28/05/2020, 11.39
CINA-HONG KONG
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Di cosa ha paura Hong Kong? Di essere non più libera, come la Cina

di P. Stanislaus (达尼老神父 )

Un sacerdote cinese spiega cosa affascina del modello di vita di Hong Kong: la libertà di parola, di stampa, di religione, ossia tutto quello che manca alla Cina popolare. Uno dei rari interventi pubblici di cinesi della madrepatria a difesa di Hong Kong. Proprio oggi l’Assemblea nazionale del popolo ha varato una legge per la sicurezza nazionale che rischia di distruggere l’esperienza liberale dell’ex colonia britannica.

Pechino (AsiaNews) –   Cosa spinge la gente di Hong Kong a gridare, manifestare, rischiare di farsi arrestare? La risposta è semplice: la paura di finire come la Cina, dove manca il rispetto per la dignità umana e dove manca la libertà religiosa. È quanto scrive in questo articolo p. Stanislaus, un sacerdote cinese, già intervenuto diverse volte su AsiaNews. Raccontando una sua visita ad Hong Kong di alcuni anni fa, p. Stanislaus mette in luce con vivezza cosa significa il principio “un Paese, due sistemi”, che rende Hong Kong diversa dalla Cina popolare. Proprio oggi l’Assemblea nazionale del popolo ha votato una legge per la sicurezza di Hong Kong, per proibire e prevenire secessione, attività sovversive, interferenze straniere, terrorismo, offese contro la madrepatria. Il punto è che manifestazioni come quelle che avvengono ad Hong Kong in questi mesi, di richiesta di democrazia, sono bollate dalla Cina come “terrorismo” e azioni religiose non controllate dallo Stato sono considerate “azioni criminali”.

Nello scrivere sul paragone fra Hong Kong e la Cina, p. Stanislaus ha lasciato alcuni spazi vuoti di parole non scritte (forse per evitare la censura o l’arresto), che abbiamo cercato di interpretare e mettendo le nostre parole fra parentesi quadre. Traduzione dal cinese a cura di AsiaNews.

 

 

Una decina di anni fa, sono stato una volta ad Hong Kong, ed esclamavo: ma Hong Kong non è già tornata alla madrepatria? Perché per andarci ci vuole un pass, come per andare all’estero?

La Chiesa di Hong Kong si è fatta carico di tutte le spese di noi quattro, mettendoci a disposizione un diacono come guida. Era durante le vacanze del Primo Maggio e ci siamo imbattuti in una manifestazione. Ci dicono: “Non siate sorpresi. Fare manifestazioni ad Hong Kong è una cosa molto normale. Ogni volta che i cittadini hanno delle richieste da presentare, organizzano una manifestazione. Anche il governo di HK è abituato a questo modo di fare. Questa volta la loro richiesta è di prendersi cura dei lavoratori delle classi inferiori e delle persone poco retribuite”.

Anche la Chiesa ha preso parte alla manifestazione, cosicché anche noi ci siamo uniti a loro. C’erano personalità appartenenti a differenti classi sociali, e persino di ogni nazionalità, gridando lo slogan: “Ho già fatto il mio lavoro, ma nessuno si prende cura di me”, o intonando canzoni. C’era la polizia che registrava i gruppi partecipanti alle manifestazioni e sul percorso, si prendeva carico dei problemi legati al traffico, mantenendo l’ordine e la sicurezza fino all’arrivo dell’ultima tappa, dinanzi all’entrata della sede del governo di Hong Kong.

… 

Lungo la strada ho visto uno striscione con la scritta: “Che Dio lo condanni!”. Mi ha preso un colpo e volevo fotografare il cartello, ma il mio compagno mi dice: “Meglio non fotografare”. I locali invece vi erano così abituati che ci ridevano sopra.

Sul tetto di un palazzo ho anche visto un enorme cartello con scritto: “Gesù è il Signore”. E chiedo. “Quel palazzo appartiene alla Chiesa? O è una parrocchia?”. Hanno risposto no: quei quattro caratteri sono soltanto una pubblicità del cristianesimo. Oltre alle chiese, si potevano spesso vedere lungo la strada resti di antiche chiese, librerie religiose, ecc. Ognuno aveva una pubblicità propria o un manifesto; alle fermate della metropolitana c’erano anche dei quotidiani gratis a disposizione di tutti.

Le persone come noi, soprattutto turisti, camminando, ogni tanto si fermavano. Invece i locali camminavano sempre di fretta; i loro passi erano così svelti che sembravano quasi correre. In particolare, vicino al quartiere di Central, sembravano ancora più ansiosi e ci spiegavano che il ritmo di vita a Hong Kong è molto veloce e le persone sono sempre sotto stress. Per questo la sera o nel weekend hanno bisogno di distendersi per evitare il collasso, per cui alcuni vanno in chiesa, altri nelle discoteche.

L’ultimo capo dell’esecutivo, di sua iniziativa, ha contattato il vescovo di Hong Kong, chiedendo alla diocesi di costruire una parrocchia in un determinato quartiere che ne era sprovvisto. Il capo d’esecutivo aveva detto: “Nella loro vita le persone sopportano troppo stress. Se non ci fosse un posto dove distendersi, molte persone impazzirebbero. Per questo, le parrocchie esistono, non solo per la Chiesa”. Con questo proposito, aveva ceduto una parte del giardino pubblico per far costruire la chiesa.

La Chiesa ha intrapreso molto iniziative, come ad esempio, l’hotel in cui alloggiavamo; gestisce circa 300 scuole, ospedali, ecc., ma anche tanti istituti caritatevoli. La Caritas, ad esempio, è un centro di carità che gode la fiducia di tutta la società. Gli ospedali o le scuole fondati dalla Chiesa hanno un’ottima reputazione sociale; sono stati anche creati diversi centri di servizio, tra cui quelli che prestano aiuti pastorali e spirituali negli ospedali o nelle carceri.

Ho visto tanti giovani, bambini non cristiani che andavano in chiesa durante i weekend o le vacanze per fare qualche servizio, partecipando alle attività caritative organizzate dalla Chiesa, ognuno di loro esprimeva grande passione e amore.

Ed oggi, li vedo piegati dalla tristezza…

Riversati nelle strade, sembrano come impazziti, non solo i giovani, ma anche tanti anziani e bambini che urlano e protestano. E nonostante tante persone siano state arrestate, continuano comunque a lottare. Di cosa hanno paura?

Forse so cosa essi temono. Non vogliono creare un dipartimento politico nelle scuole; non vogliono che siano il [Partito] a gestire gli ospedali delle scuole; non vogliono che le croci e le chiese siano demolite; non vogliono che i missionari stranieri siano costretti a fuggire; non vogliono che le case vengano demolite; non vogliono manifestare [solo] sotto il permesso delle autorità; non vogliono denunciare problemi solo con l’approvazione dell’alto; non vogliono essere….; non vogliono diventare prigionieri [politici]; non vogliono essere come noi.

Neanch’io lo voglio, per cui, forza Wuhan! Persone codarde come me, non hanno il coraggio di fare il tifo per ad altri posti[1]!


 [1] Durante il picco della pandemia, in Cina si gridava “Forza Wuhan!”, in cinese: “Wuhan jia you!”. Nello stesso periodo, nelle manifestazioni per la democrazia ad Hong Kong si gridava: “Xiang Gang jia you!”, “Forza Hong Kong!”. L’ultima frase è ironica e suggerisce che “i codardi” non faranno il tifo per Hong Kong.

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