenze del loro popolo. Gli israeliani sono scettici perché i dialoghi diplomatici sponsorizzati dagli Usa sono falliti. Vi è chi ricorda l'efficacia della preghiera nella veglia per la Siria, lo scorso 7 settembre.

Gerusalemme (AsiaNews) - Ci sono speranze (soprattutto da parte palestinese) e una dose di scetticismo (soprattutto fra gli israeliani) per l'incontro di preghiera che si terrà in Vaticano il prossimo 8 giugno, cui papa Francesco ha invitato i presidenti Shimon Peres e Mahmoud Abbas.

Durante il suo recente viaggio in Terra Santa, il pontefice ha invitato entrambi i capi "a casa sua" in Vaticano per una "preghiera accorata" per la pace fra Israele e Palestina e per la regione medio-orientale. Ieri sera la Sala stampa vaticana ha dato l'annuncio della data, e ha sottolineato che essa è stata accettata "da entrambe le parti".

Nella messa celebrata a Betlemme, papa Francesco ha invitato pubblicamente Abbas, e ha affermato che "costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un continuo tormento".

L'invito è stato fatto in pubblico anche nell'incontro con Shimon Peres, il giorno dopo.

Durante il viaggio di ritorno verso Roma, ai giornalisti sull'aereo, il papa ha spiegato che l'incontro in Vaticano, a cui parteciperanno un rabbino e un imam, è "per pregare insieme, non una mediazione [politica]".

In Israele, il carattere spirituale dell'incontro viene visto con uno scetticismo sospettoso. Lo scetticismo è dovuto al fatto che in queste settimane, dopo nove mesi di lavoro diplomatico, gli Stati Uniti hanno fallito nel far riprendere i dialoghi diplomatici fra Israele e Palestina.

Uri Avneri, attivista per la pace, afferma che anche il presidente Usa Barack Obama è senza speranza e ha deciso di lasciare che i leader israeliano e palestinese cuociano "nello stesso brodo", fatto di immobilità per la pace e di consunzione per le sofferenze.

Fra la popolazione ebraica non si fanno molti commenti: in parte perché più si parla delle prospettive di pace e più gli estremisti e i coloni alzano la loro voce contro ogni negoziato.

Vi è anche chi sospetta che il papa sia "troppo schierato" con i palestinesi. "Questo papa - afferma un israeliano già rappresentante governativo - ha fatto troppo, durante la sua visita, andando a toccare il muro che separa Betlemme da Gerusalemme!".

Un editoriale di Peter Beinart, pubblicato su Haaretz il 28 maggio scorso, fa notare però che il linguaggio di papa Francesco è una novità nel dialogo fra Israele e Palestina perché egli non parla solo di pace e non belligeranza ad ogni costo, ma domanda anche "giustizia".

La "giustizia" suggerita da Francesco - che significa parità di diritti per una patria, libertà di movimento e diritti di voto per i palestinesi in Israele e in un futuro Stato di Palestina - spinge il mondo palestinese a una maggiore speranza. Un abitante di Betlemme fa notare che "almeno il papa spinge in avanti, non resta fermo come invece accade alla diplomazia internazionale. Egli riporta alla ribalta le esigenze dei palestinesi".

Alcuni però rimangono scettici. Un abitante dei Territori occupati dice che pregare è troppo poco: "Noi vorremmo qualche risultato politico".

Fra i cristiani palestinesi vi è chi ricorda l'efficacia dell'incontro di preghiera per la Siria, lanciata da Francesco il 7 settembre scorso, che ha scongiurato l'attacco aereo delle potenze occidentali contro Damasco.  E aggiungono: "Speriamo che succeda qualche miracolo anche per noi!".

 

 

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