10/04/2007, 00.00
INDIA - TIBET - CINA
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Dalai Lama: l’India intervenga per impedire la distruzione della cultura tibetana

di Prakash Dubey
Il leader spirituale parla della politica di “terrore” che la Cina applica in Tibet per distruggerne la cultura e chiede a New Delhi di abbandonare la sua attuale politica "molto cauta" e intervenire presso Pechino.

Gorakhpur (AsiaNews) – Il Dalai Lama ha espresso preoccupazione, circa la posizione “molto cauta” dell’India sulla situazione del Tibet, sempre più schiacciato dalla morsa cinese, chiedendo un maggiore intervento per trovare una soluzione. Esperti parlano ad AsiaNews del grave problema.

“Non cerchiamo l’indipendenza [del Tibet] o la separazione [dalla Cina]” - ha dichiarato il leader spirituale in un’intervista rilasciata a una tv indiana l’8 aprile,  – ma chiediamo che siano riconosciuti alcuni diritti, in un ambito di autonomia o di autogoverno. Vogliamo conservare la nostra cultura, la nostra spiritualità, l’ambiente”. “Ora – ha aggiunto – molti visitatori vedono che il Tibet è governato dal terrore. I tibetani dovrebbero potersi governare, eccetto che per i rapporti esteri e la difesa”. Dopo l’invasione cinese, da oltre 50 anni New Delhi non interviene in modo diretto a difesa del Tibet, ma il Dalai Lama ha insistito che è tempo di riconsiderare questa politica “molto cauta” che “causa grande risentimento nella popolazione tibetana”.

Maulavi Majid, chierico islamico indiano, dice ad AsiaNews che “per millenni il Tibet è rimasto uno Stato sovrano con una propria cultura e religione buddista, guidato dal Dalai Lama che è sempre stato un leader religioso, non un potere politico. E’ stato come un padre per il popolo. Ma l’annessione cinese compromette quest’equilibrio politico-spirituale e l’India non può, con il suo silenzio, rendersi complice della rovina del Tibet”. Nel 1950 l’India “ha sostenuto l’annessione cinese del Tibet, ma questo non ha impedito l’aggressione del 1962 quando la Cina ha occupato migliaia di chilometri quadrati di territorio indiano. Ma l’India è ora cambiata e il nostro sostegno all’autonomia del Tibet può dare fastidio alla Cina” e “favorire la soluzione della crisi tibetana”.

Anche padre Francesco, sacerdote cattolico attivo per il dialogo interreligioso nella zona, ritiene “giusta” la preoccupazione del Dalai Lama e che “l’India deve cambiare la sua politica verso il Tibet”. Il Tibet – dice - non è solo una questione interna cinese, perché “è un’evidenza storica che il Dalai Lama è stato di fatto e di diritto il governante del Tibet, fino all’annessione cinese”, che è sempre stata “un’occupazione violenta, che ha sfruttato la cultura non-violenta del Tibet”. “Per questo l’India dovrebbe abbandonare la sua politica timorosa e chiedere il ripristino di un autogoverno dei tibetani”, magari “con applicazione di principi simili a quelli usati per il Bhutan”. Il Bhutan “è un Paese sovrano ma anche un protettorato indiano e svolge la politica estera e difensiva sotto la tutela dell’India. Lo stesso potrebbe farsi in Tibet”.

Yogi Aditayanath, noto monaco indù, aggiunge che “i rapporti tra India e Tibet sono vecchi di millenni. Per gli indù è importante il pellegrinaggio al Monte Kailash, dove abita il Dio Shiva, che è in Tibet. Già solo per questo l’India deve chiedere la liberazione del Tibet dai tentacoli cinesi. Invece l’India tace e questo è un tradimento della nostra eredità indù. Il Tibet è stato la culla del buddismo, che è parte della più grande tradizione religiosa indù. Per cui la attuale distruzione della cultura buddista in Tibet è anche la distruzione della nostra tradizione indù in quel Paese”.

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