26/09/2006, 00.00
TURCHIA
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Allarme del comandante dell'esercito turco contro l'islamizzazione della società

di Mavi Zambak

Il generale İlker Başbug rivendica il tradizionale ruolo dei militari in difesa dello Stato laico e parla di minaccia provocata dal maggior potere delle comunità religiose. 

Ankara (AsiaNews) – Duro intervento ieri ad Ankara del comandante dell'esercito turco, generale İlker Başbug, contro la minaccia islamica in Turchia. Parlando ai cadetti dell'accademia militare, durante il suo discorso inaugurale per l'apertura dell'anno accademico 2006-2007, il comandante ha affermato che la minaccia reazionaria ha raggiunto livelli allarmanti per via del maggior potere acquisito dalle comunità religiose in campo economico e politico. Ha respinto inoltre le critiche europee, difendendo il diritto dei militari ad avere voce in capitolo nelle questioni socio-politiche della nazione.

Si sa che da quando la Turchia ha chiesto di entrare in Europa, la Comunità Europea discute sul ruolo delle Forze armate nella vita sociale e politica turca. Anzi, una clausola perché il Paese della Mezzaluna possa essere ammesso è proprio che l'esercito non influenzi ed interferisca nelle questioni politiche e amministrative dello Stato. E' ancora attuale il monito del vicepresidente della Commissione europea Guenter Verheugen: "Finché sarà il potere militare – attraverso il consiglio di Sicurezza nazionale, che si autodefinisce baluardo dello stato laico e difensore dell'ideologia kemalista – a controllare la politica e non la politica a controllare l'esercito, non riesco ad immaginare come la Turchia possa divenire un membro dell'UE".

E proprio ieri, rispondendo alle critiche dell'inviato dell'Unione Europea, Hansjoerg Kretschmer, il quale aveva affermato che i militari sono abituati a esprimere opinioni su ogni questione, Başbuğ ha dichiarato che l'esercito ha il diritto di dire la sua quando si tratta di difendere la laicità e il nazionalismo. "Le forze armate turche hanno sempre difeso e continueranno a difendere lo Stato nazionale, lo Stato unitario e lo Stato laico" ha affermato ieri ad Ankara.

L'esercito si è fatto finora garante della laicità kemalista, anche facendo pagare un altissimo prezzo alla nazione, quali la formazione di un apparato burocratico militare con costi economici elevatissimi e una sistematica repressione contro ogni forma di fanatismo. L'esercito fu chiamato ad essere il difensore del nazionalismo e della laicità e per difendere questi due valori ha organizzato ben quattro colpi di Stato. Il primo ebbe luogo nel 1960 e fu seguito da altri nel 1971, 1980, 1997, di volta in volta per tutelare lo Stato sia contro i gruppi islamici che contro i partiti di sinistra che cominciavano ad influenzare troppo la vita politica del Paese.

L'esercito, dunque, fin dall'inizio, è stato il pilastro sul quale fu fondata la repubblica e in seguito definì, in larga misura, le norme di comportamento per le elites politiche della repubblica. Questo è il principale motivo per cui nella società turca di oggi prevalgono elementi e norme comportamentali militari, quali eroismo, autorità e disciplina.

I leader della nuova repubblica turca, del resto, avevano una formazione militare e la organizzarono come uno Stato nazionale omogeneo, a scapito delle minoranze etniche e religiose.

Lo stesso Mustafa Kemal Pascià, l' Atatürk padre e fondatore della Turchia, era un generale militare diplomatosi all'Accademia di Guerra a Istanbul e formatosi nell'esercito ottomano.

Nel 1925, creando la Repubblica turca dalle macerie dell'impero ottomano, Atatürk  cercò di "pulire ed elevare la fede islamica, liberandola dal ruolo di strumento politico" e nel 1937 soppresse l'articolo della Costituzione che proclamava l'Islam religione di Stato.

Il suo obiettivo principale era quello di dare inizio al processo di costruzione di un'identità nazionale turca, unita ad una marcata occidentalizzazione, considerata indispensabile per la sopravvivenza della Turchia. Desiderava trasformare il Paese in decadenza, in uno Stato moderno e civilizzato: per lui e per i riformisti la civilizzazione significava "civilizzazione occidentale". E' su questa linea che si inserirono le riforme di Atatürk, che comprendevano l'abolizione del sultanato, del califfato e degli Ulema, la rinuncia alla sharia, l'adozione di un nuovo codice civile sul modello di quello vigente in Svizzera, la sostituzione dell'alfabeto arabo con quello latino, l'eliminazione delle parole di origine araba e persiana, il passaggio dal calendario lunare a quello solare, la sostituzione del venerdì con la domenica come giorno di riposo e il riconoscimento dei diritti politici alle donne. Tali misure non erano ideate tanto per eliminare l'Islam e i valori islamici dalla società turca, quanto piuttosto per porre fine alle funzioni politiche dell'Islam e al potere delle istituzioni religiose nella legislazione e nella giustizia turca, trasformando la religione in una questione di coscienza individuale.

Il generale Başbuğ ieri, senza esitazioni, ha dichiarato che una grave minaccia incombe sulla Turchia da parte di sette islamiche e che la presenza musulmana è fortemente in crescita in molti ambiti vitali, mettendo così a rischio i risultati raggiunti dalla rivoluzione di Ataturk, che aveva dato vita a una Turchia laica.

 "Devo annunciare con rammarico che la minaccia reazionaria (Islamica), sebbene in alcuni ambienti non lo si voglia ammettere, ha raggiunto livelli preoccupanti", ha detto Başbuğ, mettendo in guardia la nazione e fors'anche l'Europa. E ha aggiunto: "Ci sono tentativi intenzionali, costanti e sistematici nel voler erodere gli obiettivi ottenuti dalla rivoluzione kemalista."  E ha avvertito: "trasformando la religione in un'ideologia si finirà per politicizzarla e a uscirne sconfitta sarà soprattutto la religione stessa."  Le accuse di Başbuğ sembrerebbero essere rivolte al partito al governo Giustizia e Sviluppo (AKP), che affonda le sue radici nell'islam politico.

Ma il governo del primo ministro Recep Tayyip Erdoğan nega di perseguire un programma islamista e l'AKP si dichiara un partito democratico conservatore. Proprio per questo, Faruk Çelik, ex deputato dell'AKP, in tutta risposta al generale ha dichiarato che spetta al governo affrontare ogni eventuale minaccia islamica: "Se è vero che la Turchia sta facendo un passo indietro, se è vero che esiste una reazione [religiosa], voglio che tutti sappiano che il governo della Repubblica turca è la principale forza che la contrasterà."

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