11/12/2017, 09.45
CINA
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Le false promesse di Xi Jinping e la cacciata della ‘popolazione più bassa’ da Pechino

di Willy Wo-Lap Lam

Decine di migliaia di migranti e le loro famiglie sono stati espulsi e mandati via dalla capitale. Eppure al recente Congresso del Partito, il presidente Xi ha promesso sostegno e aiuti contro la povertà. Nessuna ricompensa e nessun aiuto legale o caritativo per gli sfollati. Esiste nel Paese un “darwinismo sociale”, che condanna all’emarginazione le classi rurali e fa godere di privilegi e aiuti le classi cittadine. Per gentile concessione della Jamestown Foundation.

Hong Kong (AsiaNews) – In seguito allo scoppio di un incendio in un povero quartiere periferico di Pechino, lo scorso 18 novembre, la polizia armata di bulldozer e potenti mezzi di demolizione, ha cacciato diverse decine di migliaia di lavoratori migranti che avevano trovato alloggio a Pechino negli ultimi 10 anni (Ming Pao [Hong Kong], 2 dicembre; BBC Chinese, 24 novembre). A nessuno della cosiddetta “popolazione più bassa”, espulsa dalle loro case, è stata data ricompensa o ricorso legale[1]. La cacciata di massa dei lavoratori migranti è in forte contrasto con la campagna cinese di “riduzione della povertà” (fupin; 扶贫), un asse fondamentale del “modello cinese” di sviluppo, che il segretario generale del Partito comunista Xi Jinping ha propagandato al 19mo Congresso del Partito comunista cinese (Pcc) come una “opzione alternativa” all’ordine (sociale) occidentale.

Riduzione della povertà e modello cinese

In tutti i passati cinque anni di mandato di Xi, il “nocciolo della leadership” nell’apparato del partito-Stato ha citato di continuo riduzione della povertà, sicurezza sociale e giustizia non solo come i suoi più importati traguardi politici, ma come gli attributi seminali del modello cinese. Il primo slogan di Xi – il “sogno cinese” – prevede l’eliminazione della povertà entro il 2021, nel centenario della fondazione del Pcc, quando la Cina diverrà una “società moderatamente prospera”. In più, nel 2014, Xi ha promesso che ogni cittadino sarebbe stato protetto dalla legge e da un onesto sistema giudiziario (Guancha.cn, 23 ottobre 2014; Qstheory.cn,  22 agosto 2014). Durante il 19mo Congresso del Partito il mese scorso, Xi ha promesso che il Partito avrebbe soddisfatto non solo le crescenti aspirazioni del popolo per livelli di vita più alti, ma anche “le loro crescenti richieste di democrazia, stato di diritto, uguaglianza, giustizia, sicurezza e livelli ambientali”. Egli ha anche affermato che la “sapienza cinese” e la “fang’an cinese [modello, piano; 方案]” offrirà “una nuovissima opzione” per le nazioni in via di sviluppo che hanno dei dubbi verso il tradizionale modello occidentale (China.com.cn, 18 ottobre; Wen Wei Po [Hong Kong], 24 ottobre).

A giudicare dalla definizione ufficiale di fupin, l’amministrazione di Xi sembra andare bene. La linea ufficiale della povertà è stabilita come un reddito individuale di 2300 yuan (ai prezzi del 2010) all’anno. Alla fine dello scorso anno, la Cina aveva ancora più di 43 milioni di residenti nelle aree rurali con un reddito annuale minore di 2300 yuan (circa 348 dollari Usa). Nel 2016, 12 milioni di persone sono state tratte dalla povertà e ci si aspetta che altri 10 milioni vengano tolti quest’anno (South China Morning Post, 1 settembre). Avendo passato diversi anni come “giovane rieducato” in uno spoglio e collinoso villaggio della Shaanxi, il presidente Xi ha preso come interesse personale la campagna fupin. La scorsa estate, in un importante discorso, Xi ha ancora impegnato la sua amministrazione a cancellare la povertà entro il 2020 (China.com.cn, 1 settembre; Xinhua, 31 agosto).

Eppure, uno dei maggiori difetti nel trattare la riduzione della povertà come una campagna quasi-politica, è che il fupin è spesso usato per rafforzare le fortune politiche e la posizione di Xi e dei suoi protetti. L’esempio più calzante è quello del nuovo segretario del Partito di Chongqing Chen Min’er (陈敏尔), che è visto come un potenziale erede di Xi. Una delle ragioni per l’elevazione di Chen (nato nel 1963) al Politburo, al 19mo Congresso del Partito, sono stati i suoi eccezionali risultati nel fupin mentre era governatore e segretario del Partito della stentata provincia del Guizhou dal 2012 al 2017. Secondo il Quotidiano del popolo, “il comitato del Partito e il governo del Guizhou sono stati esperti nel ‘lanciarsi in battaglie difficili’ per sradicare la povertà”. Nei cinque anni dal 18mo Congresso del Partito del 2012, più di 7 milioni di contadini sono stati tratti dalla povertà (People’s Daily, 16 aprile). Il successo della provincia del Guizhou, divenendo una destinazione per trasferimento di soldi da parte del governo centrale e di prestiti dalle banche statali, mostra come la campagna fupin è politicizzata a servizio dei quadri meglio piazzati. Lo scorso ottobre, la filiale della Banca del popolo cinese nel Guizhou, ha elargito 43,6 miliardi di yuan in credito a basso interesse alle istituzioni finanziarie provinciali che si sono impegnate nell’aiuto a contee rurali e villaggi nello sviluppare le loro economie. Il prestito sostenuto dal governo centrale ha un tasso di interesse che è del 2-5% più basso della media. Le autorità provinciali spiegano che “è stato strutturato un sistema finanziario esteso e molteplice per aiutare i distretti poveri e i centri con popolazione povera” (China.com.cn, 21 ottobre; Xinhua, 20 ottobre).

Analisti cinesi e occidentali fanno però notare che nella sua ansietà a esibire risultati per il fupin, l’amministrazione di Xi dimentica i diritti legali, educativi e umani dei “settori più bassi”. Dopo tutto, la maggioranza delle decine di milioni di lavoratori migranti che si sono stanziati in modo illegale nelle periferie delle grandi città quali Pechino, Shanghai e Guangzhou, vivono già da tempo oltre la linea della povertà dei 2300 yuan. Nelle alte stagioni, questi lavoratori migranti, impiegati in professioni che vanno dalle costruzioni ai servizi domestici, possono guadagnare 3mila yuan o più al mese (163.com [Beijing], 1 novembre; The Diplomat, 29 giugno 2016). Il punto è che, come nelle precedenti amministrazioni, Xi ha fallito di garantire che membri dei settori svantaggiati – perfino coloro che si sono tratti da soli al di fuori della linea della povertà – godano in pieno dei diritti garantiti dalla costituzione che la gente di città dà per scontate.

Per lo storico e critico sociale Zhang Lifan, ogni cittadino dovrebbe avere il diritto a vivere in ogni parte della Cina. La regola della residenza registrata o hukou, in atto da 59 anni, denunciata come un sistema moderno di apartheid, previene cittadini dalle aree rurali a vivere nelle proseprose città della costa. Perfino migranti che si sono stabiliti da anni nelle grandi città non possono avere documenti di identità della città, che soli permetterebbero loro di godere facilitazioni e benefici simili a quelli dati ai cittadini urbani. “Ogni nazionale civilizzata permette ai cittadini di stabilirsi in diverse parti della nazione”, dice Zhang. “Dopo tutto, il presidente Mao era uno dei milioni di poveri contadini che hanno migrato verso il nord” per afferrare migliori opportunità politiche ed economiche nelle città, aggiunge (Zhang Lifan’s Twitter, 28 novembre; VOA Chinese, 28 novembre).

Un importante documento su riforma sociale ed economica diffuso dal Comitato centrale del partito verso la fine del 2013 promette di “compiere cambi innovativi all’organizzazione della popolazione e rendere più veloce la riforma dei sistemi sui permessi di residenza”. Ma la direttiva, dal titolo “Decisione su alcuni importanti temi riguardo l’approfondimento comprensivo delle riforme”, allude solo alla possibilità per i contadini di stabilirsi liberamente in città di media grandezza. In più, essa afferma il durevole credo del Pcc nel “controllare in modo serio la crescita della popolazione nelle mega-città” (Xinhua, 18 novembre 2013). In effetti, il pretesto ufficiale per la cacciata dei migranti da Pechino è proprio l’istruzione del presidente Xi sul seguire una rigorosa pianificazione nello sviluppo della capitale – compreso il controllo sul numero dei residenti. “Sviluppare e organizzare bene Pechino è una parte importante della modernizzazione del sistema di governo nazionale, come pure dell’abilità di governo” (Xinhua, 2 marzo).

La splendente facciata del programma di Xi orientata verso il fupin e l’offerta di welfare sociale non può nascondere il fatto che i lavoratori migranti “più bassi” cacciati dalle loro case modeste nella capitale, non abbiano alcun ricorso ad aiuti legali. Secondo le regole dell’hukou, prima di tutto essi non hanno diritto di stare a Pechino. Perfino alcune piccole ong che hanno offerto temporanea ospitalità e trasporto gratis agli sfollati sono stati minacciati dalla polizia e obbligati a fermarsi stop (Apple Daily [Hong Kong], 26 novembre; South China Morning Post, 26 novembre).

In parte causato dall’apartheid virtuale delle popolazioni urbane e rurali, vi è un pregiudizio sistematico contro quei disgraziati cinesi a cui è capitato di crescere in sacche di indigenza delle province centrali e dell’ovest. E nonostante le garanzie costituzionali secondo cui ogni cinese ha diritto a nove anni di scuola gratis, molti bambini di villaggi remoti – specie bambine – hanno solo un accesso striminzito alla scuola. Una ricerca dell’economista Scott Rozelle, della Stanford University, mostra che nelle dimenticate aree rurali cinesi, più di metà dei bambini dell’ottavo grado [terza media]hanno un QI [quoziente intellettivo] sotto i 90, che limiterà il loro apprendimento e le opportunità di lavoro nel futuro. Almeno un terzo dei bambini in zone rurali non conclude il ciclo delle scuole medie. Inoltre, meno del 10% di loro va nelle scuole superiori, a confronto del 70% dei loro coetanei nelle città. Ad aggravare questi dati, molti bambini sono “bambini lasciati soli”, ossia figli dei circa 200 milioni di lavoratori migranti che si sono spostati nelle città per trovare un lavoro migliore. Per la maggior parte, questi bambini sono presi in cura dai nonni, la cui educazione ed igiene sono molto bassi. Poiché rimangono molte barriere alla mobilità sociale, è improbabile che gli sforzi per ridurre la povertà siano indirizzati verso queste ingiustizie. Ad esempio, quasi tutte le scuole superiori urbane – che sono molto meglio attrezzate di quelle delle campagne – non accettano ragazzi delle zone rurali, compresi quelli che provengono da famiglie relativamente benestanti (China Daily, 28 settembre; Sciencemag.org, 21 settembre).

Conclusione

La discriminazione istituzionalizzata contro i cinesi delle campagne mostra che le ripetute promesse di Xi sono vuote, quelle secondo cui tutti i cittadini “non hanno bisogno di preoccuparsi del cibo, del vestire, dell’educazione gratis, delle cure mediche e dell’abitazione” (Apple Daily, 28 novembre). Al 19mo Congresso del Partito, il suo discorso era pieno di promesse: tutti i cittadini avrebbero avuto “sicurezza della casa” e uguale accesso al welfare – tutti prerequisiti per una responsabile amministrazione socialista (People’s Daily, 28 ottobre; China News Service, 5 dicembre 2016).

La spietata cacciata della “popolazione più bassa” da Pechino dimostra che la Cina è divenuta una nazione in cui le classi privilegiate guidate dai clan più consistenti del Partito calpestano i settori svantaggiati. Yinghong Cheng, sinologo dell’università statale del Delaware, nota che la recente crisi di Pechino testimonia la crescita di un “darwinismo sociale”, rinforzato da “violenza, imbrogli, soppressione” usati dalle autorità (Theinitium.com [Hong Kong], 26 novembre). In gioco non vi è solo il perpetuarsi di un ordine socio-politico ingiusto, ma la bancarotta del modello cinese che Xi ha manifestato in modo così trionfale davanti alle nazioni, desiderose di esplorare percorsi di sviluppo non occidentali.

 


[1] Il termine diduan renkou (“popolazione più bassa” [低端人口]) è stata usata per la prima volta in un articolo sull’organizzazione urbana, pubblicato dalle edizioni estere del Quotidiano del popolo in agosto. Da allora è spesso usato da rappresentanti ufficiali e giornalisti per indicare “operai impegnati in professioni o lavori di più basso livello”. Nonostante il sapore dispregiativo, il termine appare in documenti della municipalità di Pechino a proposito dell’organizzazione della popolazione. Dopo la cacciata di massa, numerosi accademici e editorialisti a Pechino, Hong Kong e nelle comunità cinesi all’estero hanno accusato l’amministrazione di Xi di discriminazione istituzionalizzata contro i lavoratori migranti, che hanno giocato un ruolo chiave nel rendere possibile il “miracolo economico cinese” degli ultimi due decenni (Ming Pao, 28 novembre; BBC Chinese, 24 novembre; China Youth Daily, 2 agosto 2016).

 

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