16/05/2008, 00.00
BANGLADESH
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Migranti in città, nuova frontiera dell’evangelizzazione in Bangladesh

Padre Franco Cagnasso, missionario del Pime a Dhaka, racconta di una Chiesa esigua ma vivace in uno dei più popolosi Paesi musulmani dell’Asia. L’impegno del Pime nelle zone economiche speciali, dove si concentrano i tribali emigrati dalle campagne.

Dhaka (AsiaNews) – La Chiesa in Bangladesh cresce, gradualmente diventa autosufficiente, parrocchie create dai missionari vengono riconsegnate alle loro diocesi, ci sono vocazioni e collaborazione con le altre denominazioni cristiane. E la città con il suo sviluppo economico e il suo ingente flusso di migranti dalle campagne diventa un’urgente sfida, una nuova frontiera per l’evangelizzazione. È il quadro generale dello stato della Chiesa in uno dei paesi musulmani più popolosi così come lo tratteggia in un’intervista ad AsiaNews p. Franco Cagnasso, missionario del Pontificio istituto missioni estere (Pime). In Bangladesh su oltre 140 milioni di abitanti, più dell'80% è musulmano; i cattolici sono 300 mila. Da anni a Dhaka, p. Cagnasso parla di una Chiesa vitale e di nuove spinte missionarie.

Qual è la situazione della Chiesa in Bangladesh?

La Chiesa in Bangladesh continua a crescere soprattutto nella zona di Chittagong, tra la popolazione tribale, ma anche in altre aree si assiste ad una rinnovata attenzione nei confronti del cristianesimo. Si tratta sempre di una realtà esigua, ma vive una interessante vitalità interna. Dopo 20 anni come Pime abbiamo riconsegnato da poco la parrocchia di Santa Cristina all’arcidiocesi di Dhaka. Nella parrocchia era nato un sotto centro che a sua volta ora è diventato parrocchia. Aumentano le strutture gestite dalla Chiesa e negli ultimi anni hanno aperto nuove parrocchie. Le vocazioni continuano ad essere numerose. E ora ci si interroga soprattutto sulla formazione femminile, in passato un po’ trascurata.

 In quali settori della società la Chiesa riesce a portare la sua testimonianza?

L’impegno più forte è sempre sul fronte scolastico e della sanità. In forma silenziosa la Chiesa cerca di aiutare anche le altre minoranze. Ad esempio offrendo assistenza legale ai tribali di ogni religione espropriati dalle autorità o dai bengalesi.

 Quali linee sta seguendo il Pime nella sua missione in Bangladesh?

Il Pime sta puntando sulla città come frontiera dell’evangelizzazione. Il Pontificio istituto missioni estere è presente, tra le altre zone, nel nord di Dhaka, zona caratterizzata da un forte sviluppo industriale e dove sono più presenti i migranti dalle campagne. Tra loro molti sono cristiani, bengalesi e tribali, a cui i missionari cercano di dare un punto di riferimento spirituale e non solo. I migranti vivono per lo più nelle EPZ, le zone economiche speciali. A Dhaka abbiamo comprato un terreno dove sorgono appositi centri di accoglienza. Si tratta di una sfida grande per la Chiesa, perché con l’arrivo in città questi cristiani si perdono, se non trovano una guida.

A volte ci si può trovare davanti a casi di evangelizzazione “indiretta”: questi migranti in città si aggregano per tribù (santal, orao…) e non per appartenenza religiosa. Noi accostiamo solo i cattolici, ma quando poi i loro vicini vedono che questi hanno un punto di aggregazione e di sostegno, anche loro li seguono. Nella zona cittadina si può dire che non vi era mai stata effettiva evangelizzazione. Ma l’emigrazione a volte è anche l’unica possibile speranza per chi dall’islam sceglie la conversione. Molti convertiti, come pure coppie miste scappano in città dai villaggi per liberarsi dalle maglie di controlli e oppressioni esercitate dalle famiglie. In città possono vivere più liberamente la loro scelta di fede. Il problema dell’urbanizzazione crea sbandamento anche ai musulmani e si può dire che da questo punto di vista anche i leader religiosi islamici hanno obiettivi “pastorali” simili ai nostri.

Quali sono i rapporti con le altre denominazioni cristiane?

Sono buoni, soprattutto con i luterani e gli anglicani c’è collaborazione. Sono presenti iniziative ecumeniche, anche se ancora non si riesce ad organizzare insieme qualcosa che tocchi veramente la vita quotidiana della gente. Qualcosa di più concreto in questo senso si sta facendo facendo nell’assistenza agi handicappati.

 

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