23/06/2025, 11.40
IRAN - ASIA
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Stretto di Hormuz: la crisi energetica colpirebbe soprattutto l'Asia

Un blocco iraniano del principale snodo marittimo per il petrolio e il gas mondiale avrebbe dure ripercussioni sui mercati asiatici, dalla Cina all’India, fino a Giappone e Corea del Sud. Mentre i prezzi del greggio iniziano a salire, molti dubitano che Teheran possa realmente attuare le minacce perché danneggerebbe Pechino, rischiando di restare ulteriormente isolata.

Tokyo (AsiaNews) - La chiusura dello Stretto di Hormuz, minacciata dall’Iran in seguito ai bombardamenti statunitensi ai propri siti nucleari, danneggerebbe soprattutto i mercati asiatici. Circa il 25% del petrolio mondiale e il 33% delle forniture globali di gas naturale liquefatto (GNL), proveniente in larga parte dal Qatar, passano ogni giorno attraverso lo Stretto, definito un “choke point”, un punto di strozzatura, cioè uno snodo fondamentale per l’approvvigionamento globale di energia. Nei giorni scorsi Wael Sawan, amministratore delegato di Shell, l’ha definito “l’arteria attraverso cui scorre l’energia del mondo”. 

Nel 2024 le navi cisterna vi hanno transitato circa 16,5 milioni di barili di petrolio al giorno provenienti da Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Iran. Anche se il Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale dell’Iran deve ancora prendere una decisione definitiva sulla questione, il prezzo del Brent è già aumentato di oltre il 5% rispetto a una settimana fa, attestandosi a circa 80 dollari al barile. L’80% del greggio che transita attraverso lo Stretto è diretto in Asia, soprattutto in Cina e in India, per circa il 40% del totale. Ragione per cui molti dubitano che Teheran possa dar seguito alle minacce, perché danneggerebbe soprattutto Pechino, sostenitore del regime della Repubblica islamica, nonostante abbia segnalato di non voler intervenire nel conflitto tra Tel Aviv e Teheran. 

Fu Cong, rappresentante permanente della Cina presso le Nazioni Unite durante una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza ha condannato gli attacchi gli impianti nucleari di Fordo, Natanz e Isfahan: “Le azioni degli Stati Uniti violano gravemente gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, nonché la sovranità, la sicurezza e l'integrità territoriale dell'Iran. Hanno esacerbato le tensioni in Medio Oriente e inferto un duro colpo al regime internazionale di non proliferazione nucleare”, ha dichiarato il diplomatico, rivolgendosi poi alla comunità internazionale, a cui ha chiesto di “compiere sforzi concreti per stemperare la situazione e ripristinare la pace e la stabilità”, mentre ha esortato le parti a trovare una soluzione diplomatica per un cessate il fuoco. 

Secondo i dati raccolti dalla società di consulenza Rystad Energy, anche il greggio importato da Giappone e Corea del Sud - circa il 24% del totale - passa attraverso lo Stretto. Nel 2024 il 69% degli idrocarburi transitati per lo Stretto erano destinati a Cina, India, Giappone e Corea del Sud. Ma pure Singapore, Taiwan, Thailandia, Malaysia, Pakistan e Vietnam rischierebbero di avere problemi di approvvigionamento. Diversi commentatori hanno sottolineato che, sebbene i principali Paesi esportatori siano le monarchie del Golfo (che fin dall’inizio avevano segnalato di preferire una risoluzione tramite negoziati anziché un conflitto aperto con l’Iran) circa il 90% del petrolio iraniano è comprato da Pechino e un terzo del greggio che importa transita attraverso lo Stretto. 

Gli economisti cinesi hanno cercato di minimizzare quelle che sarebbero le perdite per la Cina in caso di un blocco delle forniture, affermando di avere le fonti rinnovabili su cui fare affidamento, riserve interne ed eventualmente legami con la Russia. Ma non tutti sono d’accordo. Come riportato da Bloomberg, Michelle Lam, esperta di economia per Societe Generale SA, ha stimato che il prodotto interno lordo della Cina potrebbe ridursi dello 0,4-1,2% se i prezzi del petrolio aumentassero del 40%, arrivando a 100 dollari al barile.

La chiusura dello Stretto “potrebbe esacerbare ulteriormente l’isolamento” dell’Iran, ha scritto Wang Jin, vicedirettore dell’Istituto di studi sul Medio Oriente della Northwestern University. “La chiusura dello Stretto aggraverebbe il confronto militare con l’Iran, perché non è solo una rotta d’esportazione energetica vitale per l’Iran, ma è anche fondamentale per la sicurezza nazionale di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Oman, Kuwait, Bahrein e persino per le esportazioni di petrolio dell’Iraq. Se l’Iran lanciasse prematuramente un attacco su larga scala, si isolerebbe ulteriormente a livello diplomatico”, secondo Wang.

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