28/05/2019, 16.32
MYANMAR
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Caritas Myanmar: Minoranza, ma testimoni dell’amore di Cristo

di Paolo Fossati

I cattolici sono 750mila, poco più dell’1% della popolazione birmani. Il braccio sociale ed umanitario della Chiesa è stato fondato nel 2001 e può contare su 725 volontari. Educazione, emergenze, salute, protezione sociale e sostentamento sono i loro campi di lavoro. Le crisi negli Stati di Kachin e Rakhine richiedono due approcci differenti.

Roma (AsiaNews) – In un contesto multietnico e multireligioso come quello del Myanmar, la missione dei volontari della Caritas è “testimoniare l’amore di Cristo agli ultimi, a quanti sono perduti e ai più poveri tra i poveri”. Lo dichiara ad AsiaNews il direttore nazionale di Caritas Myanmar (nella foto primo a destra). Richard Win Tun Kyi era tra i circa 400 partecipanti alla XXI assemblea generale di Caritas Internationalis, che si è svolta a Roma tra il 23 maggio scorso ed oggi. “Sin dalla fondazione – afferma – Caritas Myanmar è molto attenta alla diversità dei popoli che compongono la nostra nazione ma afferma con orgoglio l’appartenenza alla Chiesa e la fedeltà ai suoi vescovi. A guidarci sono i principi sociali della dottrina cattolica”.

In Myanmar, i cattolici sono 750mila poco più dell’1% della popolazione. Conosciuta in patria con il nome di Karuna Mission Social Solidarity (Kmss), l’organizzazione opera su mandato della Conferenza episcopale del Myanmar (Cbcm) dal 2001. Cinque sono gli ambiti principali che vedono impegnati i circa 725 volontari di Kmss: educazione, riduzione del rischio di catastrofi e risposta alle emergenze, salute, protezione sociale e sostentamento. Al momento, in tutto il Myanmar sono in corso diverse emergenze umanitaria. “Tra le più rilevanti – sottolinea Win Tun Kyi – vi sono quella nello Stato di Rakhine, dove alla crisi che ha colpito la popolazione Bengali-Rohingya si sono aggiunti gli scontri armati tra esercito governativo ed i ribelli dell'Arakan Army (Aa); ed il conflitto etnico che infiamma lo Stato di Kachin ed il nord dello Shan”.

I contesti sociali, etnici e religiosi che caratterizzano le due crisi differiscono. Essi costringono Caritas Myanmar ad adottare approcci distinti, che però hanno nella cautela un minimo comune denominatore. “Nel Kachin e nello Shan – spiega Win Tun Kyi – la Chiesa può contare su una forte presenza, dovuta all’alta percentuale di cristiani (cattolici e battisti). Tre sono le diocesi interessate in modo diretto dai combattimenti: Myitkyina, Banmaw e Lashio. La grande attività della comunità cattolica, in termini di opere pastorali e sociali, ha contribuito a radicare Kmss nel territorio sin dai primi anni Duemila. Per questo, quando nel 2011 sono ripresi gli scontri armati, siamo stati in grado di rispondere all’emergenza in modo immediato”.

“Questo è stato possibile anche perché le due fazioni in campo – il Tatmadaw (l’esercito birmano) ed il  Kachin Independence Army (Kia) – percepiscono la Chiesa come un’istituzione neutrale. Grazie al ‘fattore fiducia’, siamo riusciti a promuovere un importante programma di assistenza umanitaria”. Ciò nonostante, siamo molto cauti perché camminiamo su una linea molto sottile. In tutti gli interventi umanitari, cerchiamo anzitutto di concentrarci sulle persone che soffrono a causa del conflitto. Queste sono soprattutto i circa 60mila, degli oltre 120mila totali, sfollati interni (IDPs) che riusciamo ad assistere nelle aree non controllate del governo. I nostri aiuti sono destinati esclusivamente ai profughi”.

Quello del Rakhine è un contesto alquanto diverso per la Chiesa. Qui i cattolici sono una minoranza esigua: in tutta la diocesi di Pyay, responsabile per questa regione del Paese, vi sono solo 8mila fedeli su una popolazione di 2 milioni di persone. “Nonostante questi numeri – dichiara il direttore nazionale – Kmss ha iniziato già nel 2003-2004 le sua attività in Rakhine. Questo è uno dei territori più poveri e difficili di tutto il Paese. Nel 2009, quando le tempeste tropicali hanno devastato la regione, ci siamo messi al servizio di tutte le comunità: musulmani Bengali, buddisti Rakhine ed i gruppi di etnia Chin. Siamo così riusciti a stabilire un punto d’appoggio in Rakhine, ma purtroppo le tensioni etnico-religiose ci costringono ad una grande cautela. Esse riguardano soprattutto musulmani e buddisti ma non possiamo permettere che il nostro lavoro sia una scusa per trascinarvi anche i cristiani, che già sono guardati con sospetto da autorità ed estremisti”.

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