02/10/2017, 14.09
VATICANO - ASIA
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Il mondo ha urgenza della missione della Chiesa

di Bernardo Cervellera

Ottobre è un mese consacrato al risveglio della missione fra i cristiani. Nel mondo c’è indifferenza o inimicizia verso Dio e la Chiesa. Le religioni sono considerate la fonte di tutte le guerre. Il cristianesimo è l’incontro con una Persona, che cambia la vita del fedele e lo mette al servizio delle ferite del mondo, lacerato da frustrazioni e guerre fratricide. L’esempio del patriarca di Baghdad e del presidente della Corea del Sud.

Roma (AsiaNews) - In un mondo che sembra così indifferente alla fede cristiana, e in cui sembra che le religioni siano la causa di tutti i conflitti, l’urgenza della missione della Chiesa si fa più acuta. Il mese di ottobre, per tradizione, è dedicato al risveglio missionario ed è cominciato ieri con la festa di santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni. Il culmine di questo risveglio sta nella Giornata missionaria mondiale, giunta alla 91ma edizione, che si celebra domenica 22 ottobre.

Come ogni anno, papa Francesco dedica a questa Giornata un suo Messaggio sul tema: “La missione al cuore della fede cristiana”. Altrove abbiamo già pubblicato il testo completo.

Qui ci interessa sottolineare alcuni spunti. Anzitutto il fatto che “la Chiesa è missionaria per natura; se non lo fosse, non sarebbe più la Chiesa di Cristo, ma un’associazione tra molte altre, che ben presto finirebbe con l’esaurire il proprio scopo e scomparire”. Ciò che la rende missionaria è la gioia dell’aver incontrato il potere trasformante della persona di Gesù Cristo. Francesco cita papa Benedetto XVI: “Ricordiamo sempre che «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est, 1). Il Vangelo è una Persona, la quale continuamente si offre e continuamente invita chi la accoglie con fede umile e operosa a condividere la sua vita attraverso una partecipazione effettiva al suo mistero pasquale di morte e risurrezione” (n. 4).

Tale sottolineatura è fondamentale: troppe volte, di fronte a un mondo per cui Dio è una polverosa spazzatura, o è nemico della vita cristiana, i fedeli si rinchiudono in una cittadella fatta di affermazioni, tradizioni, stili di vita, linee morali con cui fare guerra al mondo. Altre volte vi sono gruppi che si chiudono nel loro piccolo guscio fatto di belle liturgie, di fraternità sentimentali, di piccoli impegni, sospirando e guardando il mondo andare in rovina. Molto spesso, anche fra gente cristiana, si percepisce una amara stanchezza, come se il cristianesimo fosse ormai al capolinea e il mondo è ormai capace di cose così grandi che è meglio seguirlo, invece che combatterlo.

Per papa Francesco e per noi, il mondo di oggi, così autosufficiente, ha bisogno di missionari, cioè di una vita cambiata dal Vangelo e che trasforma la società all’intorno. Il pontefice descrive “un mondo confuso da tante illusioni, ferito da grandi frustrazioni e lacerato da numerose guerre fratricide che ingiustamente colpiscono specialmente gli innocenti”.  A guardare soltanto l’Asia, basta ricordare il martirio di tanti nostri fratelli e sorelle in Medio Oriente, in Asia del sud, nel Sud-est asiatico, in Cina. La loro sofferenza è un segno di squilibrio e violenza nei loro Paesi, che avvolgono nel sangue anche altri gruppi etnici e religiosi. E troppo spesso i conflitti di potere o economici vengono mascherati come guerre fra religioni, decretando un rifiuto ancora maggiore di Dio.

A questo mondo - dice Francesco -  è necessario la persona e il potere di Gesù Cristo, che “attraverso la Chiesa, continua la sua missione di Buon Samaritano, curando le ferite sanguinanti dell’umanità, e di Buon Pastore, cercando senza sosta chi si è smarrito per sentieri contorti e senza meta” (n. 5). “Il Vangelo - aggiunge - aiuta a superare le chiusure, i conflitti, il razzismo, il tribalismo, promuovendo dovunque e tra tutti la riconciliazione, la fraternità e la condivisione” (ibidem).

In tutti questi anni di “guerra santa” dell’Isis, quando la tentazione di fuggire o di disprezzare l’islam era forte, il patriarca di Baghdad Louis Sako ha sempre chiesto ai cristiani di lavorare per la riconciliazione del Paese, per la convivenza, anche ora in cui si rischiano nuovi conflitti con le pressioni per l’indipendenza del Kurdistan.

Anche nella penisola coreana, scossa dagli esperimenti nucleari di Kim Jong-un e dalle minacce di “distruzione totale” da parte di Donald Trump, si leva la voce del presidente sudcoreano Moon Jae-in, cattolico, che pur sostenendo le sanzioni Onu contro lo sprezzante regime del Nord, continua a esigere che sia lasciato sempre uno spazio al dialogo. All’assemblea generale dell’Onu, il 21 settembre scorso, egli ha detto: “Noi non desideriamo il crollo della Corea del Nord… Se la Corea del Nord prende una decisione ora per mettersi dalla parte giusta della storia, siamo pronti ad assistere la Corea del Nord insieme alla comunità internazionale”. E come segno di benevolenza e amicizia ha decretato nello stesso giorno l’invio di 8 milioni di dollari in aiuti alimentari e medicine per la popolazione del Nord denutrita e in preda ad epidemie di tubercolosi.

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