07/06/2021, 12.42
SIRIA
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La chiesa siriana piange mons. Hindo, vescovo del dialogo più forte dell’Isis

Sacerdote siro-cattolico a Damasco ricorda “un uomo di Dio nel tempo difficile della guerra”. Il prelato ha lottato contro la fuga dei cristiani ed è rimasto anche davanti all’avanzata dei jihadisti. L’impegno a favore della scuola, essenziale per il futuro della comunità. Nell’area sequestrato un giornalista e attivista cristiano. 

Damasco (AsiaNews) - “Un uomo di Dio nel tempo difficile della guerra, un vescovo che è rimasto con il suo popolo anche quando Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico] è entrato in città. Egli ha dato una grande testimonianza a noi cristiani, anche ai sacerdoti, ricordandoci di non fuggire, di restare con il nostro popolo”. Così p. Amer Kassar, sacerdote siro-cattolico della chiesa della Madonna di Fatima a Damasco, ricorda ad AsiaNews mons. Jacques Behnan Hindo, emerito dell’arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi (nord-est della Siria), scomparso ieri in Francia dopo lunga malattia. “Quando mons. Hindo andava all’estero - ricorda il sacerdote - e incontrava politici e personalità istituzionali alzava sempre la voce invocando giustizia per il popolo siriano e il proprio Paese, martoriato dalla guerra. Egli ha avuto un ruolo di primo piano anche in questo”. 

Mons. Hindo era nato l’8 agosto 1941 ed era stato ordinato sacerdote il 4 maggio del 1969. La nomina ad arcivescovo di Hassaké-Sisibi risale al 29 giugno 1996, l’ordinazione episcopale il 18 giugno dell’anno successivo. Le dimissioni per salute e raggiunti limiti di età risalgono al 22 giugno 2019, sebbene il prelato non abbia mai smesso di far sentire la propria voce a difesa dei cristiani e della popolazione siriana, fino alla morte per malattia sopraggiunta ieri a Parigi, in Francia, dove si era trasferito per cure mediche. 

In passato si è battuto contro gli abusi delle autorità curde e la chiusura di alcune scuole cristiane nella regione autonoma del nord-est, che Damasco non riconosce come entità territoriale. Il blocco alle attività imposto dalle autorità locali aveva riguardato alcuni istituti delle città di Qamishli, Darbasiyah e Malikiyah ed era motivato dal fatto che tali istituti non si erano conformati al curriculum scolastico imposto dai vertici (curdi) regionali. Nell’occasione mons. Hindo non aveva risparmiato critiche, accusando l’amministrazione locale di impedire l’insegnamento “nella lingua della Chiesa, il siriaco antico” oltre ad uno scontro “sull’insegnamento della storia” che le autorità volevano indirizzare secondo un’impronta più favorevole. 

Nel 2015, quando infuriava il periodo più buio del conflitto, il prelato aveva attaccato quella che definiva “ambigua politica” Usa, che favoriva l’ascesa e il dominio dello Stato islamico nella regione a cavallo fra Siria e Iraq. Egli stesso sotto la minaccia dell’Isis, con i miliziani a soli tre chilometri dalla città, accusava i caccia statunitensi di non bombardare i jihadisti, ma di colpire mezzi e reparti dell’esercito governativo siriano. “Non è questione di essere pro o contro il governo - raccontava all’epoca - ma la gente non ha mai creduto agli attacchi di Washington. Solo i curdi hanno davvero combattuto sul terreno, ma per difendere le proprie posizioni”. 

“Conoscevo molto bene il vescovo - sottolinea p. Amer - una figura di grande valore all’interno di una realtà di guerra. Egli ha giocato un ruolo di mediatore fra arabi e curdi, fra musulmani e cristiani restando sempre ad Hassaké, che non ha abbandonato nemmeno quando l’Isis era alle porte. Inoltre, egli ha promosso diversi progetti per aiutare lo sviluppo della zona, operando in un’ottica di incontro e di dialogo facendo avvicinare punti di vista, opinioni e realtà anche molto distanti fra loro. Era un uomo di Dio, che conosceva bene la zona e i popoli che la abitavano”. Fra le iniziative mese in campo, il sacerdote cita con particolare affetto i progetti abitativi (appartamenti e palazzi) per i giovani “per contrastare lo spopolamento delle aree cristiane, una delle note dolenti di questi anni di guerra. E poi l’opera a favore della Caritas e l’impegno per le scuole e per l’istruzione, che considerava essenziale per il futuro della comunità”. 

Infine, dall’area a maggioranza curda giunge la notizia del rapimento, avvenuto la scorsa settimana, di un giornalista e attivista pro diritti umani cristiano, a conferma di una situazione che resta ancora di profonda instabilità. Husam al-Qass è stato sequestrato a Derik (governatorato di Hassaké), prelevato a forza da una decina di uomini a volto coperto di cui resta ignota al momento l’identità. In una nota la famiglia del giornalista cristiano parla di atto “motivato politicamente” e collegato “con l’attività politica” di Hisham “a difesa dei diritti umani e della libertà di espressione”.

In questo clima di tensione cresce “l’insofferenza” della popolazione araba verso “la cosiddetta amministrazione automa curda”. Lo stesso Hisham aveva raccontato e solidarizzato con la popolazione di Mambji, le cui manifestazioni di protesta sono state represse con la forza dalle autorità curde, almeno otto i manifestanti uccisi negli scontri. In precedenza, con il proprio lavoro aveva dato voce alla popolazione di Afrin, colpita dall’esercito turco che controlla una porzione di territorio oltreconfine, in Siria. 

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