07/03/2011, 00.00
RUSSIA - NORD AFRICA
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Il cinismo dei leader russi verso la Rivoluzione dei Gelsomini

Mentre la diplomazia mondiale cerca di risolvere le difficili situazioni in Nord Africa e Medio Oriente, Mosca attende di trarne vantaggio e di trattare con chi vincerà. Intanto beneficia del forte aumento del prezzo del petrolio, anche se deve sospendere la lucrosa vendita di armi alla Libia.

Mosca (AsiaNews/Agenzie) – Le proteste e rivolte nell’Africa del Nord e in alcuni Paesi arabi hanno incontrato scarso interesse in Russia. I suoi leader controllano la situazione interna e non temono analoghe proteste domestiche; mostrano pure scarso interesse per il destino dei popoli insorti e pensano solo a possibili vantaggi, anzitutto per l’aumento del prezzo dell’energia.

A gennaio, quando sono iniziate le manifestazioni di piazza in Tunisia e in Egitto, Mosca si è limitata a condannare l’uso della forza e ha ribadito il principio di “non interferenza” negli affari interni di altri Paesi.

Addirittura, davanti al comitato nazionale del governo russo, il 22 febbraio, il presidente Dmitri Medvedev ha ammonito contro il rischio che le proteste in Libia fossero fomentate da islamici radicali. Lo stesso 22 febbraio il vice primo ministro Igor Sechin ha suggerito che dietro le rivolte potessero esserci i Paesi occidentali e il 24 febbraio il premier Vladimir Putin ha pure espresso il timore che le rivolte possano aprire la strada al radicalismo islamico.

Solo quando la Rivoluzione dei Gelsomini si è estesa alla Libia vi è stata una maggior attività di Mosca, ma sempre modesta rispetto alle democrazie occidentali: il 24 febbraio Mosca ha aderito alla condanna dell’Unione europea contro Muammar Gaddafi per l’uso della violenza contro la popolazione e il giorno dopo ha pure sostenuto le sanzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, seppure ribadendo la contrarietà a qualsiasi  intervento militare.

I rapporti economici della Russia con tali Stati nordafricani e arabi sono limitati, avendo minor interesse di altri Paesi allo sfruttamento dell’energia locale. Mosca ha consistenti investimenti solo in Libia, dove sono attive le sue compagnie petrolifere. La Gazprom aveva in programma la ricerca di petrolio insieme all’italiana Eni, la Tafnet ha investito centinaia di milioni di dollari per lo sfruttamento di giacimenti stimati 247 milioni di tonnellate di greggio. La Russian Railway sta costruendo linee ferroviarie per 2,2 miliardi di dollari. Poca cosa, rispetto ai rapporti per decine di miliardi di dollari intrattenuti dalla Cina con la Libia.

Per questo Marcin Kaczmarski, esperto della rivista Eastweek, osserva che Mosca vuole stare alla finestra, pronta ad approfittare di ogni possibile vantaggio.

Poiché la Russia non ha grandi rapporti con i governi contestati, può attendere per sostenere infine le forze vincitrici, senza che abbia interesse se siano liberali o islamiche radicali. Invece altri Stati hanno collaborato con i governi e ora hanno difficoltà a gestire la situazione: appena 3 mesi la Segretaria di Stato Usa Hillary Clinton, in visita in Bahrain, dichiarava che la situazione era tranquilla e senza problemi.

La Libia estrae circa il 2% del petrolio mondiale, destinato in gran parte in Europa. Per il Canale di Suez passano le petroliere dirette in Europa. Le minori forniture e la generale incertezza spingono in alto il prezzo dell’energia, con grande vantaggio per la Russia che la vende: il greggio degli Urali, per il quale era previsto un prezzo di 75 dollari al barile, ha superato i 109 dollari. Inoltre l’Europa, privata dei rifornimenti dell’energia del Nord Africa, è costretta a rivolgersi a Mosca, che rafforza la sua posizione anche politica, specie con riguardo agli Stati vicini del Caucaso e dell’Europa Centrale.

Per Mosca l’unico effettivo inconveniente riguarda la vendita delle armi. Il Cremlino, grande forniture di armi anche a regimi criticati (alla sola Libia fornisce armi per 2 miliardi di dollari, all’Algeria per almeno 4 miliardi), si trova a dover sospendere i commerci, per evitare che queste armi siano usate contro la popolazione. Ma è una “perdita” ben compensata dagli altri vantaggi.

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