15/01/2019, 12.45
ISRAELE - PALESTINA
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Haifa, mostra ‘blasfema’: dietro le polemiche una lotta fra poteri sulla pelle dei cristiani

A denunciarlo è il leader cristiano Sobhy Makhoul, che parla di scontri fra fazioni e partiti israeliani in lotta fra loro. Nel mirino una mostra che espone il clown di McDonald crocifisso come Gesù. I vertici delle Chiese di Gerusalemme chiedono “rispetto” e rinnovano l’invito a promuovere la tolleranza. 

 

Gerusalemme (AsiaNews) - Nella polemica divampata in Israele attorno all’esposizione di opere offensive del Cristo e della Vergine “si nasconde una lotta interna fra le varie fazioni che si contendono il potere”. Uno scontro che, oggi, si consuma “sulla pelle dei cristiani”. È quanto racconta ad AsiaNews Sobhy Makhoul, della Chiesa maronita di Gerusalemme e amministratore del Christian Media Center, commentando la controversa vicenda riguardante l’esposizione di opere “blasfeme” nel museo di Haifa. “È giusto - avverte il leader cristiano - difendere la nostra fede e i suoi simboli più cari, senza esasperare i toni della polemica”.

La mostra, sottolinea Sobhy Makhoul, “è aperta da agosto e solo in questi ultimi giorni è divampato lo scontro. Sulla vicenda è intervenuta anche la ministra per la Cultura e lo sport, che ha attaccato i vertici della municipalità di Haifa dicendo che una simile mostra non è accettabile. Dal comune, che è di un colore politico diverso, hanno rispedito le critiche al mittente, ma è evidente che si tratta di contrasti fra esponenti della politica israeliana che vengono giocati sulla pelle dei cristiani”. 

A innescare la controversia, la rappresentazione di Ronald Mcdonald, il clown simbolo della omonima catena mondiale di fast-food made in Usa, inchiodato a una croce di legno, opera dell’artista (cristiano) finlandese Jani Leinonen. Nei giorni scorsi centinaia di persone hanno protestato davanti agli ingressi del museo d’arte di Haifa, nel nord di Israele, dove è in corso la mostra “Beni sacri”. Le manifestazioni sono degenerate in scontri con le forze dell’ordine e lancio di pietre - e bombe carta - contro gli ingressi. 

Sulla vicenda sono intervenuti anche i Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme che, in una nota ufficiale, hanno condannato l’esposizione di immagini “provocatorie e irresponsabili”. Una mostra che vuole criticare il consumismo, aggiungono, ma che per farlo utilizza “le figure e i simboli più sacri” della tradizione cristiana e questo è “inaccettabile”. Auspicando il “rispetto” degli elementi alla base della fede, i leader cristiani avvertono che simili fatti “non aiutano” le tre grandi fedi monoteiste “nella loro missione di promozione della tolleranza, della convivialità e della coesistenza” in una realtà particolare qual è la Terra Santa.

Oltre al Cristo versione McDonald vi sono anche un Gesù insanguinato e la Madonna fatti con le bambole.

Il direttore del museo Nissim Tal si dice sorpreso per le polemiche a scoppio ritardato, a poche settimane dalla chiusura. Diverso il parere della ministra israeliana della Cultura Miri Regev, accusata in passato di censura verso l’arte, che ne auspica la rimozione perché “irriguardosa”. Una richiesta rispedita al mittente dalla struttura che rivendica la libertà di espressione.

Secondo alcuni vi è anche il fatto che simili opere, considerate “tabù”, non sarebbero mai state esposte se avessero colpito l’animo di musulmani o ebrei. Di contro, verso i cristiani - oltre 175mila nella sola Israele - ci sarebbe minore attenzione. “Vi sono elementi - afferma Sobhy Makhoul - che sono interessati ad agitare le acque. Noi cristiani, partendo dalla dichiarazione equilibrata dei capi delle Chiese di Gerusalemme, dobbiamo smorzare la polemica evitando esasperazioni”. 

“In questi giorni - aggiunge il leader cristiano - ho incontrato la comunità di Haifa, sacerdoti e fedeli, e vi è dispiacere per la vicenda. Certo, le opere d’arte feriscono, anche perché qui in Medio oriente, in Terra Santa, vi è una sensibilità diversa rispetto all’Europa. E anche il comune doveva mostrare maggiore attenzione. Detto questo - conclude - nessuno di noi vuole montare un caso”.

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