04/10/2005, 00.00
IRAN
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Iran, in silenzio sta tornando la repressione

Un giovane iraniano, fuggito per le persecuzioni contro il movimento universitario, racconta ad AsiaNews il suo primo rientro in patria. Ha trovato la libertà frutto del governo Khatami ma anche  i germi della repressione che vuole attuare Ahmadinejad.

Milano (AsiaNews) – Il primo cambiamento in Iran "si vede dalle ragazze. Se ne vedono di più in giro e conoscono i loro diritti. Una cosa molto, molto buona: eppure credo che la situazione stia tornando come era". Yadahst è un iraniano di 35 anni che vive in Italia da quasi un decennio: è fuggito dal suo Paese per le pressioni che all'epoca il governo operava sul movimento studentesco cui apparteneva. Quest'estate, all'alba del governo Ahmadinejad, è tornato in Iran per vedere la situazione del Paese e per abbracciare di nuovo famiglia ed amici.

"La società è cambiata – dice ad AsiaNews - e respira la libertà portata dai 2 mandati del governo Khatami. In giro si vedono segni di enorme cambiamento rispetto al periodo in cui sono dovuto fuggire. Nelle librerie trovi libri occidentali ed iraniani liberali, nei ristoranti ascolti musica, nessuno ferma più la gente per strada a controllarne vestiti o trucco".

"Eppure – aggiunge subito - la mia impressione è che il Paese stia per tornare indietro. Anche se c'è più libertà e più consapevolezza, vi sono segnali di un ritorno ad una gestione oligarchica del potere. Molti sindaci ed in genere i quadri del governo sono stati cambiati: quelli attuali provengono spesso dalle fila dei pasdaran". "Si sente molto la mancanza di un'informazione libera – spiega – e quasi in silenzio è stato rimesso in piedi il famigerato Tribunale della stampa. Il governo sembra essere forse più prudente ma ha la mentalità di chiusura anti-democratica di chi lo ha preceduto tempo fa". Mahmoud Ahmadinejad ed i suoi ministri "dicono apertamente che lo scopo finale è quello di ridare all'Islam il ruolo predominante nella nazione. Per loro è la via giusta e non ne fanno mistero".

Anche per le minoranze religiose "si vive la stessa inversione. C'è una minoranza nel Paese, i baha'i, che si è formata 150 anni fa: molto amici dello Scià, erano una classe sociale d'elite, ricchi, educati e molto colti. Al tempo di Khomeini vennero considerati una "quinta colonna" americana e di conseguenza osteggiati e privati di ogni diritto. Con Ahmadinejad la situazione per loro è tornata la stessa. Non hanno alcun diritto: non possono votare, non possono avere il passaporto, non possono andare all'Università. Vivono in Iran ma non hanno lo status, i diritti e le garanzie degli altri cittadini".

"I cristiani – aggiunge - sono per la maggior parte protestanti ed in qualche modo si auto-proteggono: non si sentono molto sicuri della loro situazione e reagiscono impedendo l'ingresso degli sconosciuti nelle chiese o nelle loro piccole comunità. Il governo, d'altra parte, impedisce loro in maniera assoluta di fare propaganda o tanto meno proselitismo. Volevo entrare in una chiesa, ma gli amici che mi accompagnavano mi hanno spiegato che non era né facile né prudente. Sarei dovuto recarmi al ministero della Cultura e chiedere il permesso per recarmi in chiesa fingendomi studente d'arte o di sociologia".

Sulla questione atomica gli iraniani "sono orgogliosi e pensano di star facendo un buon affare con il mondo. In questo il governo è stato bravo: ha instillato nella popolazione un senso di orgoglio nazionale. La gente non pensa al problema, dice solo 'Israele ha l'atomica, il Pakistan anche, perché noi no?'. Il nucleare è stato sfruttato per far emergere un senso di nazionalismo irragionevole". La manovra si capisce maglio se si pensa che "Ahmadinejad parlava in campagna elettorale di economia, di riaggiustare le diseguaglianze sociali, di eliminare la povertà: fino ad ora non ha parlato né fatto nulla al di fuori della questione nucleare".

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