12/08/2010, 00.00
CAMBOGIA
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La madri cambogiane salvano il mondo. La missione a Prey Veng

di Alberto Caccaro
P. Alberto Caccaro, missionario PIME in Cambogia da 10 anni, ha scritto questa lettera dopo una breve vacanza in Italia. In essa egli racconta la vita quotidiana nella sua missione: le madri che cercano di assicurare la scuola alle figlie; una moglie cristiana alle prese col suo piccolo bambino; una bambina cieca in Italia che vuole “sentire” la vicinanza e la preghiera per i missionari.
Prey Veng (AsiaNews) – Pubblichiamo il testo completo di una lettera che di recente p. Alberto ha inviato ai suoi amici in Italia:
 
 
Se la vostra vita quotidiana vi sembra povera, non l’accusate;
accusate voi stesso, che non siete assai poeta da evocarne la ricchezza[1].
 
Siamo forse qui per dire solo: casa,
ponte, fontana, porta, mandorlo, brocca, finestra,
o al più: colonna, torre …[2].
 
 
Due giorni fa è venuta una mamma, vedova. Voleva iscrivere la figlia adolescente alla nostra scuola. L’ho vista entrare alla guida di una motoretta scassata, svirgola, claudicante, ma in movimento. Erano in tre, sulla moto. Con la figlia si portava anche una nipote, sempre da iscrivere a scuola. Venivano da un villaggio non lontano, ma difficile da raggiungere per via della strada alquanto dissestata. Gli occhiali da sole che indossava, vecchi come la moto, servivano a nascondere una menomazione all’occhio sinistro. Me ne sono accorto solo dopo la chiacchierata. Pian piano mi raccontava che per venire fino a scuola aveva dovuto chiedere la moto in prestito ad un vicino. E siccome la moto era senza targa, aveva dovuto chiedere in prestito la targa ad un secondo vicino. Una targa che avesse i fori al posto giusto per essere attaccata all’apposita sede ed evitare di essere fermata dalla polizia stradale. E siccome non aveva il casco, ormai d’obbligo anche in campagna, aveva dovuto chiederlo in prestito ad un terzo vicino … Per non chiedere tutto ad uno solo, aveva preferito confondere la propria indigenza rivolgendosi a tre vicini diversi. Alla fine, completa di tutto, di moto, di targa e di casco, aveva accompagnato le due ragazze fino a scuola. Di fronte a me, mentre mi parlava, come sfondo alle sue parole, vedevo gli unici due denti dell’arcata superiore ed uno dell’arcata inferiore. Niente più. Ma mi parlava con tanta passione di sua figlia, di sua nipote e della loro voglia di studiare che, in tutta quella mancanza, ho visto una pienezza. Un senso compiuto alle cose. E’ vero quello che dice Rainer Maria Rilke: dobbiamo saper evocare la ricchezza di ciò che altrimenti sembrerebbe e rimarrebbe povero. Ho capito che sono a Prey Veng non per fare grandi cose. Devo solo osservare ed e-vocare, nominare la ricchezza che si nasconde nel cuore di tante madri, povere e un po’ svirgole … ma in movimento, sempre. “Siamo forse qui per dire solo: casa, ponte, fontana, porta, mandorlo, brocca, finestra, o al più: colonna, torre …”. Moto, targa, casco ... Nominare fino ad e-vocare[3], e così sottrarre all’oblio. Le mamme salvano il mondo ...
 
Hang ha avuto il suo primo figlio due mesi fa. Sposata da circa un anno, è diventata madre di un bellissimo bambino. Da quando ha partorito il piccolo, non è più venuta alla messa. Finalmente qualche giorno fa l’ho incontrata. Mi ha spiegato che suo marito, non cattolico, è spesso fuori casa. Il lavoro lo trattiene lontano e non potrà nemmeno partecipare al battesimo del piccolo, il giorno dell’Assunta. Mi racconta che il bambino piange spesso la notte e nessuno riesce a dormire. Il marito lontano, torna ogni tanto per visite brevi, al massimo una notte, poi se ne và. Anche il giorno del parto continuavano a chiamarlo perché tornasse al lavoro. Poi la nascita e le notti insonni …
 
Ha però notato una cosa: quando il papà torna e dorme una notte a casa, anche il bimbo dorme tranquillo. Allora, una notte, l’ennesima notte senza papà, impotente di fronte al pianto del bambino, ha preso una camicia di suo marito e ha avvolto il corpicino del piccolo. Dopo qualche istante il bimbo ha smesso di piangere. “Forse – mi dice questa giovane mamma - il mio bambino riconosce l’odore del suo papà e si calma, pensa che il papà sia lì”. Ha riprovato più volte e ha funzionato. Mi ha commosso pensare che un bimbo di due mesi possa riconoscere l’assenza e la presenza, e possa dire la sua, piangendo. Ho detto alla mamma di fare presente a suo marito che il lavoro, per quanto necessario, non può diventare un alibi per sottrarsi a suo figlio. Non so come andranno a finire le cose, ma quel piccolo principe piange se il suo papà si sottrae e la casa diventa un insieme di mura disabitate.
 
Pensando a queste due mamme ho ripreso le parole di un poeta contemporaneo: “Il mondo lo salvano le madri. Certo, i padri lo lavorano, i figli lo fanno avventuroso e lo rinnovano. Ma lo salvano le madri. Lo si capisce quando il tempo si fa duro. Quando i conflitti esplodono. E non si sa come fare. Allora le madri, certe madri, lo salvano. La loro semina paziente, la loro forza segreta lo custodisce e lo rinfranca”.[4]
 
Mentre ero in Italia, ho incontrato una piccola principessa. Mi trovavo presso le scuole elementari Giorgio Macchi, a Somma. Ero stato invitato a parlare a 250 bambini, in un colpo solo. Entrato in palestra, mi hanno chiamato “amico” tante volte e in tante lingue diverse, e hanno cantato un ritornello simpatico: “con la mia mano nella tua mano, con il mio cuore dentro il tuo cuore”. Poi ho parlato per un’ora. Tutti attenti! Alla fine, vedo avvicinarsi una bimba accompagnata dalla sua maestra. La piccola mi dice “Padre Alberto posso prenderti le mani?”. Mi accorgo che ha il volto leggermente reclinato, tipico delle persone non vedenti. La maestra me lo conferma. Stephanie, questo è il suo nome, mi ha ascoltato per un’ora, ma non le bastava, voleva sentire se quel che avevo detto era vero. Mi ha stretto le mani. Io mi sono seduto e lei, con un po’ di inaspettata confidenza, si è reclinata appoggiandosi al mio ginocchio. Fra me pensavo “Stephanie, tu che vedi quello che io ancora non vedo, dì sempre una preghiera per noi missionari”. Lì ho sentito il dono di una comunione profonda. Questa piccola principessa mi portava ad un livello più profondo e più vero dove Chiesa, Famiglia, Scuola, Società, sono una cosa sola. Un corpo solo: “con la mia mano nella tua mano, con il mio cuore dentro il tuo cuore”. Ho chiesto ai bimbi di cantarmi ancora questo canto.
 
Nei mesi trascorsi in Italia ho incontrato tante belle persone. Evito di nominarle per la paura di dimenticarne qualcuna: ringrazio semplicemente tutti! Le scuole, i monasteri, le parrocchie visitate, i sacerdoti, le suore, i parenti, gli amici; chi ha organizzato feste e chi si è prodigato perché vedessi il mare; gli alpini, i giovani di Akuna Matata, gli anziani delle case di riposo e del centro “Il Girasole”; chi ha cantato per me e per la Cambogia, i malati e chiunque ho incontrato anche solo per un istante. Penso in particolare alla mia insegnante delle elementari, la maestra Franca, che non vedevo da trent’anni. Assicuro il ricordo nella celebrazione quotidiana dell’Eucarestia, specialmente per chi mi ha indicato intenzioni di preghiera particolari.
 
Il Papa ha recentemente detto che chi prega non è mai solo. Per me è vero quando celebro l’Eucarestia. Sto sperimentando l’importanza della celebrazione quotidiana come fedeltà a Cristo e appello alla comunione con Lui: “Allora si rende possibile nell’anima un’altra vita intellettiva, conoscitiva e caritativa, realizzata nella Trinità, in unione con la Trinità e simile a quella della stessa Trinità”.[5] Io celebro l’Eucarestia per non essere solo. La nostra piccola chiesa con la presenza di Gesù, è un luogo incantevole che mi reintroduce al Mistero.
 
Spesso non mi bastano le parole per dire tutto il visibile e l’invisibile che mi circonda. Sento una profonda gratitudine ed un bisogno imperioso di e-vocare la Presenza del Mistero, la Potenza dell’Eterno: “Lui è qui. Lui è qui come il primo giorno.(…) E’ qui fra noi per tutti i giorni della sua eternità”.[6]
 
Per questo mi è cara la missione che sto vivendo: la casa in cui vivo, la chiesa in cui prego, la scuola, dove cerchiamo di scoprire e nominare quell’eccedenza di senso che le dittature di qualsiasi colore temono e soffocano. Noi invece siamofatti per dire che Lui è qui.
 
A presto,
 
Padre Alberto
 
Prey Veng, 6 agosto 2010
Trasfigurazione del Signore
 
[1] Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta, Milano 1997, p. 15.
[2] Rainer Maria Rilke, Nona Elegia duinese.
[3] Secondo il mio vecchio dizionario di italiano, il famoso Devoto – Oli, evocare significa “chiamare dal mondo del mistero a quello dell’esperienza sensibile”.
[4] Testo di Davide Rondoni.
[5] San Giovanni della Croce, Cantico Spirituale.
[6] Charles Péguy
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