22/04/2008, 00.00
SRI LANKA
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La misera vita quotidiana dei Tamil, nei campi profughi del nord

di Melani Manel Perera
Un gruppo di cristiani e buddisti visita la zona di guerra di Mannar, interdetta a tutti, e visita i campi profughi. Un sacerdote racconta i soprusi quotidiani contro la popolazione Tamil compiuti dal potere militare, attento a vincere una guerra, ma non ad evitare conflitti futuri.

Colombo (AsiaNews) – Nella guerra senza tregua tra esercito e ribelli secessionisti Tigri Tamil Eelam per la liberazione (Ltte), l’esercito proclama continue vittorie grazie agli attacchi congiunti di forze di terra e aeree. Ma nessuno osa recarsi nel distretto di Mannar, teatro degli scontri, e il ministro per la Difesa non concede visti d’ingresso. AsiaNews ha però sentito padre Sarath Iddamalgoda che la scorsa settimana ha visitato la popolazione martoriata, con un piccolo gruppo composto, tra l’altro, da tre sacerdoti (anglicano, metodista e cattolico) e un monaco buddista. “Questa visita – spiega il sacerdote – ha avuto due scopi principali. Anzitutto portare la nostra solidarietà alla comunità Tamil del nord e dell’est, in questo momento di lutti e dolore. E poi riportare alla nostra gente che vive nel meridione quanto abbiamo sentito e visto”. “Certo, questo non basta. Dobbiamo anche parlare per conto di chi non può farlo”.

“Siamo partiti da Colombo - racconta il religioso - il 15 aprile, per treno fino a Madawachchiya. Là ci ha atteso un prete per portarci oltre: i veicoli del sud non possono oltrepassare quel punto. Dopo circa un’ora di guida, i soldati di un posto di controllo non volevano farci passare, perché non siamo residenti a Mannar. Abbiamo risposto che venivamo da lontano e nessuno ci aveva avvertiti di questa nuova regola, ma i militari avevano ordini precisi. Allora il sacerdote che ci aveva accolti ha preso contatto con il vicario generale della diocesi, che ci ha ottenuto dal comandante militare della zona un permesso speciale di ingresso a Mannar. Stavamo quasi per tornare indietro, quando abbiamo saputo del permesso, dopo quasi due ore e mezza.” “Anche altra gente aveva bisogno di passare, per esempio alcuni uomini che dovevano andare a Mannar per lavoro. Ma sono tutti tornati indietro. Una donna ha detto che doveva raggiungere il marito, a Mannar, e non sapeva come fare. E’ stato come essere al confine di un Paese straniero”. “Per fortuna, nel gruppo c’era un monaco buddista. I soldati che non erano potuti tornare a casa e visitare i tempi per il nuovo anno sono stati contenti di incontrarlo e sono quasi tutti andati da lui. Certo, un gruppo di sacerdoti e donne cristiane che chiedono di andare in visita dal sud al nord appare sospetto. Per andare a Mannar siamo stati fermati da 4 o 5 posti di controllo e da altri 5 nel viaggio di ritorno. C’è stato un ultimo controllo perfino per salire sul treno di ritorno”.

“Siamo rimasti lì per tre giorni. Abbiamo visitato due campi profughi, sorvegliati dalla polizia. Erano come prigioni all’aperto. In un campo c’erano i profughi dalla zona controllata dal Ltte. Tra loro una anziana donna, disperata, venuta in barca con il figlio di sua sorella, che pensava di poter poi tornare indietro dal marito e dagli 8 figli. Ma ora non può tornare da loro”.

“Ho incontrato anche una giovane, insegnante di inglese, pure fuggita in barca per raggiungere i parenti nel sud. Si deve sposare, il fidanzato l'aspetta e il padre di recente è venuto a trovarla, spendendo il denaro che aveva raccolto per farle una dote. Ma non le danno il permesso di lasciare il campo”.

“Nei campi c’è scarsità di cibo, latte in polvere per i bambini, cure mediche per le donne incinta, nonostante se ne occupino le Nazioni Unite, la Croce rossa, Wolrd Vision e altri gruppi. Ma il maggiore problema è che non hanno la libertà di riunirsi ai parenti nel meridione”.

“Nel secondo campo un soldato è stato sempre con noi, quando abbiamo parlato con i profughi”. “L’impressione è stata che le autorità militari non rispettino la gente Tamil, nel campo. Certo, i problemi sono tanti: la sussistenza quotidiana, l’incertezza per il futuro. Ma questa mancanza di rispetto è il problema più grave”.

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