01/06/2011, 00.00
PAKISTAN
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Il giornalista Syed Saleem Shahzad ucciso "dai servizi segreti pakistani"

di Jibran Khan
Esperti e colleghi confermano ad AsiaNews che le modalità del sequestro e dell’uccisione sono riconducibili all’Isi, che di recente lo aveva minacciato. Oggi a Karachi, città natale, si sono svolti i funerali. Dietro l’assassinio le inchieste sulle infiltrazioni talebane nell’esercito. Rsf: Pakistan al 151mo posto su 178 per libertà di stampa; nel 2011 uccisi 10 giornalisti.
Islamabad (AsiaNews) – Syed Saleem Shahzad, giornalista pakistano trovato morto ieri a Sarai Almagir, circa 150 km da Islamabad, è stato rapito, torturato e ucciso dai temibili servizi segreti pakistani Isi. Lo sostengono diversi giornalisti e attivisti interpellati da AsiaNews, secondo i quali le modalità del rapimento e i segni sul corpo non sono riconducibili a mani talebane, quanto piuttosto ai famigerati servizi. Egli è finito nel loro mirino per una serie di recenti inchieste, la più importante delle quali relativa all’assalto dei fondamentalisti alla base militare di Mehran: i reportage del cronista avrebbero messo in luce le infiltrazioni degli estremisti fra i vertici dell’esercito.
 
Alle 13.30 di oggi in una moschea di Karachi, capoluogo della provincia meridionale del Sindh, si sono svolti i funerali. Syed Saleem Shahzad aveva 40 anni, era sposato e padre di due maschi (13 e 7 anni) e una femmina di 11. Egli era nativo di Karachi ma aveva fissato la residenza con la famiglia a Islamabad, dove lavorava come corrispondete per la testata on-line Asia Times, con base a Hong Kong, e collaborava con le testate italiane La Stampa e AdnKronos. Del reporter si erano perse le tracce la sera del 29 maggio scorso, quando aveva lasciato la sua abitazione nella capitale per partecipare a una trasmissione televisiva. Il cadavere è stato ritrovato ieri nell’area di Head Rasul, nel distretto di Mandi Bahauddin, nella provincia del Punjab. In precedenza gli investigatori avevano rinvenuto la sua auto, nei pressi di Sahara-i-Alamgir, a una decina di km di distanza dal corpo.
 
Il governo ha annunciato la creazione di una “commissione di inchiesta congiunta” con i servizi di intelligence e della sicurezza. Gli inquirenti lasciano aperte tutte le possibilità in merito al sequestro e alla morte, dall’estremismo religioso alla matrice politica. Il ministro degli Interni Rehman Malik ha offerto le condoglianze dell’esecutivo e parla di un possibile caso di “vendetta personale”. Tuttavia appare sempre più probabile che a colpire il giornalista esperto di inchieste, terrorismo islamico e politica interna siano stati i servizi segreti. Hamza Ameer, cognato di Sayed, lo definisce “uomo coraggioso” che non temeva ritorsioni per il proprio lavoro. Domenica scorsa, racconta il parente, egli è uscito di casa verso le 17.30 e, nel giro di poco, il suo telefono ha smesso di funzionare. “Il canale tv ha cercato di contattarlo – prosegue – senza successo”. Dall’emittente hanno avvertito la famiglia, quindi “siamo corsi alla stazione di polizia di Margalla per denunciare la scomparsa”. La moglie e gli altri parenti, intanto, si sono chiusi nel silenzio e preferiscono evitare contatti con i media.
 
L’ispettore generale di polizia Wajid Durrani conferma il rapimento “nei pressi dell’abitazione” e i “segni evidenti di tortura sul cadavere”. L’autopsia ha rivelato che la causa della morte sarebbero i danni subiti dal fegato e dai polmoni, uniti a 15 ferite evidenti sul corpo e la rottura di alcune costole. Najam Sethi, caporedattore di The Friday Times, sottolinea quanto l’ultima cronaca di Syed ha mostrato “la crescente penetrazione di Al Qaeda nella marina del Pakistan”. Egli respinge la teoria, avanzata dalla polizia, di un rapimento per mano talebana, perché essi “portano subito la vittima nel North Waziristan o nelle aree tribali, lo interrogano e poi diffondono un video”, ma tutto questo non è avvenuto nel sequestro del giornalista. “La mia esperienza – continua – mi fa pensare ai servizi di intelligence”. Egli rivela anche un particolare importante: il cronista ucciso in passato è stato vittima di un incidente: gli hanno sparato al fianco sinistro, colpendo le costole. Syed Saleem Shahzad si era ripreso, ma il fisico era indebolito e “una ferita al fianco sarebbe stata fatale, come le torture inflitte dai rapitori”. “Io stesso – conclude – nel 1999 ho sperimentato un sequestro dei servizi segreti e sono scampato per poco a un attacco di cuore, nel corso degli interrogatori”.
 
Omar Waraich, collega e amico, spiega che “Syed si lamentava di aver ricevuto minacce dall’Isi, per una serie di articoli scritti nel recente passato”. L’uomo è stato rapito all’indomani di una cronaca in cui annunciava “collegamenti esplosivi” con l’attacco a Mehran (cfr AsiaNews, 23/05/2011 Karachi: talebani pakistani attaccano una base militare, 11 morti), conseguenza di una rottura nelle trattative fra esercito e talebani sul rilascio di alcuni prigionieri. Nasim Zehra, direttore di Dunya News, aggiunge che “doveva parlare proprio dell’attacco a Mehran nella trasmissione tv” alla quale avrebbe partecipato domenica sera.
 
Sospetti sui servizi segreti sono avanzati anche dal rappresentate pakistano di Human Rights Watch (Hrw), secondo cui il caso presenta analogie con fatti simili avvenuti in passato e riconducibili all’Isi. Nel settembre scorso un giornalista è stato sequestrato, picchiato, torturato, fra cui abusi sessuali e i sospetti, sebbene nessuno sia stato incriminato, sono andati nella direzione dei Servizi. In materia di libertà di stampa, l’associazione Reporter senza frontiere classifica il Pakistan al 151mo posto su 178 Paesi in materia di libertà di stampa; solo quest’anno sono morti 10 cronisti per il loro lavoro.
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