07/11/2012, 00.00
CINA
Invia ad un amico

Al via il Congresso del Partito comunista cinese, senza popolo e senza libertà

di Bernardo Cervellera
Sui media statali si esaltano i risultati economici e politici del decennio di Hu Jintao e Wen Jiabao. Ma il Partito rimane azzoppato sulla corruzione e sulla divisione fra fazioni. Tutti uniti per salvaguardare il monopolio del potere. Ma il Paese soffre per l'abisso fra ricchi e poveri, e un'economia più stentata. La repressione in questi 10 anni è divenuta più raffinata. Ma sono cresciute le rivolte sociali e le religioni.

Roma (AsiaNews) - Domani a Pechino si apre il 18mo Congresso del Partito comunista cinese (Pcc). Secondo i media statali, gli oltre 2mila rappresentanti verificheranno i risultati negli ultimi cinque anni e lanceranno le prospettive per altri cinque. Alcuni commentatori di Xinhua azzardano addirittura previsioni  fino al 2021, quando il Pcc compirà 100 anni, in cui la Cina dovrebbe raggiungere una "più grande prosperità", e fino al 2049, quando compirà 100 anni la Repubblica popolare cinese, in cui si avrà finalmente "una società socialista, moderna, ricca, democratica, civile e armoniosa". Pur con tutte queste rosee promesse, la popolazione di Pechino e delle altre città della Cina guarda con indifferenza all'evento del Congresso, non avendo alcuna voce in capitolo.

Le riforme e le fazioni

Per ora, l'unico frutto sicuro del raduno sarà il passaggio dalla Quarta alla Quinta generazione di leader: il presidente e segretario Hu Jintao passerà il testimone a Xi Jinping; il premier Wen Jiabao lo passerà a Li Keqiang. I loro nomi non sono frutto di aperte discussioni e competizioni, né di elezioni, ma di scambi e favori da retrobottega per equilibrare e bilanciare i poteri e le voglie delle varie fazioni all'interno del Partito: i "riformisti", i "principini", la "cricca di Shanghai", i "maoisti", l'esercito.

Tutti loro però sono uniti da un dogma di fede: il monopolio del potere deve rimanere nelle mani del Partito comunista. Per questo, anche un "riformista" come Hu Deping, figlio del grande Hu Yaobang - che chiede maggiore attenzione ai diritti umani, una maggiore liberalizzazione dell'economia per dare fiato ai privati, l'indipendenza del potere giudiziario - non mette in dubbio l'assoluta leadership del Pcc.

Non parliamo poi dei "principini", i figli dei dignitari del Partito ai tempi di Mao, le cui ricchezze sono quasi pari al disprezzo della gente comune verso di loro, fotografati con Ferrari e beni di lusso, proprietari di case e ville in Cina e all'estero. Un solo esempio: il figlio di Zeng Qinghong, Zeng Yu, possiede una villa a Sydney (Australia) del valore di 32 milioni di dollari. Per tutti loro, il potere del Pcc è la garanzia per mantenere i privilegi accumulati in questi decenni. Lo stesso si può dire della "cricca di Shanghai", dominata ancora dall'ex presidente Jiang Zemin, che sostiene il monopolio e i privilegi delle industrie statali, facili a ricevere prestiti dalle banche, aiuti per l'export, e tanta misericordia se i conti sono in rosso o se avvengono ingiustizie verso i loro operai.

I "maoisti", che rivendicano una politica più a servizio del popolo, sono quelli che discutono meno la possibilità di riforme politiche, volendo uno stile ancora stalinista. Tanto più che il loro corifeo più famoso, Bo Xilai, è stato messo in quarantena dopo scandali sessuali e rivelazioni sulla ricchezza della sua famiglia all'estero.

Corruzione e povertà

Rivelazioni di ricchezze sterminate hanno colpito anche il premier uscente Wen Jiabao e il futuro presidente Xi Jinping. Per tutta risposta, il Partito ha semplicemente censurato sul web tutte le notizie collegate. Il sospetto - e la quasi certezza - della gente comune è che tutte queste ricchezze sono accumulate attraverso la corruzione: il monopolio del potere politico e quello economico permette di circuire la legge (quando c'è) e diviene occasione di privilegi e favori da dare e ricevere. Qualche esempio: ditte occidentali devono spesso donare fino al 25% dei loro introiti per continuare le produzioni in Cina; al ministero della sanità si chiede - quasi come una regola - il 10% dei futuri guadagni per poter diffondere un farmaco nel Paese.

Eppure, uno dei risultati rivendicati dalla coppia Hu-Wen è la lotta alla corruzione. La Xinhua vanta la denuncia di 640 mila casi di corruzione in un anno. Ma di questi solo 24mila individui sono stati portati in tribunale.

Una delle riforme più importanti sarebbe la ridistribuzione della ricchezza del Paese a tutte le fasce più povere con miglioramenti nel welfare e nei salari. Negli ultimi 10 anni il Pil per capita dei cinesi si è elevato da 1135 dollari a 5432 dollari, ma ciò non toglie che vi sono pensionati che vivono con 1300 yuan al mese (circa 130 euro) e almeno 110 milioni di persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno, al di sotto della soglia della povertà. A fianco, vi sono centinaia di miliardari, tutti alti membri del Partito. Secondo molti studi economici, la Cina è il Paese che ha il primato al mondo per il maggiore abisso fra ricchi e poveri.

È quasi probabile che al Congresso si suggerirà qualche riforma di tipo economico, che preveda aumenti di salari e pensioni. Questo deriva non dal senso di dignità e giustizia verso le persone, ma dalla necessità sempre più urgente di aumentare il consumo interno, ora che le esportazioni verso Usa ed Europa soffrono a causa della crisi globale. Perfino la legge sul figlio unico potrebbe essere ritoccata in "legge dei due figli", dato che nelle industrie del Guangdong e di Shanghai scarseggia la manodopera proveniente dai migranti, dopo decenni di controllo sulla popolazione.

Una regola non scritta, verificata nella storia del Partito, è che le riforme vanno fatte solo se si è costretti: è avvenuto così per le modernizzazioni di Deng Xiaoping (1978), dopo i disastri umani ed economici della Rivoluzione culturale; lo stesso per l'accelerazione delle riforme (1992), dopo il massacro di Tiananmen; la riforma della costituzione sulla proprietà privata (2004), per garantire molti più investimenti stranieri nel Paese.

Xinhua esalta i successi di Hu e Wen: la conclusione del progetto della diga delle Tre Gole; la ferrovia Qinghai-Tibet; i Giochi olimpici di Pechino (2008); l'Expo di Shanghai (2010); i viaggi dei primi cinesi nello spazio; la diffusione dell'influenza cinese nell'economia mondiale (G20), in Africa, nell'Oceano Indiano (contro i pirati somali), nell'Organizzazione mondiale della sanità, nel Fondo monetario internazionale.

Ma proprio Hu e Wen rimangono sordi a qualunque richiesta di partecipazione da parte del popolo cinese che essi dicono di servire. È curioso che il Global Times (legato al Quotidiano del popolo), ieri abbia pubblicato un'inchiesta secondo cui l'80% dei cinesi sostengono le politiche di riforma, con maggiori verifiche da parte del pubblico e di organi competenti per evitare corruzione e follie.

Ma è altrettanto curioso che il Nobel Liu Xiaobo marcisca in prigione proprio per aver chiesto le stesse cose, con un elemento in più: la democrazia e la fine del Partito unico.

Diritti e religioni

Da alcune settimane, centinaia di attivisti e dissidenti subiscono minacce, arresti, sequestri, controlli della polizia a Pechino, Shanghai, Guangzhou, Guizhou: si vuole evitare che essi possano intralciare i lavori del Congresso. Per evitare lanci di volantini, i taxi della capitale non hanno più la maniglia per aprire i finestrini posteriori ed è proibito il volo di piccioni viaggiatori o di aerei da modellismo sulla città.

Alcuni attivisti del Chrd (Cinese Human Rights Defenders) affermano che nel decennio Hu-Wen "la repressione politica è stata più intensa, puntando soprattutto sulla società civile. Le tecniche di repressione del governo di Hu-Wen sono divenute più sofisticate... compresi sequestri, sparizioni forzate, torture, detenzioni illegali nelle "prigioni nere", arresti domiciliari, 'turismo' forzato, accuse di 'disturbi all'ordine pubblico' e di 'evasione delle tasse'".  Secondo Chrd, i futuri leader Xi Jinping e Li Keqiang manterranno lo stesso sistema repressivo di Hu e Wen.

Ma i problemi causati dal capitalismo selvaggio di questi anni - ingiustizie, corruzione, inquinamento, espropri, soffocamento dei diritti - sono divenuti così ampi che ormai la Propaganda del Partito non conta più le rivolte che deve sedare ogni anno. Da 8600 nel 1993, all'inizio dell'accelerazione delle riforme economiche, esse superano ormai i 200mila casi all'anno. É vero che esse non riescono a divenire un movimento unitario, a causa della repressione e degli arresti del governo, ma ormai la sensibilità sui propri diritti cresce a causa delle ingiustizie subite, della dignità riscoperta (anche attraverso la fede religiosa), delle informazioni che corrono nel web. Non affrontare ora la questione delle riforme politiche e della libertà dei cittadini (anche quella religiosa) rimanda solo di alcuni anni lo scontro.

Che la repressione non sia la soluzione dei problemi lo si può vedere anche dalle questioni religiose: per oltre 60 anni il Pcc ha cercato di sconfiggere e distruggere le religioni, arrestando membri, monaci, vescovi, preti; controllando funzioni nelle chiese e nei templi. E ora il Partito si trova con una società dove la sete di Dio e di valori spirituali è irrefrenabile. Il problema del Partito comunista cinese è che non conosce i misteri dell'uomo.

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
I nuovi timonieri, vittime e carnefici del Partito comunista cinese
15/11/2012
La prevedibile "democrazia interna" del Partito: Xi Jinping e Li Keqiang nel Comitato centrale
14/11/2012
Hu Jintao: il "canto del cigno" in 90 minuti
08/11/2012
Al via il Congresso del Partito comunista. Xi Jinping: ‘una nuova era’
18/10/2017 11:48
Bao Tong: la ‘nuova era’ di Xi Jinping non è una novità
28/10/2017 09:12


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”