30/07/2011, 00.00
GIAPPONE
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La Chiesa e lo tsunami, la testimonianza di un missionario

di P. Marco Villa
I giorni dopo la tragedia nel racconto di p. Marco Villa, del Pime. L’impegno immediato dei cattolici. I soccorsi, l’opera paziente dei volontari; dakka rimozione delle macerie all’ascolto dei sopravvissuti. L’eroicità delle maestre della zona intorno a Fukushima, che cercano di tenere allegri i bambini, ma pensano ai loro figli ed elaborano menu senza, carne, pesce, uova, verdure.
Saitama (AsiaNews) - Ricordo ancora bene il momento della prima lunghissima scossa. Quell’11 marzo ero diretto ad un ospedale per visitare una fedele della parrocchia di Sano, accompagnato da un ministro straordinario dell’eucaristia, Honma. Per strada decidemmo di fare prima un salto alla parrocchia di Tochigi e salutare il giovane parroco. Fu proprio mentre suonavamo il campanello della casa parrocchiale che tutto cominciò a tremare. All’inizio un tremore come tanti altri, ma per la lunghezza e l’intensità, capimmo che stava succedendo qualcosa di diverso dal solito. Mentre tutto intorno a noi continuava a tremare e la gente usciva per strada, pensammo di telefonare in parrocchia per sentire se tutto era a posto, ma l’assenza di linea telefonica, ci confermò che a poca distanza da dove eravamo probabilmente era successo qualcosa di molto grave.

Quello dell’11 marzo è stato il terzo terremoto per intensità da quando si è cominciato a registrare la forza delle scosse telluriche, seguito da uno spaventoso tsunami che si è abbattuto su 800km della costa orientale del Paese, sconvolgendo le località portuali delle province di Iwate, Miyagi, Fukushima e Ibaraki. La violenza del terremoto e del conseguente tsunami è stata poi tale da provocare danni ingenti ai reattori nucleari della centrale di Fukushima: terremoto di magnitudo 9.0, tsunami con onde alte più di 10 metri, incidente nucleare di livello 7. Tutti numeri che dicono la gravità della tragedia abbattutasi sul Giappone, oltre alle circa 15mila vittime, ai 10mila “dispersi”, alle 115mila persone costrette a vivere nei centri di rifugio.

Sono passati mesi, oggi tutti forse sappiamo tutto su quello che è successo l’11 marzo 2011 e nelle giornate successive. Io vorrei ripercorrere invece come la Chiesa, soprattutto la diocesi di Saitama nella quale lavoro, si è mossa in quei giorni e come si sta muovendo tuttora in nome della carità di Cristo. Perché alla domanda di molti sul “perché” sia successo tutto questo, la Chiesa cattolica locale – meno dello 0.4% della popolazione - ha scelto di rispondere non con le parole, ma con il servizio, nel silenzio.

Fin dai primissimi giorni i vescovi delle tre diocesi più colpite (Sendai, Saitama, Niigata) si sono riuniti presso la cattedrale di Sendai (vescovo mons. Martino Hiraga). Si crea subito negli uffici diocesani della diocesi di Sendai il “Centro di supporto di Sendai” per le vittime delle province di Iwate e Miyagi. Nell’impossibilità di provvedere alle necessità di tutta la sua diocesi mons. Hiraga affida l’area della provincia di Fukushima al secondo “Centro di supporto di Iwaki” – a 40km dalla centrale di Fukushima 1 -, sotto la direzione del vescovo di Saitama, mons. Marcellino Tani.

Il 21 marzo mons. Tani - come previsto - ordina 4 giovani diaconi che manda la sera stessa dell’ordinazione nelle zone terremotate: “voi siete le mie gambe e le mia braccia. Andate subito e siate diaconi di tutti, ascoltate i bisogni della gente e cercate di provvedervi a nome di Dio e mio”. Sono i primi degli oltre cento volontari, preti, suore, laici che vengono inviati a turni settimanali per dare un mano alle iniziative dei due centri. I volontari più giovani vengono inviati a Sendai per affiancare i tanti altri impegnati nella distribuzione dei viveri, dell’allestimento dei centri di rifugio. Sono i più giovani – 20enni e 30enni – perchè nelle province di Miyagi e Iwate c’è bisogno di gente forte. Ad essere inviati ad Iwaki, invece sono preti e suore, perchè oltre ai danni dello tsunami c’è la paura per l’inquinamento nucleare, con il rischio, per le persone più esposte, di tumori alla tiroide e al sangue, e di perdere la fertilità procreativa.

I volontari di Iwaki

I morti della città di Iwaki sono ufficialmente 301, 60 i dispersi. 3300 le case distrutte. 90mila le persone che residenti nel raggio di 30km dalla centrale devono lasciare le loro case. Un terzo di essi trova rifugio nella stessa provincia di Fukushima, 10mila nell’area della diocesi di Saitama (molte le chiese e le case religiose che hanno aperto le loro porte per ospitare gli sfollati), 20mila nell’area della diocesi di Niigata, i rimanenti 30mila in altre zone del Paese.

A Iwaki quindi ci sono centri per persone colpite dallo tsunami e altri per persone costrette a lasciare le proprio case perchè situate in una zona dove non è consentito vivere. L’opera dei volontari della diocesi di Saitama al centro di Iwaki è stata anche quello di aiutare nella distribuzione di vivere e acqua, di collaborare con i volontari che man mano arrivano anche qui da tutto il Paese ed anche dall’estero per spostare detriti, per pulire case, per liberare strade. Ma il “lavoro” più grande e più urgente, qui, è quello di prestare ascolto alla gente. Ascoltare i loro racconti, ascoltare le loro paure per l’incertezza del futuro.

Perchè se a Iwate e Miyagi, pur con mille difficoltà, si parla di ricostruzione, qui, nell’area di Fukushima tutto per molto tempo resterà bloccato. Niente pesca, niente allevamento, nessuna attività di agricoltura. Al dolore per i propri cari defunti e dispersi, per le case distrutte e spazzate vie dal mare, si aggiunge il timore per il futuro e la preoccupazione per la perdita delle entrate economiche frutto del lavoro. “Ascoltate, ascoltate. Non preoccupatevi di cosa dire e di come consolare, date solo ascolto”. Come un ritornello quante volte vengono ripetute ai volontari queste parole. È una buona lezione per gli agenti di pastorale, così spesso impegnati a parlare: “state in silenzio ed ascoltate nel nome di Dio. Le risposte a questi drammi non sarete voi a darle”.

Tra le persone che i volontari ascoltano, ci sono anche i bambini. A vederli sembra che a loro non sia capitato nulla: giocano, corrono, ridono come sempre, ma appena arriva improvvisa una scossa di assestamento si bloccano, per molti quando arriva la sera cominciano lunghe ore di battaglia contro l’insonnia. Quest’anno poi, nessuno ha avuto la voglia di alzare in cielo i koinobori.Il 5 maggio in Giappone è la festa dei bambini. Ti accorgi di questa festa perchè in cielo sventolano enormi bandiere a forma di pesce dai colori vivacissimi che i papà con i loro figli innalzano su lunghe aste poste nei giardini di casa, nei cortili delle scuole e dei templi. I loro colori luminosi, le forme eleganti mosse dal vento li rendono simboli della fanciullezza.

A Iwaki c’erano 38 asili infantili; due sono stati spazzati via dall’onda anomala, 11 sono stati danneggiati e non possono essere usati. I bambini e le maestre di questi 13 asili sono stati raccolti nei rimanenti 25 asili, che ora però sono in soprannumero. Niente di male si potrebbe dire in questi tempi di denatalità, ma gestire tutti questi bimbi dalle 8 del mattino alle 6 di sera, senza poter giocare all’aperto è un impresa. Dovrebbero fare un monumento a queste straordinarie maestre. Di fronte ai bimbi devono mostrarsi serene, tranquille, infondere gioia e voglia di vivere, ma nel cuore hanno un vuoto incolmabile di familiari dispersi, di case spazzate via, di preoccupazione per i loro figli. Loro sì avrebbero bisogno di essere ascoltate, di essere alleggerite almeno un po’ da drammi troppo grandi che non si dimenticano col tempo o facendo finta di non pensarci troppo. Quelle dell’asilo di Iwaki-Kominato le vedi agitate quando ricordano come hanno letteralmente buttato 60 bimbi nei 4 minivan dell’asilo e sono fuggite all’impazzata verso le colline della città per scappare all’onda. Le senti commuoversi di gioia quando ricordano i papà e mamme che dopo giorni e giorni venivano in cerca dei loro figli, le vedi piangere quando dicono dei papà e mamme che non sono mai più venuti. Le vedi allegre quando inventano nuovi piatti e menù coscienziosamente privi di pesce, latte, verdure, ovvero delle cose di cui un bambino avrebbe più bisogno. Le ascolti ansiose quando dicono dei loro figli che tornati a scuola giocano all’aperto per orari ben più lunghi di quelli permessi dalle autorità.

Ai bambini delle scuole elementari un paio di ore di aria libera al giorno è concessa. La maestra di una 4a della scuola di Iwaki-Ena ci ha invitato a parlare ai suoi ragazzi. Dato che non avevamo tutti i permessi in regola per parlare nelle classi, lo abbiamo fatto fuori, sui gradini della scuola, in incognito e “rubando” un’ora preziosa al gioco dei ragazzi. Dalle uniformi, ti accorgi che arrivano anche qui da scuole diverse, ancora non si sono integrati fra loro e in più, il numero è ben al di sotto delle 40 unità per classe... I volontari raccontano loro una storia: la storia di un bimbo che ha perso una scarpa mentre saliva sull’autobus che lo portava a scuola. C’è chi aggiunge che anche lui ha perso il GameBoy ma si può vivere lo stesso anche senza. Poi raccontano un’altra storia: quella di un angelo che va in giro a raccogliere le lagrime della gente per poi versarle sui vasi di fiori del suo signore, e fa attenzione che neppure una vada persa. La storia è un po’ difficile, normalmente i bimbi non la seguono mai fino in fondo. Ma non ce n’è uno che stacca gli occhi dai cartelli colorati che accompagnano la narrazione del racconto; alcuni occhi poi si fanno lucidi lucidi. In Giappone le storie non si commentano mai, non hanno una morale da insegnare. Per essere belle devono dire qualcosa che venga compreso solo con il cuore, in silenzio.

Nei viaggi fra centri di rifugio si incontrano e si ascolta un po’ di tutto. C’è il centro di Yuttari-kan dove sono accolti 65 anziani costretti a lasciare il loro ospizio perchè troppo vicino alla famosa centrale. Quasi tutti sono malati di morbo di Alzheimer, una buona parte di loro forse non è ben cosciente di quanto successo e del perchè si trova in un luogo diverso dal solito. Eppure fra loro c’è anche chi il lume della ragione non l’ha perso e che racconta degli anni passati a lavorare nella centrale. Dà lezioni di energia nucleare, di costi e rischi di produzione, “tutti parlano male della centrale, ma c’è gente là dentro ora che sta dando la propria vita per noi, sia prima che adesso. E sono tutti giovani: con moglie e figli. E tutti gli altri che resteranno senza lavoro come faranno a portare avanti le loro case? E una città come Tokyo di 30milioni di abitanti come può fare a meno dell’energia nucleare per soddisfare tutti i suoi bisogni. Non è il nucleare il problema, ma la sicurezza. Chissà se lo capirà qualcuno”. Si resta ancora zitti. Stavolta non si sa nemmeno bene chi abbia torto e chi abbia ragione.

Nel centro di rifugio di Ena, si ascolta il racconto di un uomo che appena sentito l’allarme tsunami è scappato verso le colline, una volta rientrata l’onda è andato a cercare qualcosa nella sua casa e lì è arrivata senza avviso la seconda onda, “avevo l’acqua fino alle ascelle. Non so dove ho trovato la forza per venirne fuori”. A Ena, durante il giorno restano i più “piccoli”, i malati; chi ha un po’ di salute va in cerca di lavoro, o ritorna fra le macerie della propria casa per cercare un ricordo. Qui non c’è privacy, tutti vivono in un unico salone ¬– che è poi la palestra della scuola - il direttore di questo centro, la prima volta che i volontari visitarono il centro, disse “noi siamo samurai, ce la faremo da soli.” Poi il suo orgoglio ha ceduto e ha aperto le porte e il cuore: l’ultima volta i volontari sono arrivati in 40. 35 erano giovani vietnamiti residenti in una parrocchia della diocesi di Saitama che volevano fare qualcosa per i rifugiati. Sono arrivati attrezzati di tutto ed hanno preparato cibo vietnamita per un esercito di persone. Questi volontari vietnamiti hanno vissuto le stesse esperienze nei centri di rifugio che ospitavano i boat-people al tempo della guerra in Vietnam: erano bambini, forse ricordano poco di quelle esperienze, lavorano in silenzio ed in silenzio, prima di tornare nella loro città della periferia nord di Tokyo, vanno sui luoghi dove lo tsunami ha distrutto tutto. E pregano rivolti al mare.

Il centro di Chuodai komin-kan è un bel centro, con stanze dove uno o due gruppi familiari possono vivere una vita quasi normale. Ci sono una trentina di persone. La prima volta, i volontari ci vanno con una equipe medica e vengono presentati come l’equipe del cuore. Non sono cardiologi, ma subito si capisce di che cuore si parli. Una signora non riesce a darsi pace perchè fra pochi giorni ruspe e grossi mezzi meccanici verranno a liberare le macerie della zona dove viveva. Suo figlio rientra nel numero dei dispersi, il mare non l’ha ancora restituito, forse il suo corpo è proprio là ancora sotto la montagna di detriti, “e se le ruspe se lo portano via senza accorgersi? Chi darà sepoltura a mio figlio?”.

A sera si torna alla canonica che ospita i volontari. La radio per un momento non dice nulla del terremoto. In giornata si è tenuto il funerale di una famosissima cantante giapponese degli anni 70-80. Morta di tumore, pochi giorni prima di morire incide un messaggio che il marito farà ascoltare a tutti quanti l’hanno conosciuta e amata: “sono passate due settimane dal terremoto. Vorrei dare le mie condoglianze a tutti quanti hanno perso i propri cari e amici. Anch’io ho lottato con tutte le mie forze contro la malattia, ma molto probabilmente ho perso. Però quando avrò perso del tutto la mia battaglia, dal Cielo voglio essere utile a tutti voi che siete nel dolore. Credo che sarà il mio dovere da lassù.” Si prega per la signora incontrata in giornata, perchè trovi un po’ di conforto nelle belle parole di questa splendida donna.

Tutta la Chiesa è vicina

Una delle recenti attività dei volontari è stata quella di accogliere l’inviato di papa Benedetto a Iwaki. Venuto in Giappone anche per la celebrazione della Messa di ringraziamento per la beatificazione di papa Giovanni Paolo II, il card. Robert Sarah presidente del Pontificio consiglio Cor Unum, accompagnato dal nunzio mons. Alberto Bottari de Castello e dal sotto-segretario di Cor Unum, mons. Segundo Tejado Muñoz, nella mattinata di sabato 14 maggio, ha voluto portare la sollecitudine di papa Benedetto XVI alla popolazione della prefettura di Fukushima, colpita dal sisma e dallo tsunami. Guidato dal vescovo Marcellino Tani, il cardinale ha innanzitutto visitato la chiesa di Yumoto, nella città Iwaki. Accolto dai bambini dell’asilo cattolico della chiesa di Onahama, ha voluto spiegare anche ai familiari dei piccoli il perchè della sua visita: “Il Papa mi ha chiesto di venire ed io vengo a suo nome per dirvi la vicinanza e l’incoraggiamento del Santo Padre per tutti voi”.

Dalla chiesa di Onahama è poi cominciato il breve tour in autobus di circa un’ora alle zone costiere della città, quelle maggiormente colpite dalla furia dello tsunami. A fare da guida al cardinale erano alcuni cristiani colpiti dalla tragedia. Commovente la testimonianza del signor Yoshida Kazunori che nella località di Hisanohama (70 le vittime e decine i dispersi in questo piccolo villaggio costiero) ha mostrato al card. Sarah, il luogo dove sorgeva la sua casa e l’ufficio dove svolgeva il compito di direttore del sindacato dei pescatori della zona. Il cardinale Sarah, nella conferenza stampa tenuta fra le macerie del villaggio di Hisanohama, a 30 km. dalla centrale nucleare, ha ricordato la preghiera incessante che Benedetto XVI continua ad elevare per le vittime del terremoto e ha ricordato la sollecitudine della Chiesa cattolica verso i bisognosi perché sia favorita la fratellanza umana e si manifesti la Carità di Cristo.

La Quaresima di quest’anno, così, non ha avuto bisogno di particolari sacrifici. Tutti erano in cammino a fianco di Gesù che porta la sua croce per la salvezza di tutti. O meglio Lui era in cammino con noi, anche se non ne abbiamo riconosciuto il volto. Anche la Pasqua è arrivata quasi senza che ce se ne accorgesse, ma come un grande dono di speranza ha ricordato a tutti noi la vittoria della vita sulla morte. In molti dicono che in Giappone è giunta l’ora dei cristiani. L’ora di testimoniare che Gesù è la via, la verità e la vita, perchè è lui che dopo aver conosciuto l’abbandono, la solitudine e la morte, è disceso agli inferi ed è risorto. Ed è vivo in mezzo a noi.

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