20/10/2011, 00.00
INDONESIA
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Il governo indonesiano reprime nel sangue la “secessione” di Papua

di Mathias Hariyadi
Due morti, decine di feriti e arresti: è il bilancio dell’operazione delle forze di polizia, che ha interrotto il terzo Congresso popolare papuano. L’assemblea aveva annunciato l’indipendenza da Jakarta e nominato un presidente e il premier. Yudhoyono conferma la linea dura contro i separatisti.
Jakarta (AsiaNews) – È di due morti, decine di feriti e una serie di arresti – alcune fonti parlano di centinaia di fermi e maltrattamenti – il bilancio del raid congiunto di polizia e forze militari, che ha interrotto il 3° Congresso popolare papuano. I militari sono intervenuti nella serata di ieri, in seguito alla dichiarazione di indipendenza dall’Indonesia dei papuani, che durante la tre giorni di assise – peraltro autorizzata da Jakarta – hanno nominato un Presidente, il Primo Ministro, scelto la bandiera nazionale, la valuta locale e il sistema linguistico. Per il governo centrale la mossa dei rappresentanti della provincia di Papua – estremità orientale dell’Arcipelago indonesiano – è bollato come “inaccettabile” atto di separatismo, attuato da un movimento “secessionista” che va fermato con ogni mezzo.

Il 18 ottobre i delegati presenti al terzo Papuans People's Congress – in programma allo stadio Sakeus Padang Bulan Abepura, nella capitale provinciale Jayapura – hanno annunciato la “dichiarazione di indipendenza”, che prevede l’autodeterminazione dei papuani e l’affrancamento da Jakarta. Prima dell’intervento delle forze dell’ordine, l’assemblea aveva eletto Forkorus Yaboisembut presidente di “Papua libera” ed Edison Waromi premier del “nuovo” governo papuano. Insieme alle massime cariche, il movimento indipendentista ha presentato la bandiera nazionale – Bintang Kejora, la Stella del mattino – la valuta di riferimento, che riprende la moneta usata dagli olandesi ai tempi del colonialismo, le lingue nazionali ovvero il dialetto locale Virjin e la lingua Malay.

Le forze di sicurezza pattugliano le strade della capitale, ma la tensione resta alta fra la Papua, provincia spesso emarginata dal resto della nazione e ignorata dalle politiche governative di sviluppo. Nella serata di ieri l’intervento di migliaia di poliziotti e forze paramilitari ha interrotto il congresso, giunto al secondo giorno, mettendo fine con la forza alle aspirazioni autonomiste della popolazione. Ieri il presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono ha confermato che la sicurezza nelle province di Papua e Aceh è materia di fondamentale importanza: “non sarà ammesso – ha dichiarato – alcun compromesso, nelle due ‘irrequiete’ province in materia di sicurezza”.

Polizia ed esercito hanno applicato alla lettera le direttive provenienti da Jakarta: il bilancio finale delle operazioni è di due morti, centinaia di fermi, numerosi arresti e decine di feriti. I militari hanno esploso colpi di arma da fuoco verso l’alto, surriscaldando un clima di nervosismo già presente fra i delegati dell’assemblea e creando un clima di panico diffuso. Tra gli arrestati vi sono cinque leader politici locali, fra cui il “neo presidente” e il neo “premier” della provincia di Papua.

Ai tempi del colonialismo, Papua era sotto l’influenza olandese ma non è mai stata “occupata” a livello politico. L’Indonesia ha sfruttato una direttiva temporanea Onu per annettere il territorio, cambiando più volte il nome nel corso dei decenni. L’attuale denominazione di Papua è stata sancita nel 2002 dall’ex presidente Abdurrahman Wahid.
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