23/06/2014, 00.00
ASIA
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I venerdì del Sacro Cuore per l’Asia

di Ottavio de Bertolis, sj
La devozione al Sacro Cuore di Gesù è uno dei capisaldi della fede dei cattolici in Asia, sostegno della loro vita quotidiana, nella gioia e nelle persecuzioni. Offriamo ai lettori di AsiaNews un piccolo opuscolo di meditazioni e preghiere: un arricchimento per la loro spiritualità, un sostegno alla loro missione.

Roma (AsiaNews) - Siamo lieti di presentare questa piccola opera che si prefigge di accompagnare la preghiera e la riflessione di coloro che desiderano compiere la pia pratica dei primi nove venerdì del mese. Abbiamo ritenuto opportuno presentare in ogni tappa un dono particolare del cuore di Cristo: non che ne esistano solo nove, naturalmente, e anzi speriamo che la pietà del singolo fedele sappia riconoscerne molti altri, dati a tutti noi, ma anche dati a lui personalmente. Infatti l'amore di Gesù è riversato tanto sulla sua comunità quanto sui singoli: non è diviso, ma moltiplicato, e siamo persuasi che mai si finirà di conoscere la lunghezza, l'altezza, l'ampiezza e la profondità del mistero della nostra redenzione, nascosto in Cristo e a noi rivelato dallo Spirito che scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio.

Queste brevi meditazioni possono essere usate come punto di partenza per la propria riflessione personale in ognuno dei venerdì, e forse anche, per un cammino più profondo, nel corso dello stesso mese. Questi "nove venerdì", che nel loro ritmo ci presentano quasi il tempo di una nuova nascita, possono essere un tempo forte per accostarci a questa devozione in modo maturo e adulto: non come a un'assicurazione per la vita eterna, ma come a un cammino di ascolto e conversione, di contemplazione e di consolazione, di guarigione e di rinnovamento. Il lettore potrà, ad esempio, soffermarsi in modo particolare sui brani della Scrittura richiamati, e riprenderli per conto proprio: sempre ricordando, alla scuola di sant'Ignazio, che non è il molto sapere che sazia e riempie l'anima, ma il sentire e gustare intimamente. Non si tratta di leggere tanto, ma di gustare intensamente le cose di Dio. Per ritornare alla propria vita, alla propria famiglia, al proprio lavoro, ai propri incontri, con spirito rinnovato. In questo senso, bisogna bene intendersi quando si parla della spiritualità del cuore di Gesù come una spiritualità di "riparazione": non siamo infatti noi a "riparare" Lui, a dargli una specie di contentino per i peccati commessi, come se noi fossimo i "bravi" e gli altri i "cattivi". Piuttosto, è Lui che "ripara", cioè guarisce e rinnova i nostri cuori, cioè, uscendo dal termine biblico e simbolico, la nostra memoria, il nostro intelletto e la nostra volontà, la nostra personalità più profonda. E così il profeta dice che dalle sue piaghe siamo stati guariti. I "nove venerdì" sono appunto un cammino di guarigione e trasformazione che il Signore risorto opera in noi, nella potenza dello Spirito Santo, perché il Padre sia in noi stessi glorificato.

Infine, per sapere se siamo o no veri devoti del cuore di Gesù, o in generale se preghiamo "bene" o no, esiste solo un sistema: vedere i frutti. Siamo tanto appassionati del cuore di Cristo, e la preghiera è tanto vera, quanto siamo, come Lui, miti e umili di cuore. Gesù avrebbe potuto chiederci di imitarlo da qualunque punto di vista: avrebbe potuto dirci di imparare da Lui, che è sapiente, che si è offerto per i suoi nemici, che è casto, che è obbediente fino alla morte, che è povero. Ma ha voluto dirci solo di imparare da Lui che è mite ed umile, come se tutta la immensa sua grandezza si riposasse e condensasse qui. "Umiliò se stesso": l'inno ai Filippesi rinchiude e riassume così tutta la vita di Gesù, tutte le infinite ricchezze della sua Persona. Forse per questo il cuore di Gesù ha così pochi veri devoti. Molti vogliono le ricchezze che sono rinchiuse nel cuore di Cristo, ma pochi vogliono la strada che Lui tracciò, ma la perfezione consiste appunto, con le parole di sant'Ignazio, nello scegliere e desiderare per me quel che Lui per sé scelse e desiderò.

Crediamo inoltre di aiutare i fedeli nel presentare, al termine dell'opuscolo, quasi come un'appendice, la preghiera, così detta, dell'Ora Santa: può essere infatti un modo per arricchire la nostra orazione, e vivere più intensamente i "primi venerdì". Ancora, vogliamo infine presentare due modi di pregare: un "ritmo", ossia una serie di invocazioni ritmate quasi sul respiro, secondo il "terzo modo" di pregare proposto da sant'Ignazio, che può essere agevolmente usato a mo' di ringraziamento all'Eucaristia, e una duplice serie di litanie al sacro cuore che possono affiancare quelle più tradizionali composte da Leone XIII nel 1899. Abbiamo infatti osservato come si sono moltiplicate le litanie della Beata Vergine, accanto a quelle classiche o "lauretane", ma non abbiamo trovato nulla di questo genere in onore al cuore di Gesù: la litania, con il suo movimento quieto e profondo al tempo stesso, così simile al "secondo modo di preghiera" di sant'Ignazio, può essere uno stile da riscoprire per una preghiera semplice e personale al tempo stesso, permettendo al fedele di aggiungere o variare le invocazioni secondo quanto lo Spirito muoverà.

Nel Signore nostro di tutti vogliamo così sperare che questo che ora presentiamo possa essere un contributo a fare conoscere e amare il sacro cuore, secondo la missione che Lui stesso affidò alla Compagnia di Gesù, per la Sua più grande gloria.

 

 

1 venerdì

Il primo dono del Sacro Cuore

In questo primo venerdì, nel quale iniziamo la nostra sequela di Gesù, vogliamo considerare il primo dono che Lui ci fa: il perdono dei nostri peccati. "Perdono" significa appunto l'iper-dono, il dono più grande di tutti, quello che apre la nostra strada verso di Lui: tutti i dono che riceviamo sono conseguenza e sviluppo di questo primo grande regalo. Il perdono non significa solo che Lui dimentica i nostri peccati: non è solo come una specie di cancellatura dei nostri conti in passivo, per così dire, o una remissione del male che abbiamo compiuto, ma è al tempo stesso una vera e propria nuova creazione, una infusione in noi della vita nuova che è la grazia dello Spirito Santo, l'inizio di un modo nuovo e più bello di vivere, libero dalle pastoie dell'ingratitudine e del rancore, della noia o del disprezzo di se stessi, degli altri, o, perfino, di Dio.

Così il Salmo acclama: "Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie, salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia; egli sazia di beni i tuoi giorni e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza" (Sal 103, 3-5). L'azione generosa e fedele di Dio Padre si rivela in Gesù Cristo: è Lui che la compie, e in Lui si rivela il Padre. Così il perdono è l'inizio di una vita nuova: in questo mese possiamo ripensare a quando siamo venuti alla fede e Gesù ci ha fatto la grazia di avvicinarci a Lui: ma in realtà è stato Lui ad avvicinarsi a noi, perché rimane vero quel che ha scritto san Giovanni: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi" (1 Gv 4, 10). Possiamo anche ripensare alle tante conversioni che abbiamo avuto, a tutte le volte che abbiamo capito o sperimentato qualche cosa che ci ha fatto di più gustare la bellezza e la profondità del vangelo. Infatti non ci si converte una volta sola, ma tutta la nostra vita conosce molte nuove grazie di conversione: e sperimentiamo così che il peccato, quella lontananza che l'uomo mette tra lui e Dio, non è mai l'ultima parola. L'amore di Dio che si è rivelato in Gesù è come un mare nel quale quanto più entriamo tanto più scopriamo.

Possiamo anche, ascoltando le parole del vangelo della Messa, quotidiana o festiva, domandarci: "Come questa pagina mi parla del perdono di Gesù?". E vedremo che in tutto quello che Lui dice o fa c'è sempre questa fedeltà di Dio, che mai si lascia vincere dalla nostra durezza. Oppure, soprattutto se non possiamo andare spesso alla messa, e se non abbiamo la possibilità di leggere il vangelo per conto nostro, possiamo semplicemente ricordare, ripetendola molte volte nella nostra giornata, la stupenda espressione di san Paolo: "mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2, 20), che riassume in pienezza il mistero dell'amore del cuore di Cristo per noi. E, perdonati, impariamo a perdonare: poiché siamo stati accolti così come siamo, impariamo ad accogliere gli altri così come sono: infatti "noi amiamo, perché Lui ci ha amato per primo" (1 Gv 4, 19). Un bell'esercizio spirituale, molto facile e molto fruttuoso, potrebbe essere quello di dire a chi ci ha fatto del male, davanti a Dio nell'interiorità del proprio cuore, la stessa formula che ci sentiamo dire dal sacerdote: "Io ti assolvo". Il cuore di Gesù ci dona non solo il suo perdono, ma poter perdonare, che è ancora di più.

 

2 venerdì

Il secondo dono del Sacro Cuore

 

In questo secondo venerdì del mese vogliamo contemplare il secondo dono fattoci dal cuore di Gesù: la sua Parola. Possiamo infatti dire che tutta la Scrittura santa, l'Antico come il Nuovo Testamento, ci parlano di Gesù: infatti l'Antico Testamento trova la sua realizzazione in Gesù, e il Nuovo si riferisce chiaramente a Lui. Così Gesù stesso dice ai suoi discepoli: "Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosé, nei Profeti e nei Salmi"(Lc 24, 44). Un bell'esercizio spirituale che possiamo fare in questo secondo venerdì, come del resto in tutto il mese che iniziamo, potrebbe essere quello di vedere come e in che senso la Scrittura che viene proclamata nella liturgia, la Messa o l'Ufficio divino, ma anche la Scrittura che noi leggiamo nella nostra meditazione quotidiana, ci parla di Gesù, ossia come ce lo mostra, che cosa ci dice di Lui. Infatti possiamo dire che tutto quello che Gesù ha detto o fatto ci mostra il suo cuore, proprio come noi conosciamo il cuore di una persona da tutto quello che lui dice e fa. Così ogni pagina del Vangelo ci introduce alla conoscenza del mistero di Gesù, cioè ci mostra il suo cuore: in questo senso, potremmo dire che la Parola di Dio che noi proclamiamo, ascoltiamo e leggiamo, è come il vestito di Gesù. Da ciò che appare, appunto come il vestito, cioè dalle sue parole, dalle sue azioni, infine dal suo stesso corpo santissimo, il suoi gesti e i suoi tratti, il suo modo di accogliere le persone, di rispondere, di parlare, ci si mostra quello che è nascosto o invisibile agli occhi, appunto il suo cuore, la profondità della sua divina Persona.

San Girolamo diceva che l'ignoranza delle scritture è ignoranza di Cristo: noi potremo sviluppare questo concetto osservando che non si può essere veri devoti del sacro cuore se, come Maria, ogni giorno non ascoltiamo e custodiamo la Parola di Dio nel nostro cuore e con essa illuminiamo le nostre vite, le nostre scelte, il nostro modo di comportarci. Maria dunque ci insegna cosa vuol dire metterci alla scuola del sacro cuore, vera sorgente di sapienza: riservare ogni giorno spazi e tempi per il silenzio, la lettura, l'ascolto di Colui che attraverso le Scritture parla nel nostro cuore e al nostro cuore, come un amico parla ad un amico.

Infatti la Scrittura non è solo quella scritta, che troviamo nelle pagine della Bibbia che leggiamo, ma è anche quella che lo Spirito Santo scrive nei nostri cuori, cioè le mozioni interiori, i pensieri, i desideri e i propositi che si formano in noi quando docilmente leggiamo la parole di Dio e ci domandiamo: "Che cosa vuol dire per me?". Questo sia l'impegno di questo giorno e di questo mese che iniziamo sotto il segno dell'amore di Dio, il cuore di Cristo.

 

3 venerdì

Il terzo dono del Sacro Cuore

 

In questa terza tappa del nostro cammino vogliamo considerare il terzo dono che il Signore ci fa: la sua inabitazione in noi. Gesù infatti non solo è accanto a noi, a noi vicino come un amico, ma anche dimora in noi: anzi, possiamo dire che il senso e lo scopo della vita spirituale è entrare pienamente in quella dimensione che san Paolo tratteggia quando afferma "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20). Efficacemente osserva, nello stesso luogo, che questo è il risultato del fatto che "questa vita che vivo nella carne" - cioè nell'esperienza quotidiana della debolezza, che si manifesta in molti modi e che caratterizza la nostra esistenza, e che durerà finché viviamo, cioè finché siamo nella carne - "io la vivo nella fede del figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me". Questa è l'espressione più pregnante con la quale l'Apostolo ci mostra il senso di quella che, molti secoli dopo, è stata chiamata la "devozione al sacro cuore": vivere riflettendo continuamente nella nostra umana esperienza il mistero insondabile di Colui che mi "ha amato fino alla fine" (Gv 13, 1), fino al fondo del mio peccato e della mia ambiguità, ma anche fino all'apice delle mie potenzialità e dei miei talenti.

La sua inabitazione in noi è dunque il fatto che, nella grazia dello Spirito Santo, Gesù comunica a noi stessi la sua stessa conoscenza del Padre, il suo stesso ascolto della Sua parola, la sua stessa obbedienza, la sua stessa fiducia, il suo stesso amore. In altri, termini, come il fuoco si comunica al ferro che è in esso immerso, così che il ferro diviene incandescente senza smettere di essere quello che era, ma unendo la sua natura a quella del fuoco, così la vita cristiana è una progressiva unione, o comunione, cioè "comune unione" di Gesù con l'anima fedele. In effetti, questo è quello che intende dire quando dice di rimanere in Lui come i tralci nella vite (cfr. Gv 15): la linfa della vita irriga e vivifica i tralci stessi. E questo è il senso della così detta "offerta quotidiana della giornata" al sacro cuore, che tutti facciamo ogni giorno: offriamo le preghiere, le azioni, le gioie e le sofferenze come offrissimo altrettanti bicchieri che domandiamo che Lui riempia. In tal modo, chiediamo, con la nostra offerta, che non siamo più noi a pregare, ad agire, a gioire e a soffrire, ma Lui in noi, perché tutto sgorghi da Lui e in Lui termini al Padre.

 

4 venerdì

Il quarto dono del Sacro Cuore

 

In questo quarto incontro con il sacro cuore di Gesù vogliamo considerare il suo quarto dono: i poveri. E' curioso osservare che Egli dice che "i poveri li avete sempre con voi" (Gv 12, 8) e che "io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28, 20): con queste espressioni non intende giustificare l'ingiustizia che c'è nel mondo, della quale ognuno secondo il suo ruolo risponderà davanti a Lui nel giudizio finale, ma piuttosto intende dire che ogni giorno potremo fare qualcosa per Lui perché Egli è in ogni uomo che ha bisogno: "tutte le volte che avete fatto questo a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l'avete fatto a me" (Mt 25, 40). Non è esagerato dire che i poveri sono come un sacramento: sappiamo infatti che i sacramenti sono segni certi della Sua presenza. Così siamo certi che ogni volta avremo compassione dei poveri, riceveremo da Dio compassione per la nostra povertà: infatti "beati i misericordiosi perché troveranno misericordia" (Mt 5, 7).

La povertà della quale il Signore stesso ci invia ad avere compassione non è solo la povertà di denaro. Certamente è vero che "se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il proprio fratello in difficoltà gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio?" (1 Gv 3, 17), ma molte povertà non sono economiche, ma semplicemente umane. C'è chi ha bisogno di essere ascoltato: ascoltare (anche se non si sa cosa rispondere) può consolare un afflitto, così come è importante sapere donare il proprio tempo (che del resto non è nostro, e che abbiamo sempre poco) o la propria capacità di amare. C'è inoltre una povertà che può essere saziata dalla nostra testimonianza cristiana, discreta e più coi fatti che con le parole: è la povertà di coloro che vivono lontani da Dio, e che hanno bisogno, al tempo opportuno, di una parola esplicita su Gesù, perché nessuno più gliene ha parlato da tanto tempo. Sapere ridestare la fiducia in Dio, nella sua fedeltà, nel suo perdono, a coloro che non se lo aspettano più o non lo credono più possibile, è un'opera preziosissima di misericordia. Il sacro cuore ha promesso a santa Margherita Maria: i peccatori troveranno nel mio cuore la sorgente e l'oceano infinito della misericordia. Lui infatti ha detto: "colui che viene a me non lo respingerò" (Gv 6, 37). Se sapeste quanto c'è bisogno di testimoniare questo, che può arricchire molti di una ricchezza veramente urgente, risollevando dalla disperazione e dalla solitudine.

Per riassumere tutto, ricordiamo l'ultima delle opera di misericordia spirituali, secondo l'antico elenco del catechismo: pregare Dio per i vivi e per i morti. La preghiera è il primo apostolato e il primo ministero della Chiesa, perché solo la preghiera può ottenere per tutti gli uomini il dono dello Spirito Santo che ci rivela e ci attira soavemente e invincibilmente a Gesù Cristo, solo ricco che può saziare la nostra povertà.

 

5 venerdì

Il quinto dono del Sacro Cuore

 

Vogliamo oggi considerare quello che facciamo molto fatica a considerare un dono: la nostra debolezza. Con questo termine intendo ogni inferiorità che ci affligge: inferiorità fisiche, come una malattia con la quale dobbiamo quotidianamente fare i conti, tanto più se invalidante o mortificante; psicologiche, come la timidezza, il ritenersi brutti, il senso di inferiorità rispetto agli altri che possiamo avere per qualsiasi ragionevole motivo (dal non avere studiato tanto come gli altri, al non sapere parlare o il sentirsi comunque di "valere di meno"); e perfino inferiorità morali, che sono i nostri peccati, l'esperienza umiliante di non essere santi come vorremmo, il trascinarsi dei pesi dei quali vorremmo essere liberati non tanto per noi stessi, ma per non offendere Dio (il peso della disposizione facile all'ira, al pettegolezzo, alla sensualità, ad esempio).

E' molto interessante osservare che lo stesso san Paolo domanda insistentemente di essere liberato dalla sua "spina nella carne": non sappiamo quale sia, ma è certamente una debolezza che lo mortificava e gli testimoniava il suo essere inadatto ad amare e servire pienamente il Signore. La risposta di Gesù stesso è nota: "ti basta la mia grazia: la mia potenza si manifesta pienamente nella tua debolezza" (2 Cor 11, 9).

Gesù non interviene facendo di noi dei superuomini, e nemmeno trasformando il nostro carattere o donandoci quel che non abbiamo: è importante capire invece che Lui desidera che abbiamo compassione di noi stessi come Lui la ha di noi. Lasciandoci deboli, ci mostra chiaramente, fino a farcelo sentire intimamente, che davvero "non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ci ha amato per primo" (cfr. 1 Gv 4, 10. 19). Smaschera così la pretesa del fariseo, di quel fariseo che è in noi, che ringraziava Dio di non essere come gli altri: Egli non desidera umiliarci, cioè avvilirci, ma renderci umili, mostrando a noi semplicemente il suo amore gratuito che ci libera dalla paura di non essere quel che dovremmo e riempiendoci di fiducia e confidenza sconfinata. Mostra in altri termini che ci ha accolti così come siamo, perché anche noi possiamo accogliere gli altri così come sono. Insomma, ci mostra la sua misericordia: "Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia" (Rm 11, 32). Noi impariamo quindi a gloriarci di Gesù, dell'amore del suo cuore, e non di noi stessi, dei nostri meriti o delle nostre virtù.

Al tempo stesso, veramente la sua grazia in noi non è inutile. Apprenderemo dalla vita stessa come Gesù stesso agisce per mezzo di noi, che pure ci percepiamo giustamente così inferiori alla nostra vocazione e al nostro ministero, e fa di noi degli strumenti efficaci. Impariamo quindi a valorizzare questo abbondantissimo tesoro della nostra debolezza, non volendo scrollarcelo di dosso, ma portandolo con Gesù come la nostra croce. Molte croci sono semplicemente infatti da portare, e forse mai ce ne libereremo; ma questa è appunto la prima chiamata del servo di Cristo, quella di prendere la propria croce e di seguirlo con quella, e non senza. Così impariamo a offrire le nostre sofferenze: fisiche, spirituali e morali. Lo diciamo espressamente nell'offerta della giornata al cuore di Gesù: se hai dei peccati, offrili alla sua misericordia, se hai delle frustrazioni o delle angosce, offrile alla sua forza che sorregge, se hai delle sofferenze, portale nel tuo corpo insieme a Gesù, entrando nella sua passione. E sperimenterai che "anche noi che siamo deboli in lui, saremo vivi con lui per la potenza di Dio" (2 Cor 13, 4). Tutti siamo deboli: è importante imparare ad essere deboli in Lui.

 

6 venerdì

Il sesto dono del Sacro Cuore

 

In questo sesto incontro con cuore di Cristo vogliamo ricordare un altro dono: lo Spirito Santo. Tutto il Vangelo di Giovanni ci presenta lo Spirito come dono del Figlio: forse il vertice di tutto questo è al momento della morte stessa di Gesù, quando il Salvatore "spirò" (Gv 19, 30). Questo "spirò" non significa semplicemente "morì", nello stesso senso per il quale noi affermiamo che qualcuno è , appunto, spirato. Ha un significato molto più pregnante, che possiamo vedere nella versione latina "emisit spiritum", che traduce il testo greco che, tradotto letteralmente, dice: "consegnò lo Spirito" (parédoke tò pnéuma). Lo Spirito è a noi donato dalla passione di Gesù. Nela sua uccisone, la morte violenta che Egli volontariamente abbracciò, ossia il suo stesso lasciarsi uccidere da noi, o buttare fuori dalla nostra vita, nel suo fianco trafitto, Egli accolse la lancia di tutti i nostri peccati; accogliendo in se stesse questo colpo, estinse quell'odio con il quale veniva ferito e ucciso, ossia, come diciamo con linguaggio teologico, riconciliò gli uomini a Dio. Quel colpo di lancia che in un primo momento indica i colpi a Lui inferti da tutti i nostri peccati, diviene, per volontà del Padre, la chiave che apre la divina misericordia: "subito ne uscì sangue e acqua" (Gv 19, 34). Dio poteva lasciare aprire il suo cuore dalle opere sante di pochi giusti eccezionali, ma allora chi si sarebbe salvato? La sua onnipotenza, la sua misericordia, e vorrei dire la sua fantasia hanno scelto quel che tutti ci accomuna, il peccato, per fare di questo il mezzo per aprire il suo cuore.

E di lì sgorga lo Spirito. Lo Spirito che viene effuso dalla croce richiama lo Spirito che, all'inizio della creazione, aleggiava sulle acque (cfr. Gn 1, 1). E' infatti la nuova creazione che si compie nella morte di Cristo. Lo Spirito scende sul mondo per attirarlo a Gesù, per muovere tutta la storia, quella grande, dei popoli e delle nazioni, e quella piccola, degli uomini e di ognuno di noi, verso di Lui. "Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12, 32). Così lo Spirito avvolge ogni cosa, perché dello Spirito del Signore è pieno l'universo: non solo nella Chiesa, ma anche fuori, per attirare tutto a Gesù, perché tutti abbiano in Lui la vita.

Lo Spirito ci insegnerà ogni cosa, e ci ricorderà tutto quello che Lui ha detto (cfr. Gv 14, 26): ma ce lo ricorda non a livello puramente intellettuale, ma nel cuore, facendolo ardere, come quello dei discepoli di Emmaus, mentre spezziamo il pane e ci viene svelato il senso, alle scritture, ossia viene tolto il velo dal nostro cuore che ci impediva di sentire la parola di Dio come parola viva, detta per noi. Di più, lo Spirito trasfonde in noi la vita stessa di Gesù, come se noi vivessimo respirando della sua stessa aria, del suo stesso ossigeno: lo Spirito di Gesù in noi ci rende capaci di scegliere e desiderare per noi quello che Gesù per sé ha scelto e desiderato. Lo Spirito riproduce in noi, se fosse così possibile esprimersi, Cristo stesso. "Christianus alter Christus, dicevano gli antichi: il cristiano è un altro Cristo. E così chi vive dello Spirito di Gesù vive come Lui, reso simile a Lui, partecipe della sua stessa vita. Ama come Gesù ama, serve come Gesù serve, offre come Gesù offre: e che cosa offrirà? Non piccole o grandi opere, ma se stesso, per il Regno, vivendo, chierico o laico, uomo o donna, giovane o vecchio, semplicemente come Lui ha vissuto, particolarmente imparando da Lui, mite e umile di cuore (Mt 11, 29).

 

 

7 venerdì

Il settimo dono del Sacro Cuore

 

Il settimo dono del sacro cuore è la Chiesa. La Chiesa infatti non è la semplice somma dei battezzati, il gruppo che tutti quanto formiamo. Non risulta infatti da un calcolo aritmetico dei battezzati; non è nemmeno un società di perfetti, come se ci fosse una "vera" Chiesa di persone "spirituali", e un'altra "falsa", di credenti solo a parole, oppure se ci fosse una Chiesa-istituzione contrapposta a una Chiesa-popolo; non è nemmeno un gruppo di persone che noi scegliamo, basata sulla comune condivisione di una particolare affinità o spiritualità o modo di pensare, come potrebbe essere, al limite, un Ordine religioso. La Chiesa invece è l'ambito o ambiente nel quale noi possiamo rivivere esattamente le stesse esperienze che ci sono narrate nei Vangeli.

Mi spiego: è nella Chiesa, ad esempio, che ci è dato il perdono dei peccati, attraverso il battesimo e la penitenza. In quei momenti, noi riviviamo esattamente quanto è descritto nelle Scritture, il perdono dell'adultera o il battesimo dei primi cristiani come narrato negli Atti degli Apostoli. Infatti nel persone del sacerdote o nel battesimo amministrato c'è realmente Cristo che agisce, e che realizza il significato di quelle parole che ci sono rivolte: "io ti assolvo" o "io ti battezzo". Così quando noi partecipiamo all'Eucaristia, non c'è la minima differenza, quanto alla sostanza, tra la messa celebrata dal Papa in San Pietro e quella celebrata dall'ultimo prete nell'ultima cappella di questo mondo, e tra queste messe e quelle celebrata dagli Apostoli, e, in fondo, da quella celebrata da Cristo stesso nell'offerta del suo corpo e del suo sangue nella Passione e Risurrezione, che anticipò nell'Ultima Cena.

La Chiesa, potremmo dire, è l' "adesso" di Gesù Cristo che si rende a noi continuamente presente, che rende la Sua eternità sempre e dovunque a noi contemporanea. E questo avviene non solo nella celebrazione dei sacramenti, come gli esempi fin qui fatti potrebbero fare pensare. Infatti quando ci avviciniamo, o ri-avviciniamo alla fede, questo non accade per mezzo della predicazione, con le parole o i fatti, di un servo di Gesù Cristo, sia egli laico o sacerdote? E questo non rinnova la primitiva esperienza della Chiesa delle origini? E quando noi, fatti vicini a questo grembo che autenticamente ci rigenera come figli di Dio, decidiamo di "fare qualcosa", ossia di mettere a disposizione noi stessi per la comunità, nei diversi ministeri o servizi che possiamo svolgere, non si rinnova forse la prima esperienza dei cristiani, che mettevano a disposizione gli uni degli altri le proprie sostanze? Vediamo quindi come la Chiesa, per essere capita nel suo mistero teologico, non deve e non può essere capita solo "dal basso", ma essenzialmente "dall'alto", cioè come l'ha "inventata" Gesù Cristo stesso: così il Papato, o il sacerdozio, non è una semplice ripartizione dei compiti secondo l'uso degli uomini, per il quale ci deve essere uno che comanda e gli altri che eseguono, ma affonda le sue radici in come Gesù la ha voluta. Questo non significa che necessariamente tutto quel che la Chiesa, o, più esattamente gli uomini di Chiesa, dicono o fanno sia infallibile, e nemmeno che le strutture storiche che noi conosciamo rispondano appieno o necessariamente alla volontà di Cristo. Molto nella Chiesa è di origine umana, e come tale caduco o passeggero: ciò che non passa è la sua Parola, che continuerà sempre a risuonare tra i suoi, e il segno stupendo della sua presenza, l'Eucaristia, che rimarrà sempre, amato o non amato, capito o non capito, in mezzo a noi, fino alla fine del mondo. 

 

 

 

 

8 venerdì

L'ottavo dono del Sacro Cuore

 

In questo ottavo mese vogliamo contemplare un altro dono del cuore di Cristo: Maria. Ci lasciamo ancora guidare dal Vangelo di san Giovanni: "Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: « Donna, ecco il tuo figlio! ». Poi disse al discepolo: « Ecco la tua madre! ». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa" (Gv 19, 26-27).

In tutto questo non c'è solamente la premura di un figlio a che sua madre non restasse abbandonata, ma è detto ben di più. Siamo nell'«ora» per eccellenza, quella per la quale Gesù nacque e visse, quella in vista della quale tutto fu fatto. Il « discepolo che egli amava », com'è noto, non può essere esattamente identificabile, per quanto la tradizione lo identifichi con Giovanni stesso: ma proprio questo ci dice che non è un discepolo, ma il discepolo, dunque tutti noi e ognuno di noi. Il termine « donna » ci riporta alla prima donna, ad Eva stessa: lì un albero, un uomo, Adamo, e una donna, Eva, e qui  il nuovo uomo, Cristo, la nuova donna, Maria, il nuovo albero, la croce. Maria è la donna perché rigenera: Colei che ci ha dato attraverso il suo assenso a Dio Colui che è la vita, si può ben chiamare Colei che ci ha dato la vita, poiché la vita  stessa è voluta venire a noi per mezzo di lei. Così Maria è madre della vita della quale tutti viviamo, e così è a noi più madre della nostra stessa madre secondo la carne.

Uno scambio: "tu prendi lei, tu prendi lui". Gesù ci "cede il posto": Maria non è più solo madre di Gesù, ma di tutti noi. Maria è madre del Capo, e per questo è madre del corpo unito al capo; Maria è madre della vita e dei tralci in essa innestati. L'uomo Gesù non sta più come un bimbo in braccio a sua madre; noi invece, e al suo posto, ancora bimbi perché non abbiamo raggiunto la piena maturità di Cristo, stiamo ormai tra le braccia della sua tenerezza. Lei ci ha già ricevuto, ci ha già accolto, obbedendo al comando del suo Figlio. Si può dire di Maria quel che già diciamo di Dio, e cioè che "ci ha amati per prima": e infatti Colei che è più conforme a Cristo in tutto ciò che visse e scelse, è anche la più conforme al Padre, poiché chi è simile al Figlio è fatto simile al Padre. Rimane a noi ora riceverla, accoglierla nella nostra casa. Lei infatti ci ha già accolto nella sua, che è il suo cuore.

E così gli Atti degli Apostoli narrano la storia della prima comunità cristiana. Si riunivano, pregavano assiduamente, spezzavano il pane, "con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù" (At 1, 14). Immaginiamo Maria che vede Pietro, o gli altri apostoli, spezzare il pane, cioè celebrare la messa. Non poteva non ricordare il tradimento di quegli uomini, i giorni angosciosi della Passione: ma li vedeva, come essi erano, perdonati e accolti dal suo Figlio. Che cosa avrà pensato? « Ecco i miei figli, quelli che mio figlio mi ha dato» - immagino: non figli ideali, ma molto terra terra, non uomini coraggiosi o esemplari, ma uomini e donne veri, con il loro carico di contraddizioni e di opacità, di potenzialità e di grandezze, sempre mescolate inestricabilmente. Ma siamo da lei amati: perché Maria è la Madre della Chiesa. 

 

9 venerdì

Il nono dono del Sacro Cuore

 

L'ultimo dono del sacro cuore che vogliamo considerare in questo cammino in nove tappe è il Dono per eccellenza: Lui stesso, nel santissimo sacramento. Qui il Dono e il Donante sono la stessa cosa: per questo nulla è più grande di questo regalo immenso, perché, mentre tutti gli altri doni, per quanto enormi e sublimi, non sono Gesù stesso, non si identificano con Lui, l'Eucaristia invece è Lui. Non è una reliquia inanimata, non è un ricordo di un passato lontano, non è nemmeno un riunirci tra di noi: è Lui che ci riunisce intorno a sé per riversare su di noi i benefici della redenzione. Possiamo paragonare la messa a una stupenda "macchina del tempo": ogni volta che la Chiesa si riunisce (ma in realtà non è lei che si riunisce "da sola", ma è invece da Lui riunita) per la virtù dello Spirito santo noi siamo fatti presenti al mistero della sua morte e risurrezione. Non è, come a volte si dice equivocamente, che si rinnovi il sacrificio del calvario come se Gesù ritornasse a patire, ma piuttosto il suo sacrificio è rinnovato, cioè fatto nuovo, tante volte quante noi lo commemoriamo: noi abbiamo così un mezzo meraviglioso di rifarci presenti a Lui, e non solo alla sua morte, ma anche alla sua risurrezione. Il che significa che quell'acqua e sangue che sgorgarono dal suo costato trafitto, il dono dello Spirito e il sangue della nuova ed eterna alleanza, sgorgano di nuovo, in quel momento lì, per me. E così si compie quel che era significato nell'immolazione dell'agnello pasquale: passiamo non le acque del Mar Rosso, ma oltrepassiamo le acque infide del peccato e della morte per seguire Gesù, nuovo Mosè che ci giuda alla terra promessa. La terra promessa è il suo regno, e la strada per giungervi sono le beatitudini della mitezza, della misericordia, della fame e sete di giustizia, del perdono, della purezza di cuore.

Possiamo ben dire che ogni volta che un fedele si accosta all'Eucaristia esce dall'Egitto del peccato, lascia i falsi profeti, gli inganni e le illusioni del mondo, per seguire Colui che è la verità stessa, riceve la vita che inghiotte  e distrugge quegli spazi di morte, quelle ombre che si accumulano nel cuore e inquinano la nostra esistenza, ammorbandola con i loro liquami. Insomma, ogni volta che uno si accosta alla comunione gli sono rimessi i peccati, aumentate le forze soprannaturali per resistere al male, gli è donato lo Spirito santo per essere continuamente plasmato e ri-plasmato a immagine di Cristo stesso. Ecco perché è bene ricevere frequentemente e con profonda gratitudine questo immenso dono: ne abbiamo bisogno ogni giorno, perché ogni giorno le grandi acque del peccato sembrano continuamente sommergerci e ci minacciano, ogni giorno il mondo tenta di erodere in noi la fede, la speranza e l'amore, ogni giorno ci stanchiamo immensamente e abbiamo bisogno di riposo. L'Eucaristia non è "il pane dei forti" nel senso che solo i forti ne possono prendere, ma nel senso che i deboli, come tutti noi, siamo inviatati alla mensa dell'Agnello mite e misericordioso per diventare (o ri-diventare) forti; è il pane dei santi non nel senso che solo i santi ne possono prendere (altrimenti chi potrebbe?), ma nel senso che i peccatori pentiti e pieni di fiducia che vi si accostano sono da Gesù presi tra le proprie braccia, come la pecorella smarrita dal buon pastore, o il figliol prodigo dal Padre misericordioso, e sorretti, guariti, accarezzati, guidati, sostenuti. Tutto questo "perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio" (2 Cor 1, 4).  

 

 

 

L'ora santa

Con questo nome viene tradizionalmente indicata una classica espressione della devozione al cuore di Gesù, che prende spunto dalle parole stesse del Signore: "L'anima mia è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate" (Mc 14, 34). Facciamo così memoria ogni giovedì notte di quella preghiera piena di dolore e di amore con la quale Cristo accolse amorosamente la volontà del Padre, "imparò l'obbedienza dalle cose che patì" (Eb  5, 8), si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori ed è stato schiacciato per le nostre iniquità (Cfr. Is 53, 4-5). Lui è veramente il sommo sacerdote che intercede per i suoi fratelli, santo, innocente, senza macchia, che ha offerto se stesso (cfr. Eb 7, 26-27). In lui, prostrato a terra in Getsemani, diviene vera quell'espressione del Salmo che dice: "Io, quand'erano malati, vestivo di sacco, mi affliggevo col digiuno, riecheggiava nel mio petto la mia preghiera. Mi angustiavo come per l'amico, per il fratello, come in lutto per la madre mi prostravo nel dolore" (Sal 35, 13-14). Lui ha pregato per noi malati e nel suo cuore, nel suo petto, nell'orto degli Ulivi riecheggiava la preghiera che giungeva al Padre per noi, mentre vedeva tutti i tradimenti e le infedeltà dei suoi che si sarebbero compiute lungo la storia. Lui che ci ha chiamati amici (cfr. Gv 15, 14) e fratelli, e ha detto che saremmo stati per lui anche madre, se avessimo compiuto la volontà del Padre (cfr. Mc 3, 34), si è angustiato per noi come noi per i nostri amici, fratelli e madre, nelle loro infermità.

Veramente in quell'ora "colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore" (2 Cor 5, 21); in altri termini, ha vissuto in se stesso la separazione e la lontananza da Dio, come l'ultimo dei peccatori, dei dannati stessi, patendo lui stesso al posto nostro, perché nessuno potesse dire che non era stato amato fino a quel punto. E così si compie la parola del Salmo: "se salgo in cielo là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti" (Sal 139, 8). Gesù ha abitato gli inferi, non solo scendendo nella dimora dei morti nel mistero del sabato santo, ma anche abitando nella dimora di coloro che sono morti nello spirito anche sono vivi con la carne, cioè i peccatori, subendo la loro stessa condanna, vivendo la loro stessa situazione di infinita lontananza da Dio, il loro dolore infinito: perché chiunque, anche l'ultimo dei peccatori, potesse dire che Lui gli si è fatto vicino "fino alla fine" (Gv 12, 1), cioè fino al punto in cui era. Mi ha sempre molto impressionato una parola di Gesù rivolta a santa Margherita Maria a questo riguardo e da lei annotata, che da noi deve essere letta secondo le categorie e il linguaggio dei suoi tempi, e che pure, una volta ben capita, contiene una conferma di quanto sopra abbiamo riferito: «Qui ho sofferto più di tutto il resto della mia Passione vedendomi abbandonato dal Cielo e dalla terra, caricato di tutti i peccati dell'umanità. Stavo davanti alla santità di Dio che, senza riguardo della mia innocenza, nel suo furore mi ha schiacciato; mi ha fatto bere il calice, che conteneva tutto il fiele e l'amarezza della sua giusta indignazione, come se avesse dimenticato il nome di Padre [...]. Nessuno al mondo può comprendere l'intensità dei dolori che allora ho sofferto. E' lo stesso dolore che prova l'anima in peccato,  quando si presenta davanti al tribunale della santità divina, la quale si appesantisce su di lei [...] e la sprofonda nell'abisso del suo giusto rigore». Veramente "Dio non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha dato per tutti noi" (cfr. Rm 8, 32).

In sostanza si tratta di meditare o contemplare per un'ora intera e continua la Passione del Signore, col desiderio di offrirgli amore e riparazione per le nostre infedeltà e tradimenti, e in particolare di quelle delle anime in special modo a lui consacrate. Non c'è un "sistema" particolare: si può o leggere e meditare il racconto della Passione di uno dei vangeli, in tutto o in parte, o pregare con i misteri dolorosi, o fare la via crucis, o anche stare in silenzio e effondere il proprio cuore dinanzi a Lui. Ognuno prega come meglio è capace: io propongo, specialmente per coloro che iniziano, di fermarsi sul racconto dell'agonia nel Getsemani, o di un brano della Passione; dopo averlo letto e riletto qualchee volta, semplicemente ci si domandi che cosa il testo dice e che cosa il testo mi dice, cosa dice a me, alla mia vita; lasciamoci toccare dalla Parola, e infine, quando verrà spontaneo, diciamo noi qualcosa al Signore che ci viene incontro. Oppure si cerchi di immaginare la scena che abbiamo letta, si entri in essa, immaginandosi lì dentro, e si abbia un colloquio con le persone lì presenti, secondo quanto saremo ispirati, spontaneamente e liberamente. Quanto alla posizione del corpo, sia quella che più ci aiuta, anche variandola: in piedi o in ginocchio, seduti o prostrati, come più sentiamo utile. E rimaniamo in questa orazione fino a quando non ne avremo tratto frutto.

E' chiaro poi che una preghiera simile è sempre graditissima a Gesù, senza specificazioni di giorni o di tempi: ma è pur vero che il giovedì notte è precisamente il ricordo esatto di quel giovedì notte, di quell'ora nella quale sembrò vittorioso il potere delle tenebre. Vegliare inoltre ha un significato importante: si vegli di notte, e la notte non è solo il buio esteriore, ma anche quello interiore. Impariamo a illuminare la notte con la preghiera, la nostra notte personale, quella del mondo, e forse anche la notte della Chiesa. Del resto, è a mezzanotte che arriva lo sposo, e gli corriamo incontro (cfr. Mt 25, 6): il cuore di Cristo, sul quale il discepolo prediletto appoggia il capo, è il cuore o petto dello sposo, al quale la sposa dice, nell'intimità dell'amore: "Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l'amore" (Ct 8, 6).

Naturalmente non è necessario rimanere in Chiesa per fare tutto questo, anche se è pur vero che pregare davanti al sacramento è pregare in modo diverso: ma non si tratta necessariamente di uscire di casa, e forse è proprio l'occasione per entrare nel silenzio della propria camera e di pregare nel segreto. In quest'ora ognuno di noi, e specialmente i sacerdoti, troveranno una sorgente inesauribile di grazia, di consolazione e conforto personale, di intercessione gli uni per gli altri, di fecondità apostolica nel proprio ministero. E' una vera "scuola del sacro cuore", perché in fondo questa spiritualità non si insegna e non si impara dai libri, ma è Gesù stesso che la rivela a ognuno secondo la grazia propria. A mio parere è il mezzo migliore per conoscere di una conoscenza vera, non libresca ma vissuta, non "per sentito dire" ma per avere "veduto e toccato", il cuore stesso di Gesù, che si mostra a chi lo cerca.  

 

 

 

"ANIMA DI CRISTO"

Ritmo per il ringraziamento all'eucaristia

 (nuova versione, sulla falsariga della versione tradizionale)

 

Sapienza di Cristo, trasformami;

Compassione di Cristo, istruiscimi;

Coraggio di Cristo, rafforzami;

Umiltà di Cristo, pacificami.

 

Libertà di Cristo, liberami;

Pace di Cristo, pervadimi;

Volto di Cristo, illuminami;

Croce di Cristo, salvami.

 

Spirito di Cristo, santificami;

Morte di Cristo, rinchiudimi;

Vita di Cristo, riempimi.

 

Madre di Cristo, amami;

Giudizio di Cristo, giustificami;

Gioia di Cristo, accoglimi.

 

 

 

Litanie del Sacro Cuore

 

Signore, pietà

Cristo, pietà

Signore, pietà

Cristo, ascoltaci

Cristo, esaudiscici

Dio Padre, nostro Creatore,                            abbi pietà di noi (si ripete a ogni invocazione)

Dio Figlio, nostro Redentore

Dio Spirito, nostro Santificatore

Santa Trinità, unico Dio

 

Cuore di Gesù, figlio del Dio vivo

Cuore di Gesù, immagine del Padre

Cuore di Gesù, impronta della divina sostanza

Cuore di Gesù, pienezza del Verbo sussistente

Cuore di Gesù, fonte viva di Spirito Santo,

cuore di Gesù, che ci hai amato per primo

Cuore di Gesù, che ci hai amato fino alla fine

Cuore di Gesù, che hai offerto te stesso per noi

Cuore di Gesù, mistico lavacro

Cuore di Gesù, pane vivente

Cuore di Gesù, coppa di letizia

Cuore di Gesù, olio di guarigione

Cuore di Gesù, presente e operante nei santi misteri

Cuore di Gesù, luce e fondamento divino della tua Chiesa

Cuore di Gesù, sommo ed eterno sacerdote

Cuore di Gesù, nostro amico vero e perfetto

Cuore di Gesù, buon pastore

Cuore di Gesù, via verità e vita

Cuore di Gesù, porta sempre aperta

Cuore di Gesù, fiducia indistruttibile

Cuore di Gesù, misericordia ai lontani e ai vicini

Cuore di Gesù, aiuto dei poveri

Cuore di Gesù, consolazione dei miseri

Cuore di Gesù, ricchezza infinita

Cuore di Gesù, sapienza vera

Cuore di Gesù, benedizione sovrabbondante

Cuore di Gesù, gloria e vanto di noi peccatori

Cuore di Gesù, sostegno dei deboli

Cuore di Gesù, sorgente infinita di compassione

Cuore di Gesù, cantato dagli angeli

Cuore di Gesù, preannunciato dai profeti

Cuore di Gesù, annunciato dagli evangelisti

Cuore di Gesù, forza dei martiri

Cuore di Gesù, sapienza dei dottori

Cuore di Gesù, vanto dei sacerdoti

Cuore di Gesù, purezza dei vergini

Cuore di Gesù, corona dei tuoi santi

 

 

 

 

Signore, pietà

Cristo, pietà

Signore, pietà

Cristo, ascoltaci

Cristo, esaudiscici

Dio Padre, nostro Creatore,                            abbi pietà di noi (si ripete a ogni invocazione)

Dio Figlio, nostro Redentore

Dio Spirito, nostro Santificatore

Santa Trinità, unico Dio

Cuore di Gesù, manifestato nel tempo

Cuore di Gesù, culmine della Rivelazione

Cuore di Gesù, centro e fine delle Scritture

Cuore di Gesù, artefice della umana Redenzione

Cuore di Gesù, pienezza di ogni dono

Cuore di Gesù, venuto nel mondo

Cuore di Gesù, respinto dai tuoi

Cuore di Gesù, rifiutato dagli uomini

Cuore di Gesù, tradito dai tuoi amici

Cuore di Gesù, che ti lasci abbandonare

Cuore di Gesù, che ti lasci da noi umiliare

Cuore di Gesù, che ti lasci da noi ferire

Cuore di Gesù, che accogli in te il nostro rifiuto

Cuore di Gesù, che estingui in te il nostro odio

Cuor di Gesù, fatto per noi peccato

Cuore di Gesù, che per noi hai conosciuto una sofferenza sconfinata

Cuore di Gesù, amore grande quanto il suo dolore

Cuore di Gesù, che ci riconcili con il Padre

Cuore di Gesù, che hai rimesso tutti i nostri debiti

Cuore di Gesù, che sgorghi il sangue e l'acqua viva

Cuore di Gesù, le cui acque dove giungono risanano

Cuore di Gesù, il cui Spirito rivivifica

Cuore di Gesù, agnello immolato

Cuore di Gesù, centro della storia

Cuore di Gesù, adorato da tutta la creazione

Cuore di Gesù, cantato dai tuoi santi

Cuore di Gesù, esaltato dagli angeli

Cuore di Gesù, perennemente vivo in mezzo ai tuoi

Cuore di Gesù, vittorioso per sempre su ogni male

Cuore di Gesù, nostro intercessore presso il Padre

Cuore di Gesù, nostra gioia che niente ci toglie

Cuore di Gesù, nostra speranza da cui niente ci separa

Cuore di Gesù, nostra giustizia

Cuore di Gesù, nostra santificazione e redenzione

Cuore di Gesù, nostro premio ora e nell'eternità

 

 

Gesù mite ed umile di cuore

Rendi il nostro cuore simile al tuo

 

Preghiamo

O Padre, che nel cuore del tuo dilettissimo figlio ci dai la gioia di celebrare le grandi opere del suo amore per noi, fa che da questa fonte inesauribile attingiamo l'abbondanza dei suoi doni. Per Cristo nostro Signore.

Oppure:

O Dio, fonte di ogni bene, che nel cuore del tuo figlio ci hai aperto i tesori infiniti del tuo amore, fa che rendendogli l'omaggio della nostra fede, adempiamo anche al dovere di una giusta riparazione. Per Cristo nostro Signore.

Oppure:

Dio nostro Padre, concedi a noi tuoi fedeli di rivestirci delle virtù e dei sentimenti del cuore di Cristo tuo figlio, perché, trasformati a sua immagine, diventiamo partecipi della redenzione eterna. Per Cristo nostro Signore.

 

 

 

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