07/09/2011, 00.00
PAKISTAN
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Islamabad discrimina gli eroi di guerra non musulmani

di Jibran Khan
La festa del 6 settembre, in cui si ricordano i soldati morti nella guerra con l’India del 1965, “dimentica” i cristiani, indù, sikh e ahmadi. Leader cristiani ricordano il sacrificio delle minoranze per la nascita e l’indipendenza della nazione. Continua la carneficina degli ahmadi: una lista di 50 persone da uccidere, per ottenere un posto in paradiso.
Islamabad (AsiaNews) – La discriminazione delle minoranze religiose pakistane colpisce anche gli eroi di guerra non musulmani, protagonisti delle battaglie che nel 1965 hanno segnato il conflitto fra Pakistan e India. I loro nomi, infatti, non compaiono nei volumi di storia, nei testi scolastici e nelle celebrazioni che Islamabad organizza ogni anno per ricordare quanti hanno sacrificato la vita per la patria. Intanto nel Paese continuano le esecuzioni sommarie degli ahmadi, senza che la polizia o il governo intervengano per arginare le violenze. Tanto che un gruppo estremista islamico ha diffuso una lista con 50 nomi di fedeli ahmadi da uccidere, per godere di “una via preferenziale di accesso al paradiso”.

Il 6 settembre in Pakistan si celebra la memoria della guerra del 1965 con l’India, in cui vengono ricordati gli eroi che hanno sacrificato la vita per la patria. Tuttavia, ogni anno le autorità fanno passare sotto silenzio il sacrificio di moltissimi non-musulmani, che hanno lottato e sono morti per il loro Paese. La discriminazione e le umiliazioni cui sono costrette le minoranze religiose di una nazione ostaggio del fondamentalismo islamico, colpiscono pure quanti hanno contribuito alla nascita e alla sopravvivenza del Pakistan.

Per protestare contro la censura del governo e l’emarginazione dei non-musulmani nelle Forze armate del Paese, l’organizzazione umanitaria Life for All a Lahore ha organizzato un seminario incentrato sugli eroi di guerra cristiani, ahmadi, indù e di altre religioni. Fra gli altri, sono risuonati i nomi del comandante dell’aeronautica Cecil Chaudhry e il generale di divisione Noel Israel Khokar. Rizwan Paul, attivista di Life for All, sottolinea che “il governo ha oscurato il servizio reso dalle minoranze religiose”, oltre ad aver omesso i loro nomi “nei libri di storia e dai testi scolastici”. Al contrario, egli intende “rendere omaggio a questi grandi nomi, per il loro irreprensibile servizio al Pakistan”.

Gli fa eco p. Joseph Edward, della diocesi di Lahore, che ricorda al governo i continui episodi di emarginazione, violenze, abusi di cui sono vittime indù, ahmadi, ebrei e cristiani pakistani. Oltre alle famigerate leggi sulla blasfemia, il sacerdote ricorda un episodio verificatosi di recente: due fratelli cristiani ai quali è stato proibito di suonare in un club della città “perché cristiani”. E il loro padre, continua, è un tenente colonnello al servizio dell’esercito pakistano. “Per quanto andrà ancora avanti tutto questo?”, si chiede sconsolato p. Jospeh.

Ma gli episodi di sangue investono anche altre minoranze, fra cui gli ahmadi, una setta musulmana considerata eretica perché non riconosce Maometto come ultimo profeta. Il 5 settembre scorso a Faisalabad Naseen Ahmad Butt è stato ucciso a colpi di pistola, in pieno giorno, da quattro studenti della Khatam-e-Nabuwwat Federation, movimento estremista islamico. Il nome dell’uomo, un fedele ahmadi, era inserito in una lista contenente 50 nomi di esponenti della minoranza religiosa. Accompagnati da un messaggio, secondo cui “la persona che ammazzerà questi 50 ahmadi, potrà godere di una via preferenziale di accesso al paradiso”.

La polizia e il governo del Punjab hanno insabbiato il caso, evitando di punire i responsabili dell’omicidio e gli autori della lista di civili inermi da uccidere. P. Isaac John, della diocesi di Faisalabad, punta il dito contro il governo provinciale del Punjab colpevole di fornire “un rifugio dorato” agli estremisti e ai talebani. “Odio ed estremismo – conferma il sacerdote – stanno diventando dei marchi di fabbrica della società”.

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