25/08/2025, 17.11
GAZA-ISRAELE
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“Continuate a far vedere questo trattamento disumano”. L’ultimo grido di Mariam

La fotoreporter uccisa oggi a Gaza insieme ad altri quattro colleghi nel doppio raid israeliano sull’ospedale al-Nasser lo scriveva a quanti come noi seguivano i suoi account. Nei suoi scatti i volti quotidiani della sofferenza a Khan Yunis. Lo sdegno di Reporter Senza Frontiere: “Oltre 200 giornalisti uccisi a Gaza: fino a quando?”. Caritas Internationalis: "Basta parole vuote, cessate il fuoco subito".

Milano (AsiaNews) - “Ciao Assalamualaikum, grazie per seguirmi. Spero che continuerete a condividere i miei post e a sostenere la Palestina, affinché il mondo possa vedere il trattamento disumano che subiamo ogni giorno...”.

Appena poche ore fa da Mariam Abu Dagga - fotoreporter palestinese di Gaza per l’agenzia Associated Press, 33 anni, madre di un bambino - avevamo ricevuto il messaggio che da Khan Yunis inviava a chi seguiva il suo profilo su X. La sua era una delle tante voci che in Israele e Palestina monitoriamo per raccogliere tutto ciò che riteniamo significativo sulla tragedia che da due anni ormai si sta consumando. Sul profilo di Mariam osservavamo la quotidianità della sofferenza di Gaza che - come scriveva lei - non si può oggi non definire disumana. Con le didascalie che accompagnavano i suoi scatti, nelle quali raccontava le storie che stavano dietro a quelle immagini.

“Ogni giorno”. Oggi è toccato a lei. C’è anche Mariam, infatti, tra i cinque giornalisti - tutti collaboratori di testate internazionali - rimasti uccisi questa mattina all’ospedale al-Nasser di Khan Yunis nel secondo di due raid aerei a ripetizione israeliani. Uccisi mentre erano lì a testimoniare i danni provocati da un crimine di guerra com’è secondo le convenzioni internazionali il bombardamento di un ospedale. In una doppia strage nella quale le fonti palestinesi parlano di almeno 20 morti complessivi.

Da due anni ormai nella Striscia è strage di operatori dei media. E prima ancora del 7 ottobre 2023 era toccato a Shireen Abu Akleh, araba cristiana, per tanti anni corrispondente di al Jazeera dai territori palestinesi. Figure dipinte in maniera stereotipata, quasi non avessero una storia, delle idee, uno sguardo sulla realtà maturato vivendo nella dura condizione di Gaza. Mariam scriveva sul suo profilo Twitter qualche giorno fa: “Siamo viandanti in questa vita, come nuvole che scorrono. Non ci appartiene niente se non le nostre azioni. Pace”.

“Gli attacchi di oggi - ha denunciato l’Associazione della stampa estera in Israele – hanno colpito una scala esterna dell’ospedale dove spesso gli operatori sostavano con le loro videocamere. Non c’è stato alcun avvertimento”. L'esercito israeliano ha replicato annunciando - come di consueto - un'indagine su quanto avvenuto, rigettando l'accusa di colpire deliberatamente i giornalisti.  “Fino a che punto - ha però riparato le accuse il direttore generale di Reporter Senza Frontiere Thibaut Bruttin - si spingeranno le forze armate israeliane nel loro graduale tentativo di eliminare le informazioni provenienti da Gaza? Per quanto tempo continueranno a violare il diritto internazionale umanitario? La protezione dei giornalisti è garantita dal diritto internazionale, eppure negli ultimi due anni più di 200 di loro sono stati uccisi dalle forze israeliane a Gaza”.

L’uccisione di Mariam e degli altri quattro giornalisti (Hossam al-Masri, Moaz Abu Taha, Mohamad Salama e Ahmed Abu Aziz) all’ospedale al-Nasser è giunta proprio mentre Caritas Internationalis lanciava un nuovo appello sul dramma della carestia prodotta dalla guerra che - nonostante la dichiarazione ufficiale di qualche giorno fa da parte delle Nazioni Unite - Israele continua a negare, sostenendo che si basi su dati “falsati ad hoc”. 

“Caritas Internationalis è testimone di questo orrore - scrive l’organismo ecclesiale -. I civili, soprattutto bambini e donne, vengono affamati, bombardati e sterminati”. E a una comunità internazionale che continua a restare paralizzata intorno a “dichiarazioni vuote” Caritas Internationalis chiede impegni concreti: “Un cessate il fuoco immediato e permanente. Accesso umanitario senza restrizioni per porre fine alla fame e fornire assistenza. Rilascio di tutti gli ostaggi e delle persone detenute arbitrariamente. Invio di una forza di pace delle Nazioni Unite per proteggere i civili. Protezione di tutti i civili, in particolare bambini, donne e anziani”. “La carestia a Gaza è una prova di integrità morale – conclude la nota - e troppi hanno fallito. Affamare una popolazione significa profanare la vita. Rimanere in silenzio significa essere complici. Caritas Internationalis invita tutte le persone di fede e di coscienza ad alzare la voce, a fare pressione sui propri governi e a chiedere giustizia”.

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