13/05/2021, 12.18
CINA
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Xinjiang: dal 2014 Pechino ha imprigionato almeno 630 imam

Secondo l’Uyghur Human Rights Project, 18 sono morti in prigione o subito dopo il loro rilascio Di tanti non si hanno più notizie da tempo. Poche le tracce ufficiali di condanne ai campi di concentramento. Uiguri e altri gruppi musulmani incarcerati anche per il solo fatto di pregare.

Pechino (AsiaNews) – Dal 2014 le autorità cinesi hanno imprigionato o detenuto almeno 630 imam e altri esponenti religiosi musulmani dello Xinjiang. È quanto rivelato dall’Uyghur Human Rights Project (Uhrp) in una ricerca condivisa con la British Broadcasting Corporation (Bbc). Dallo studio emerge che 18 dei religiosi incarcerati sono morti in prigione o subito dopo il loro rilascio.

Lo studio analizza le situazioni vissute da 1.046 imam, per la maggior parte di etnia uigura. Esso si basa su documenti ufficiali, testimonianze dirette di familiari, database pubblici e privati e resoconti di media. I numeri, sostengono gli autori della ricerca, sono con ogni probabilità superiori: le autorità cinesi non registrano la maggior parte delle incarcerazioni nei campi di concentramento, che spesso avvengono senza un’imputazione formale.

L’accusa per i religiosi imprigionati è di aver “diffuso l’estremismo”, “incitato il separatismo” e “raccolto folle per turbare l’ordine sociale”. Secondo i loro parenti, essi sono presi di mira per il semplice fatto di pregare, organizzare gruppi di preghiera, tradurre testi religiosi o più in generale agire da imam.

Da tempo Paesi occidentali, Agenzia Onu per i diritti umani, organizzazioni umanitarie e accademici accusano la Cina di reprimere gli uiguri e altri gruppi minoritari di ceppo turco e fede islamica che vivono nella regione autonoma.

Secondo dati degli esperti, confermati dalle Nazioni Unite, le autorità cinesi detengono o hanno detenuto in campi d’internamento oltre un milione di uiguri, kazaki e kirghisi dello Xinjiang. Essi sarebbero impiegati anche in campi di lavoro, soprattutto nella raccolta del cotone. Alcuni ricercatori indipendenti sostengono anche che il governo cinese stia conducendo una campagna locale di sterilizzazioni forzate per controllare la crescita della popolazione musulmana.

Pechino respinge l’accusa di genocidio contro gli uiguri e le altre minoranze di origine turca, definendola la “falsità del secolo”. I leader cinesi affermano che quelli nella regione autonoma non sono lager, ma centri di avviamento professionale e progetti per la riduzione della povertà, la lotta al terrorismo e al separatismo.

Dallo studio dell’Uhrp risulta che tutti i 1.046 imam monitorati hanno trascorso periodi di detenzione. Solo per 630 è stato possibile incrociare però i dati con documenti dei tribunali e testimonianze sul posto. Di quelli di cui si ha certezza, 304 sono finiti in una prigione ordinaria; gli  altri in strutture alternative come i lager “rieducativi”. Il 96% ha ricevuto una pena di cinque anni; il 26% a 20 o più anni, compresi 14 ergastoli.

Le famiglie dei detenuti spesso non hanno notizie di dove essi stiano scontando la detenzione. È il caso ad esempio di Abidin Ayup, noto imam e studioso di Atush. Secondo i suoi familiari, egli si troverebbe dal 2017 in un ospedale penitenziario. Sua nipote Maryam Muhammad, che ora vive negli Usa, racconta che le autorità hanno arrestato 60 membri della famiglia, compresi gli otto figli di Ayup.

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