03/09/2013, 00.00
INDONESIA – ISLAM
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East Java, funzionari pubblici costretti a pregare Allah

di Mathias Hariyadi
La disposizione è entrata in vigore il 26 agosto nel distretto di Situbondo. Per il capo Dadang Wigiarto rafforza la collaborazione e migliora il lavoro "grazie all’intervento divino”. Creato un registro firme per verificarne l’applicazione. Critiche dalla politica e dalla società civile: la preghiera è un elemento personale e le sanzioni vanno rimosse.

Jakarta (AsiaNews) - Ha sollevato un coro di critiche e proteste la recente norma distrettuale del capo di Situbondo, nella provincia di East Java, che obbliga tutti i funzionari pubblici musulmani (Pns) - uomini e donne - a recitare la preghiera islamica in comune prima di iniziare la giornata di lavoro. Per Dadang Wigiarto è importante che i dipendenti si riuniscano in moschea per recitare la "Sholat berjamaah" - "preghiera comune" in lingua locale, ndr - dalla quale è esentato "il personale in ferie e le donne nel periodo mestruale". In risposta, un gruppo di funzionari del distretto ha presentato una protesta formale contro la legge, ricordando che la preghiera è un "elemento personale" e nessuno si può arrogare il "potere" di imporla.

In prima fila nella lotta contro la preghiera obbligatoria per i funzionari pubblici - in base al decreto del 26 agosto 2013 emanato dal capo distretto Dadang Wigiarto - c'è il parlamentare regionale Syaiful Bahri. Egli afferma che la "Sholat" non ha alcun legame con la pubblica amministrazione e nessun organismo statale "può legiferare" in materia. La recita della preghiera, prosegue il parlamentare regionale, "non dà alcuna garanzia" sul fatto che i funzionari pubblici svolgano meglio il loro lavoro. E rappresenta una vera e propria "ingerenza", oltre che un abuso di potere, dei vertici delle amministrazioni nella vita dei cittadini e dei lavoratori.

In tutto il Paese la pratica della "Sholat berjamaah" non è regolata da leggi o norme; nel distretto di Situbondo, i funzionari sono soliti riunirsi per pregare alla moschea di Al-Abror, che sorge all'interno del distretto amministrativo in pieno centro. Il capo distretto è convinto che la preghiera comune possa migliorare la qualità del lavoro, grazie "a una sorta di intervento divino di Allah". All'esterno del luogo di culto è stato posizionato un registro, dove i funzionari sono tenuti ad apporre la loro firma dopo aver recitato le preghiere. E per verificare quanti, di contro, non ottemperano alla disposizione.

Attivisti per i diritti umani e movimenti laici manifestano pesanti critiche contro la legge. Fra le molte voci contrarie quella di Subhi, un ricercatore del Wahid Institute, secondo cui essa è "una grave violazione dei diritti umani e nella libera pratica del culto". La preghiera, aggiunge, è un fatto "strettamente personale" che "non può essere regolata da alcuna norma" e "le punizioni andrebbero rimosse".

L'Indonesia è la nazione musulmana più popolosa al mondo e, pur garantendo fra i principi costituzionali le libertà personali di base (fra cui il culto), diventa sempre più teatro di violenze e abusi contro le minoranze, siano essi cristiani, musulmani ahmadi o di altre fedi. Nella provincia di Aceh - unica nell'Arcipelago - vige la legge islamica e in molte altre aree si fa sempre più radicale ed estrema l'influenza della religione musulmana nella vita dei cittadini. 

In prima fila nella campagna di "islamizzazione" vi sono gruppi estremisti come ii membri del Fronte di difesa islamico e il Consiglio indonesiano degli Ulema, che dettano legge in diverse zone imponendo norme e regolamenti ispirati alla sharia, come il divieto di bevande alcoliche e altri regolamenti in tema di morale sessuale.

 

 

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