22/08/2019, 11.02
BANGLADESH-MYANMAR
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Ancora una volta, nessun Rohingya si presenta per le operazioni di rimpatrio

A partire da oggi, il governo birmano avrebbe accettato un primo gruppo di 3.454 sfollati. Il ministro degli Esteri bangladeshi accusa i leader tribali e le Ong di “scoraggiare il ritorno dei profughi”. In Myanmar, il temporeggiare dei Rohingya rinforza i dubbi sulla loro effettiva volontà di rimpatriare.

Cox’s Bazar (AsiaNews) – Anche il secondo tentativo per il rimpatrio volontario in Myanmar dei profughi Rohingya nei campi lungo il lato bangladeshi del confine al momento si è rivelato un insuccesso: stamane nessun rifugiato è salito sui cinque autobus e 10 camion che le autorità dei due Paesi hanno messo a disposizione per il trasferimento. Khaled Hossain, funzionario a capo del campo di Teknaf, dichiara: “Siamo qui dalle nove del mattino, ma non si è presentato ancora nessuno”. La scorsa settimana, Naypyidaw e Dhaka avevano annunciato che, a partire da oggi, il governo birmano avrebbe accettato un primo gruppo di 3.454 sfollati.

Dubbi sulla riuscita delle operazioni erano emersi già due giorni fa, durante i colloqui che l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhrc) e la Commissione bangladeshi per il Sollievo ed il Rimpatrio dei rifugiati (Rrrc) avevano tenuto con 100 Rohingya (21 famiglie) che avevano fatto richiesta di rimpatrio. La maggior parte di questi hanno affermato di non voler tornare in Myanmar senza la garanzia di sicurezza ed il riconoscimento della cittadinanza. Abul Kalam Abdul Momen, ministro degli Esteri di Dhaka, ha ribadito in serata che Bangladesh e Myanmar sono “del tutto pronti” e ha accusato i leader Rohingya e le Ong che operano nei campi di “scoraggiare il rimpatrio dei profughi”.

Dall’altro lato del confine, in Rakhine, il temporeggiare dei Rohingya rinforza i dubbi della popolazione locale sulla loro effettiva volontà di rimpatriare. È opinione diffusa che la minoranza islamica voglia prender tempo e indurre l’intervento dei più alti organismi internazionali, nella speranza di ottenere legittimazione. Hla Khine, giovane buddista nativo del Rakhine, in passato aveva dichiarato ad AsiaNews: “I musulmani vogliono creare una regione islamica nelle nostre terre. L’insistenza con cui pretendono di esser chiamati ‘Rohingya’, anziché ‘Bengali’, è funzionale al raggiungimento dello scopo. Con il riconoscimento etnico, pensano di poter avere più leva per le loro rivendicazioni territoriali. Inoltre, la storia della negazione della cittadinanza da parte del nostro Stato è distorta. Sono loro che si rifiutano di inserire il termine ‘bengali’ nei documenti, cosa che invece i tanti cittadini di origine indiana hanno fatto tranquillamente. Al confine con la Thailandia vi sono nove campi profughi per gli sfollati dei conflitti tra le milizie etniche e l’esercito birmano. Vi si trovano migliaia di profughi Shan, Mon, Chin, Kachin, tutte etnie, loro sì, native del Myanmar. Anche a loro viene negata una carta d’identità, ma per loro il mondo non si indigna…”.

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