21/03/2016, 12.49
TIBET – INDIA – CINA
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Elezione del governo tibetano in esilio. Qualche difficoltà

La diaspora tibetana vota per il rinnovamento del Parlamento e del governo. Per il ruolo di primo ministro la sfida è a due, fra il premier in carica e l’ex presidente del Parlamento. Escluso il giorno dopo le primarie il terzo candidato, che vuole l’indipendenza dalla Cina. Il processo coinvolge circa 90mila tibetani sparsi in una decina di Paesi. Critiche sul processo elettorale e sull’emarginazione di chi “non ha soldi da spendere”. Mistero sul voto dei tibetani nelle province cinesi.

Dharamsala (AsiaNews) – Migliaia di tibetani si sono recati alle urne per eleggere il 15mo capo del Kashag (Governo in esilio) e i 45 membri del 16mo Parlamento tibetano. Le votazioni hanno coinvolto circa 88mila tibetani della diaspora registrati presso l’ufficio elettorale di Dharamsala, che hanno espresso le loro preferenze in 13 diversi Paesi. In un primo momento si è cercato di coinvolgere anche i tibetani rimasti in patria, o almeno quelli delle province cinesi confinanti come il Gansu. La difficoltà di trasportare i loro voti in India avrebbe reso però impossibile l’operazione.

A contendersi il ruolo principale, quello di guida politica, sono rimasti in due dopo le “primarie” che si sono svolte nell’ottobre 2015. Penpa Tsering, lo sfidante principale, è stato per due mandati il presidente del Parlamento tibetano in esilio. Ha 49 anni ed è nato in India, nel cuore della diaspora tibetana. Molto critico nei confronti della Cina continentale, ha promesso di portare avanti una battaglia “senza sconti” per fermare la tragedia delle auto-immolazioni nel Tibet vero e proprio.

Lobsang Sangay, 48 anni, è invece il premier tibetano in carica. Eletto nell’aprile del 2011, aveva trascorso i 15 anni precedenti all’università di Harvard come professore di legge. È il terzo primo ministro tibetano che viene eletto in modo democratico dal 2001, ma il primo ad avere su di sé tutti i compiti tradizionalmente affidati al Dalai Lama. Il leader del buddismo tibetano ha infatti rinunciato, sempre nel 2011, a ogni carica di tipo politico. Lobsang ha dichiarato di voler portare avanti un canale di comunicazione con la Cina, “unica strada” per il miglioramento della situazione del Tibet.

Il suo predecessore nel ruolo di Kalon Tripa è Samdhong Rinpoche, che ha annunciato di non aver votato: “Le regole violate e il denaro speso per queste elezioni dimostrano che esse non rispettano l’etica del buddismo tibetano”. La sua dichiarazione riflette la posizione del terzo – in ordine di voto – alle primarie: Lukar Jam Atsok, per alcuni anni prigioniero politico nelle carceri della Cina continentale. Egli ha raggiunto il terzo posto al voto del 18 ottobre 2015: il giorno successivo, la Commissione elettorale ha annunciato che al ballottaggio sarebbero andati soltanto i primi due candidati. Nel 2011, i candidati ammessi furono tre.

Secondo una lunga lettera del Tibetan Policy Review, si tratta di un evidente tentativo da parte del governo al potere di “mantenere lo status quo. Atsok ha più volte dichiarato che la sua visione prevede l’indipendenza del Tibet dalla Cina e non l’autonomia culturale predicata dal Dalai Lama e dai due contendenti rimasti in corsa. Questo può spaventare, ma in una reale democrazia ogni opinione dovrebbe essere rispettata e dovrebbe avere la possibilità di farsi ascoltare. Scansare i candidati scomodi non è democratico”.

Moltissimi osservatori stranieri si sono allineati a queste critiche. Una lettera aperta, firmata da 27 “amici del Tibet” che da anni si dedicano alla causa, esprime “profonda preoccupazione” per le regole elettorali emesse dalla Commissione e per i risultati “anti-democratici” che portano con loro. Fra i firmatari vi sono il fondatore dello Students for Free Tibet, l’ex presidente dell’International Campaign for Tibet e Ismael Moreno, il giudice spagnolo che ha aperto una causa contro l’ex leader comunista Hu Jintao per il massacro da lui ordinato in Tibet nel 1989.

Tuttavia, i tibetani della diaspora si sentono comunque “orgogliosi” per la possibilità di esprimere le proprie preferenze politiche. Sonam, studentessa 22enne che vive in Nepal, dice: “Le elezioni sono davvero importanti. Sono un diritto basilare di ogni cittadino, e approfittarne è una benedizione”.

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